(Manal Sharif)
A mio parere regna oggi molta confusione riguardo alla differenza tra cultura/tradizione/libertà religiosa da una parte e violazione di fondamentali diritti umani dall’altra. Tale confusione nasce a causa di una errata interpretazione della fallacia etnocentrica, laddove il filosofo e scienziato cognitivista italiano Lorenzo Magnani (Università di Pavia) offre una lucidissima soluzione in termini logici, facendo il punto sul concetto di progresso morale.
Fallacia etnocentrica
Il sociologo americano W.G. Sumner la definiva in questi termini:
"Il punto di vista secondo il quale il gruppo a cui si appartiene è il centro del mondo e il campione di misura cui si fa riferimento per giudicare tutti gli altri, nel linguaggio tecnico va sotto il nome di etnocentrismo [...] Ogni gruppo esercita la propria fierezza e vanità, dà sfoggio della sua superiorità, esalta le proprie divinità e considera con disprezzo gli stranieri. Ogni gruppo pensa che i propri costumi (folkways) siano gli unici ad essere giusti, e prova soltanto disprezzo per quelli degli altri gruppi, quando vi presta attenzione"
"Il punto di vista secondo il quale il gruppo a cui si appartiene è il centro del mondo e il campione di misura cui si fa riferimento per giudicare tutti gli altri, nel linguaggio tecnico va sotto il nome di etnocentrismo [...] Ogni gruppo esercita la propria fierezza e vanità, dà sfoggio della sua superiorità, esalta le proprie divinità e considera con disprezzo gli stranieri. Ogni gruppo pensa che i propri costumi (folkways) siano gli unici ad essere giusti, e prova soltanto disprezzo per quelli degli altri gruppi, quando vi presta attenzione"
La fallacia etnocentrica dipende dall’incapacità di comprendere il funzionamento di codici linguistici, estetici, morali diversi da quelli a noi familiari. Da cui il concetto di relativismo culturale: non si possono formulare giudizi a prescindere dal contesto culturale di riferimento.
“Questo atteggiamento è per così dire naturale e universale, e anche utile alla coesione di un gruppo sociale, ma porta facilmente, dice Sumner, a "esagerare, ad accentuare i tratti particolari che appartengono ai propri costumi e che distinguono un popolo dagli altri". Quando ciò accade, il naturale atteggiamento etnocentrico si trasforma in pratiche discriminatorie verso gli altri. L'etnocentrismo sarà teorizzato in termini assai simili da altri importanti antropologi, quali fra gli altri l'americano M.Herskowitz e il francese C. Lévi-Strauss. Anch'essi riconoscono l'universalità dell'atteggiamento etnocentrico, ma vedono un segno distintivo del progresso culturale nella capacità di tenerlo sotto controllo, di combatterlo nelle sue forme esasperate, promuovendo non la contrapposizione ma la tolleranza e il dialogo tra le diverse culture. Lévi-Strauss è autore della famosa formulazione secondo la quale barbaro è anzitutto colui che crede nella barbarie - uno slogan rappresentativo, anche nelle sue implicazioni paradossali, della sensibilità antropologica moderna” (Prof. Fabio Dei, Università di Pisa)
