076. Globalizzazione


Tratto da “Conoscenza come Dovere”,  di Lorenzo Magnani


http://www.libreriauniversitaria.it/morality-technological-world-knowledge-as/book/9780521121798

Globalizzazione

“Sappiamo che molte lingue naturali sono ridotte ad essere lingue “della cucina”. Questo è, per esempio, il caso dell’italiano, usato una volta da Galileo – invece del latino – per inventare e presentare la scienza moderna. Il motivo è semplice e risaputo, siamo di fronte a un processo ineludibile di globalizzazione, che usa una sola lingua dominante, l’inglese. Ovviamente questo processo produce altri importanti effetti. La condizione degli esseri umani in un mondo globalizzato è descritta in un modo assai simile da molti autori: le differenze sono molto più legate all’orientamento politico di fondo che non ai contenuti. Il nuovo mondo sembra essere caratterizzato da poteri capaci di opprimere e distruggere, ma anche da grandi chance e nuove possibilità per l’umanità. Sembra che le politiche neo-liberali abbiano lo scopo di creare un sistema globale internazionalizzato di capitali e di sistemi e istituzioni bancarie sopranazionali, controllate e guidate dalle multinazionali egemoni nel mercato e da una enorme libertà di movimento dei capitali oltre i confini nazionali: come afferma Teeple “la formazione di cartelli, oligopoli o monopoli per controllare la domanda e l’offerta, i mercati geografici e i prezzi e la crescita del settore pubblicitario, che in realtà è un tentativo di creare e controllare la domanda” riflettono il piano delle multinazionali che “è semplicemente il riconoscimento che l’inaffidabilità del mercato (…) non può essere tollerata, dato l’enorme quantitativo di investimento di capitali.
Tutti sono benvenuti nell’era e nelle terre della globalizzazione, senza riguardo rispetto alla razza, al colore, al genere, all’orientamento sessuale, e cosi via. Ciò nondimeno sembra che – più o meno dalla fine degli anni settanta – questo nuovo sistema internazionale ha portato all’aumento di disuguaglianze economiche e di impieghi poco retribuiti, disoccupazione, analfabetismo, povertà, lavoro minorile, emigrazioni e trasmigrazioni forzate, lavoro non libero, subordinazione sociale delle donne (anche in quanto lavoratrici sottopagate e temporanee), guerre, massacri, corruzione, malattie.
Ancora, l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente sembrano essere fuori controllo; la sovranità degli stati nazionali sta declinando come anche lo stato sociale di matrice keynesiana e i diritti sindacali; gli standard del lavoro, del sistema sanitario, dell’assistenza sociale, dei sistemi pensionistici e dell’educazione stanno sempre più diminuendo di qualità; gli assalti legislativi ai redditi sono comuni ovunque; le multinazionali controllano una grande parte dei mass media con effetti negativi sulle culture locali; i trend di privatizzazione dei servizi pubblici come l’educazione, il sistema sanitario e le pensioni aumentano ma portano ben pochi effetti positivi per i giovani,  gli ammalati e le persone anziane; i finanziamenti statali sono sempre più dirottati a settori privati (vedi per esempio la creazione del buono scuola); i diritti civili e umani, ma anche la democrazia liberale, sono limitati e aggrediti; le vecchie strategie nazionali in favore dello sviluppo del terzo mondo sembrano distrutte. Infine, un certo senso sempre crescente di cinismo affligge le persone di qualsiasi tendenza politica.
La crisi delle istituzioni è generale, la famiglia nucleare è in crisi perché il suo valore è messo in questione e le condizioni della sua efficacia sono sempre più indeterminate “i bambini, inoltre, rimangono sotto la proprietà dei loro genitori o sotto la custodia dello stato, protetti in modo superficiale da diritti civili, e largamente non visti come una manifestazione concreta dell’umanità; tuttavia essi sono resi sempre più oggetto di marketing. Il mercato globale è una realtà, insieme con la globalizzazione della produzione, della distribuzione e dello scambio. Nuove istituzioni transnazionali – oltre alle Nazioni Unite – hanno principalmente un carattere economico e presentano problemi di legittimità democratica e politica, perché non sono l’espressione di libere elezioni, come accade per un parlamento: esse hanno un enorme potere mondiale e il risultato è qualcosa di simile a, come dice Rousseau, una governance senza governo. Certamente le persone impegnate nella difesa e nella preservazione della dignità umana sono poche e limitate nei loro progetti: mi riferisco qui per esempio a certe organizzazioni ecologiche o religiose, alle alleanze aborigene, ai gruppi di protezione dei consumatori, a quelli in difesa dei pensionati, alle associazioni civili come Amnesty International, ai movimenti delle donne, ai gruppi contro il nucleare, alle organizzazioni come Medici senza frontiere.
Gli esseri umani sono globalizzati ovunque, ma, privati di molti diritti, perché frammentati (nel senso che sono paradossalmente ostacolati nella comunicazione proprio nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione), non possono essere rappresentati nel teatro globale. Inoltre essi sono soggetti alla cronica corruzione, le malattie, la frustrazione, le mutilazioni cominciano prendere la forma di psicosi, dipendenza dalla droga, angoscia, noia.
(…) Mentre gli aspetti negativi della globalizzazione sono ampiamente noti (come l’attacco ai particolari aspetti delle culture e tradizioni locali, che diventano subordinate al mercato e agli interessi delle multinazionali), io sostengo che la collocazione della conoscenza al di fuori dei portatori umani (computer e altri strumenti) comporta anche qualche conseguenza particolarmente positiva. L’oggettivazione della conoscenza e delle abilità dei mediatori non umani (cose che iniziano a pensare, e cose che ci ‘fanno diventare più intelligenti’), determina differenti e contrastanti risultati: 1) la democratizzazione e la diffusione universale della conoscenza 2) l’aumento della proprietà e della capacità di trasmettere le informazioni e da parte del monopolio delle multinazionali 3) una minore enfasi sul lavoro come fonte di valore e la conseguente trasformazione delle relazioni tra lavoro e capitale. Penso che qualcosa di positivo sia incorporato all’interno di questa nuova era, a causa proprio della tendenza alla distribuzione e all’universalizzazione di informazioni e conoscenze. Questo potrebbe condurre a un’interessante distribuzione di nuove possibilità e chance di libertà.
(….) Karl Marx ha descritto nei Grundrisse una possibile evoluzione positiva delle collettività capitalistiche, collegata al ruolo sempre più importante della scienza e delle macchine nella produzione e nello sviluppo di ciò che egli ha chiamato ‘mente generale’. Quando la creazione della ricchezza reale dipenderà meno dal tempo e dalla quantità di lavoro che dallo stato generale della scienza e dal progresso tecnologico, o dall’applicazione della scienza alla produzione, il lavoro non apparirà piu ‘così’ inviluppato all’interno del processo di produzione’, ma piuttosto gli esseri umani saranno ‘più legati a professioni quale quella dei guardiani e dei regolatori del processo di produzione stesso’. Marx sembra predire la presente minimizzazione del lavoro in occidente causata dallo sviluppo tecnologico e collegata alla rivoluzione computazionale (…) si arriverà ad una ‘riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro (…)"


