144. No, i broccoli no!



Al punto Nr. 136 del Menu si è affrontata la tematica relativa all’appeal to emotion e si è fatta una distinzione tra argomenti che mirano a convincere e argomenti che cercano di spingere all’azione. Il magnifico esempio dei broccoli, esposto nell’articolo sottostante, rientra nella prima categoria (si trova in combinazione con il pendio scivoloso e la falsa analogia). Il retroscena è offerto dalla riforma sanitaria come proposta da Obama, che tra i vari provvedimenti introduce l’obbligo per i datori di lavoro di contribuire alle spese di previdenza sanitaria per i propri dipendenti (a fondo pagina, in italiano, una sintesi del sistema sanitario americano precedente) nonché obblighi per singoli individui di contrarre assicurazioni sanitarie previi relativi sgravi fiscali e/o facilitazioni.

“ (…) se si obbligano gli americani ad acquistare polizze sanitarie, si potrà poi obbligarli ad acquistare qualsiasi cosa, ivi compresa verdura per taluni disgustosa come i broccoli. Prima o poi chiunque deve comprare del cibo, quindi tu puoi obbligare la gente a comprare i broccoli (…)”

L’argomento del broccolo mira a camuffare due differenti visioni del mondo, da un punto di vista socio-economico. Da una parte il liberismo, che pone al centro dei propri interessi un mercato che autoregolamentandosi permette ad una società di divenire il migliore dei mondi possibili e dove ciascuno è assoluto artefice del proprio destino (si veda anche la just world fallacy), a prescindere dalle condizioni di partenza, che poco o nulla possono incidere sull’ “esito finale”. Dall’altra una società con un più marcato senso dello Stato, al quale viene affidata la tutela di quelle che di volta in volta possono essere considerate le fasce sociali più svantaggiate nonché la salvaguardia delle pari opportunità. La nostra Costituzione ad esempio nell’articolo 32 afferma che “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”. A completare il quadro delle garanzie sociali l’articolo 38: “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia….”. In questo senso è quindi compito dello Stato porre in essere un efficace sistema, idoneo al soddisfacimento e alla implementazione di tali linee guida.

Si noti inoltre l’associazione broccolo/sanità (broccolo=sanità=disgustoso o inutile), laddove si dà l’impressione che chiunque, volendo o dovendo, potrebbe acquistarli, e non menzionando il fatto che i disgustosi broccoli si trovano in gran e bella quantità/qualità prevalentemente nei piani alti, acquistati nonostante non sussista l’obbligo… e soprattutto obbligo di ridistribuzione…(falsa analogia). Un broccolo poi non salva la vita, mentre una cura medica sì. E la salute di ogni singolo individuo riguarda non solo quest’ultimo ma l’intera collettività. Interessante anche l’analogia (falsa) con i grassi e i magri (“lo stato potrebbe intervenire anche per far dimagrire”) dove risulta impossibile non pensare alla problematica nota dei Mc Donald e dei vari additivi inibenti il senso di sazietà.

http://www.nytimes.com/2012/06/14/business/how-broccoli-became-a-symbol-in-the-health-care-debate.html?_r=2&smid=FB-nytimes&WT.mc_id=BU-E-FB-SM-LIN-HBB-061412-NYT-NA&WT.mc_ev=click

"What does broccoli have to do with health insurance? Broccoli On Supreme Court Men

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Until recently, nothing. But now, perhaps a lot.  Broccoli, of all things, came up in the Supreme Court during arguments over the constitutionality of the Obama administration’s health care legislation. If Congress can require Americans to buy health insurance, Justice Antonin Scalia asked, could it force people to buy just about anything — including a green vegetable that many find distasteful?

“Everybody has to buy food sooner or later,” he said. “Therefore, you can make people buy broccoli.”