“Questo atteggiamento è per così dire naturale e universale, e anche utile alla coesione di un gruppo sociale, ma porta facilmente, dice Sumner, a "esagerare, ad accentuare i tratti particolari che appartengono ai propri costumi e che distinguono un popolo dagli altri". Quando ciò accade, il naturale atteggiamento etnocentrico si trasforma in pratiche discriminatorie verso gli altri. L'etnocentrismo sarà teorizzato in termini assai simili da altri importanti antropologi, quali fra gli altri l'americano M.Herskowitz e il francese C. Lévi-Strauss. Anch'essi riconoscono l'universalità dell'atteggiamento etnocentrico, ma vedono un segno distintivo del progresso culturale nella capacità di tenerlo sotto controllo, di combatterlo nelle sue forme esasperate, promuovendo non la contrapposizione ma la tolleranza e il dialogo tra le diverse culture. Lévi-Strauss è autore della famosa formulazione secondo la quale barbaro è anzitutto colui che crede nella barbarie - uno slogan rappresentativo, anche nelle sue implicazioni paradossali, della sensibilità antropologica moderna” (Prof. Fabio Dei, Università di Pisa)
Il prof. Lorenzo Magnani nel volume “Morality in a technological world. Knowledge as duty” espone il seguente concetto relativo al progresso morale:
“(…) L’idea di una verità universale in etica è certamente un mito, e lo stesso vale per l’idea di trovare criteri possibilmente universali che possano discriminare la migliore fra differenti teorie e/o scelte etiche. Ciò nondimeno ha completamente senso e significato sostenere che il progresso morale è capace di fornire nuova conoscenza etica, adeguata a nuove situazioni, a nuovi bisogni e a nuovi problemi, come abbiamo descritto quando abbiamo trattato dell’idea della conoscenza come dovere. E così è ammissibile anche la pretesa che alcuni atteggiamenti morali siano migliori di altri: l’idea negativa che abbiamo della castrazione femminile è sostenuta dal fatto che ci riferiamo alla nostra tradizione culturale come a quella che ha costruito una grande quantità di r a g i o n i e di c o n o s c e n z a (sul comportamento sessuale, sulle relazioni economiche e sociali, sulla famigila ecc.), in grado di fornire contesti soddisfacenti per analizzare eticamente e condannare quella pratica non solo in un modo puramente emotivo. E’ questa la ragione per cui rinunciamo in alcuni casi al dovere di rispettare e comprendere le pratiche sociali e rituali delle altre culture (relativismo culturale), come la castrazione femminile”
Farò un esempio. Le donne secondo Aristotele, ripreso poi in vario modo da San Tommaso D’Aquino e da molti Padri della Chiesa così come da esponenti della società laica, tra cui anche famosi illuministi (le donne grazie al movimento delle suffragette ottengono il diritto di voto solo 1900 anni d.C., e le prime rivendicazioni femminili – Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft che si batterono tra le altre cose per il diritto alla proprietà e all’istruzione – risalgono a 1700 anni d.C.) sono “maschi sterili”. La donna, poiché non possiede sufficiente calore naturale, è incapace di cuocere il suo liquido mestruale fino al punto di raffinatura, al quale diverrebbe sperma (cioè seme). Perciò il suo solo contributo all’embrione è la materia, ed un campo sul quale può crescere. L’incapacità di produrre seme è la sua insufficienza. Da questa base “biologica” Aristotele partiva per proclamare l’inferiorità della donna. Identico discorso si potrebbe fare relativamente ai diritti degli animali, fondati sulle scoperte della moderna etologia che ha sfatato il luogo comune dell'animale meramente dotato di istinto.