Desidero aggiungere una lucida riflessione di Cesare Del Frate:

Il mercato è un'istituzione sociale creata dagli uomini

"... Il fatto che la globalizzazione debba per forza avere questo volto (disumano) perché dipende dalle leggi del mercato, è un frutto dell'ideologia neoliberista che non corrisponde alla realtà. La delocalizzazione è possibile solo là dove esistono complicatissimi accordi bilaterali o multilaterali fra stati, è possibile solo grazie a una poderosa legislazione internazionale sui diritti di impresa, su quelli di copyright, sui diritti di proprietà etc. insomma, c'è un lavoro immenso dietro all'apparentemente semplice possibilità di delocalizzare, un gigantesco lavoro politico, legale e sociale che va occultato e nascosto per non vedere che non si tratta di adamantine leggi di mercato, ma di scelte politiche precise e deliberate. Il Dio-mercato dei neoliberisti non esiste, o meglio ha la stessa plausibilità ontologica di un unicorno rosa , il mercato è un'istituzione sociale creata dagli uomini. Come una divinità, il mercato ci dà degli ordini spacciandoli per sacre leggi trascendenti, in realtà quegli ordini servono a garantire vantaggi materiali a un manipolo di privilegiati. Il neoliberismo ha bisogno di affermare, con la Tatcher, che "la società non esiste": noi sappiamo che la realtà, e gli uomini, esistono, il mercato invece non esiste, o meglio esiste come istituzione sociale. L'hanno capito benissimo paesi come la Cina e l'India, che non hanno mai obbedito al FMI e hanno sempre operato un'apertura parziale alla globalizzazione, preferendo mantenere molti vincoli protezionistici e di altra natura: e infatti sono quelli che hanno la crescita più alta. Chi ha seguito alla lettera i comandamenti del Dio mercato o è fallito, come l'Argentina e il Messico, oppure è in stagnazione da ventanni (e ora in crisi), come l'Europa...Ormai stiamo arrivando, o siamo già arrivati, a un punto di rottura: non c'è bisogno di essere comunisti (io non lo sono mai stato) per dire che questa forma di capitalismo, cioè l'ideologia neoliberista o fondamentalismo del mercato, è una follia. Ed è una forma di fondamentalismo inteso come prigione mentale che si proclama autoevidente e al di sopra della storia, del giudizio e dell'azione, in quanto il neoliberismo pretende di rivelarci le verità dell'economia come se fossero scolpite nella pietra dal fuoco divino. Purtroppo è un fondamentalismo con cui ci indottrinano quotidianamente dappertutto, affinché mai ci rammentiamo che l'economia e la giustizia dipendono dalle azioni degli uomini e non da una divinità"