C.S. Peirce, MS1101 – 831 (dalla raccolta "Esperienza e Percezione. Percorsi di Fenomenologia, Ed. ETS)
Sulla vera natura del ragionamento
“(…) Che utilità c’è nel definire razionale la formazione di alcune opinioni, mentre altre (che forse conducono agli stessi risultati) sono bollate come cieca applicazione di regole pratiche (rule of thumb) o del principio d’autorità o come pure congetture? Quando ragioniamo partiamo sempre da una certa rappresentazione di uno stato di cose presupposto che assumiamo come vera. Lo chiamiamo la nostra premessa e lavorando su essa produciamo un’altra rappresentazione che dichiara di riferirsi allo stesso stato di cose; la chiamiamo la nostra conclusione. Ma noi facciamo così sia quando agiamo in modo irrazionale secondo una regola pratica sia quando applichiamo una regola aritmetica della quale non ci siamo mai chiesti la ragione. L’irrazionalità qui consiste nel seguire un metodo fissato che non fornisce alcuna garanzia della sua correttezza, così che, se dovesse accadere che la regola non può essere applicata correttamente nel caso su cui stiamo lavorando, finiremmo inevitabilmente fuori strada. In un ragionamento genuino, invece, non siamo sposati al nostro metodo. Lo approviamo deliberatamente, ma siamo sempre pronti e disposti a riesaminarlo, a migliorarlo e a criticare di nuovo il nostro criticismo, senza mai fermarci. Così l’utilità del termine ragionamento consiste nell’aiuto che ci fornisce per distinguere (discriminate) tra le formazioni di rappresentazioni autocritiche e quelle acritiche. Se una macchina funziona in base a un principio stabilito, implicato nella sua programmazione, può essere un valido aiuto nel ragionamento; ma, a meno che non sia costruita in modo da migliorare se stessa qualora si scoprisse che ha un certo difetto, la macchina stessa non può fornire alcuna garanzia che le sue conclusioni siano corrette, anche se potesse elaborare ogni possibile conclusione da alcune premesse. Questa garanzia potrebbe venire solo dal nostro esame critico. Di conseguenza, non sarebbe rigorosamente una macchina che ragiona. L’autocriticismo non può essere mai perfettamente concluso perché anche l’ultimo atto di criticismo è sempre a sua volta aperto a nuove critiche. Finchè siamo disposti all’autocriticismo e a un’indagine ulteriore, questo atteggiamento ci garantisce che, se mai si potesse arrivare alla verità di un certo problema, alla fine della ricerca saremo in grado di raggiungerla. Quando si iniziarono a studiare le menti degli animali più semplici, fu proprio l’invariabilità dei metodi degli animali che spinse gli osservatori a tracciare una netta linea di demarcazione tra Istinto e Ragione. Subito dopo però vennero alla luce alcuni fatti che mostrarono che quella fissità era solo relativa: le api, in un clima in cui è sempre estate e dopo alcune generazioni, cessano di produrre grandi quantità di miele; i castori, se dispongono di nuovi materiali, gradualmente sviluppano nuovi stili per le loro architetture (…) Questi fenomeni rivelano un elemento di autocriticismo e dunque di ragionamento (….) Esistono tre tipi di ragionamento: Induttivo, Deduttivo e Ipotetico. L’ultimo consiste nell’introduzione di un’idea non data all’interno di un groviglio confuso di fatti dati e l’unica giustificazione di tale idea consiste nel fatto che riduce il groviglio all’ordine (…)”