Il progredire della scienza ha dimostrato l’infondatezza di tale teoria (e teorie successive) e quindi anche delle sue conclusioni. Per cui non ci troviamo di fronte ad una tradizione, bensì ad un tipo di società poggiante su considerazioni semplicemente false. Lo stesso si può dire per l’ordinamento giuridico odierno di alcuni paesi confessionali di religione islamica, laddove la non idoneità della donna a svolgere determinate funzioni (in Arabia Saudita non sono autorizzate a guidare la macchina e hanno diritti di voto limitati. In generale a nessuno fa comodo prendere in considerazione i femminismi locali di determinati paesi come ad esempio RAWA, che lotta sia contro il patriarcato locale che contro l'invasore straniero) e quindi la sua inferiorità di fatto e la sua condizione subordinata dipendono sia dal mancato riconoscimento di verità scientifiche (molta l’ignoranza ancora oggi, anche in Italia, sul tema sesso e genere) sia da interpretazioni spesso arbitrarie di testi considerati sacri. In questo senso la conoscenza è motore di progresso morale. Per tradizione io intendo danze, divinità, pratiche culinarie, arte e quant’altro. Quando ci troviamo di fronte alla subordinazione di un essere umano rispetto ad un altro è del tutto semplicistico parlare di tradizione, anzi pericoloso, in quanto con la “tradizione” vengono semplicemente mascherati gli interessi egoistici di determinati gruppi, uguale che si tratti di donne, o popolazioni di altro colore o razza (si vedano le giustificazioni “biologiche” per la schiavitù, l’apartheid o l’antisemitismo). In questo senso potrebbero essere sensate iniziative culturali e di integrazione volte a disincentivare il Burqa, in quanto non si tratta di “costume” ma di un gravissimo segno di discriminazione (spesso interiorizzata dalle donne stesse per ovvie cause), una violazione di diritti umani nei paesi di riferimento che si cerca talora di trasferire in Europa (sono contraria però a multe o simili). Identico discorso potrebbe essere fatto ad esempio per la macellazione rituale. Quando una religione, qualsiasi, pretende di dettare le regole della vita in comune, abbiamo sempre un problema, uguale che si tratti di cattolicesimo o altro. Tenendo presente che il nostro se non è uno stato confessionale di sicuro semiconfessionale (sono per l'abolizione dei Patti Lateranensi).
Forse, per evitare malintesi, dovremmo semplicemente abbinare al concetto di tradizione quello di cultura (intesa come bagaglio di conoscenze ritenute fondamentali , trasmesse di generazione in generazione e alla base del senso comune della stragrande maggioranza della popolazione), che ovviamente non può prescindere dai diritti umani, dalla "corsa" alle pari opportunità: un processo che sulla base delle conoscenze acquisite non può essere semplicemente invertito o impedito.
Sulla base di tali considerazioni non è quindi ammissibile parlare di fallacia etnocentrica, bensì di semplice violazione di fondamentali diritti umani.
Sulla base di tali considerazioni non è quindi ammissibile parlare di fallacia etnocentrica, bensì di semplice violazione di fondamentali diritti umani.
(si veda anche il punto 82 del Menu, tesi dell’asimmetria)
Concludo con una considerazione, liberamente rivista, di Maurilio Orbecchi:
“Le grandi domande sull'uomo hanno determinato la nascita di due settori culturali: la religione e la filosofia. Sono discipline che derivano da persone con idee eterogenee su aspetti essenziali della vita, e producono pertanto differenti visioni del mondo. La scienza, invece, in radicale antitesi a questo modo di procedere, porta a risultati che possono essere controllati empiricamente. Per questo motivo riesce a superare le differenze tra le diverse opinioni e a imporsi nel mondo contemporaneo come il più importante elemento di condivisione interculturale e universale tra gli esseri umani (se non prendiamo in considerazionele frange di quanti hanno problemi con il pensiero razionale). I risultati scientifici sono di tale rilevanza, rispetto alla conoscenza che l'uomo ha di se stesso, da incidere direttamente anche negli altri settori. Religione e filosofia conservano certo una loro libertà espressiva, ma non hanno più tutta la libertà: il limite risiede proprio nell'impossibilità di contraddire in maniera troppo palese le scoperte scientifiche. Se un tempo era possibile costruire una filosofia che individuava nell'acqua e nel fuoco il principio di ogni cosa, oggi sarebbe insensato continuare a farlo (….) Fino a 150 anni fa il libro della Genesi era sostanzialmente proposto come verità letterale, mentre oggi perfino il Papa sostiene che è una narrazione simbolica”
e con questo splendido articolo di Sandro Modeo, che ben si riallaccia alla citazione di C.S. Peirce, che compare all'inizio, nella presentazione di questo sito:
http://lettura.corriere.it/debates/il-suicidio-della-filosofia/
(si vedano anche i punti 96 e 51 del Menu)