Since then broccoli has captured the public imagination and become the defining symbol for what may be the most important Supreme Court ruling in decades, one that is expected any day and could narrow the established limits of federal power and even overturn the legal underpinnings of the New Deal.  If the court strikes down the health care law — which many constitutional experts on both the right and left long doubted it would do — many lawyers say they believe one reason may be the role of broccoli in shaping the debate. It turns out that broccoli did not spring from the mind of Justice Scalia. The vegetable trail leads backward through conservative media and pundits. Before reaching the Supreme Court, vegetables were cited by a federal judge in Florida with a libertarian streak; in an Internet video financed by libertarian and ultraconservative backers; at a Congressional hearing by a Republican senator; and an op-ed column by David B. Rivkin Jr., a libertarian lawyer whose family emigrated from the former Soviet Union when he was 10. Even those who reject the broccoli argument appreciate its simplicity. Whatever the Supreme Court rules, Mr. Rivkin and his libertarian allies have turned the decision into a cliffhanger that few thought possible. “I have some grudging admiration for them,” said Akhil Amar, a professor of law and political science at Yale and author of a book on the Constitution. “All the more so because it’s such a bad argument. They have been politically brilliant. They needed a simplistic metaphor, and in broccoli they got it.” The seeds of the broccoli debate date back to the early 1990s, when President Bill Clinton first proposed a universal health care plan. It included a requirement that all businesses provide health insurance to their employees. “How can the government do that?” Mr. Rivkin wondered, explaining, “It’s just the way I am.” Mr. Rivkin attended Georgetown University while working three jobs, including cleaning animal cages at a lab. He later worked in the White House counsel’s office under President George H. W. Bush and now, at 55, is a partner in the Washington office of the law firm Baker Hostetler. “I’m driven by two things,” he said. “Enormous appreciation bordering on burning love for the American system. It gives people with drive and motivation and hard work an opportunity to be all you can be. And a healthy suspicion of governmental power, having come from an environment where you had an all-powerful totalitarian government.” With his law partner Lee A. Casey, Mr. Rivkin took aim at Congress’s power under the commerce clause of the Constitution. It had become the source of ever-expanding legislative power since Chief Justice John Marshall wrote in 1824 that Congressional power to regulate commerce “may be exercised to its utmost extent.” In a September 1993 commentary in The Wall Street Journal, Mr. Rivkin and Mr. Casey argued that the Clinton proposal was unconstitutional. Requiring Americans to buy insurance went a step beyond a famous 1942 case, Wickard v. Filburn, which has long been a thorn in the side of those who opposed the New Deal. In it, the Supreme Court ruled that Congress had the power to prevent a farmer from growing wheat for his own consumption on the theory that any wheat affected the total supply, and thus fell within interstate commerce. The health care law, the two lawyers maintained, did not ban an existing activity like growing wheat, but forced people who were doing nothing to act in a certain way. If Congress could regulate inactivity, they argued, there might be no limit to what it could force people to do. “If Congress thinks Americans are too fat,” the article said, “can it not decree that Americans shall lose weight?” “Would the Bill of Rights intervene?” it continued. “Maybe, and maybe not. There is no specific right to eat when and how you like.” The Clinton administration’s health care effort collapsed. But Mr. Rivkin’s unorthodox theory lived on, nurtured by “a small but discernible, libertarian segment of academia,” he said. One advocate, Ilya Shapiro of the Cato Institute, said “we were treated with condescension bordering on rudeness” by the legal establishment. Mr. Rivkin recalled, “We were met with howls of derision.”

http://www.instoria.it/home/riforma_sanitaria_USA.htm

 

“La riforma sanitaria americana è diventata ormai un’esigenza di base per quasi 43 milioni di americani.Ma è anche diventata, come era ovvio che fosse, la posta al gioco di una partita politica fondamentale e senza precedenti. Il sistema sanitario americano (sistema, nella sua struttura di funzionamento, unico al mondo) si basa in sostanza su due enormi apparati statali: Medicare e Medicaid, affiancati o, se si preferisce, surclassati, da una fittissima rete di assistenza privata (ospedali, ricoveri, cliniche, laboratori, ambulatori, assicurazioni sanitarie etc.)

Se Medicare gestisce l’assistenza a livello nazionale di ultrasessantenni e studenti universitari, Medicaid ne coordina invece, a livello federale e dei singoli stati, le fasce sociali da reddito minimo. Ma la questione non è così lineare.
Seppur l’assistenza più semplice sembra essere quindi garantita per coloro considerati non abbienti, non tutti gli appartenenti alle fasce più povere riescono a rientrare nei programmi; in particolar modo nel corso degli anni il problema maggiore ha riguardato i rimborsi monetari a medici e ospedali che eseguono, in associazione con Medicare e Medicaid, assistenza gratuita. Sempre più spesso gli Stati federali, dai bilanci disastrosi, hanno contestato e non erogato, molti dei rimborsi richiesti da strutture e personale medico per tutte le spese vive sostenute durante l’assistenza, costringendo entrambi a orientarsi sempre più verso le uniche prestazioni private, tramite copertura di assicurazioni sanitarie .La questione dei rimborsi è davvero spinosa. Nel corso degli anni ‘90 e a tutt’oggi gli Stati Uniti sono stati il paese dal maggior consumo di medicinali al mondo, medicinali che nel corso degli anni hanno visto il loro prezzo aumentare esponenzialmente. Negli Stati Uniti, infatti, a differenza degli altri paesi, il prezzo del farmaco è discrezionale, non può quindi venire concordato in tandem dalle compagnie farmaceutiche e lo Stato. Il risultato non è soltanto un prezzo volubile, ma soprattutto, il carico totale della spesa per la messa in commercio del farmaco, sull’acquirente.
In totale negli Stati Uniti, ogni individuo spende mediamente per acquisti farmaceutici o spese sanitarie di primo livello, circa $ 7000 l’anno. A fianco delle due istituzioni statali esiste però un mondo parallelo più remunerativo. Circa 200 milioni di americani sono coperti da una polizza assicurativa sanitaria privata.
Ed è forse in mezzo a quest’enorme massa di gente che si cela il reale pericolo di un sistema in mano alla lobby delle assicurazioni. La maggior parte dei cittadini assicurati riesce a ottenere copertura medica tramite l’occupazione lavorativa. Si ha un lavoro, di conseguenza si riesce a ottenere dalla propria impresa un’assicurazione (considerata un benefit aziendale).Le polizze assicurative, però, risultano essere spesso eccessivamente costose (€ 2000 per dipendente l’anno), lasciando all’impresa la libera decisione di pagare o non pagare…quindi spesso hai un lavoro, ma niente assicurazione. Solitamente, se l’impresa ha la possibilità di garantire una polizza ai dipendenti, si rivolge a una HMO (Health Maintenance Organization), organizzazione per il mantenimento della salute, che a fronte di una quota fissa annuale, garantisce prestazioni mediche di varia natura, in strutture private e con personale specializzato, indicati obbligatoriamente dalla HMO. Esiste inoltre, ovviamente, la possibilità di stipulare privatamente una polizza sanitaria assicurativa a rimborso (la più costosa in assoluto), o convenzionale (con una HMO).
Ma i trucchi si sprecano. In linea con le politiche di tutte le compagnie assicurative del mondo, una malattia può anche essere coperta, altre no. I rimborsi possono quindi essere concessi, altre volte no. I cavilli sono innumerevoli e la lettura di tutte le postille di un contratto assicurativo richiederebbe sforzo disumano e pazienza degna di Giobbe. A ogni modo, in linea generale, se hai un’assicurazione puoi ammalarti, altrimenti potrai ritrovarti in debito con lo Stato americano per migliaia e migliaia di dollari in spese sanitarie, rimborsabili per il resto di tutta la vita, in comode rate mensili. Il paradosso è ovviamente che più le malattie si diffondono (vedi il cancro), più si raffina l’avanguardia tecnologica medica, crescono quindi i costi per le cure, per le attrezzature e per nuovissimi e innovativi farmaci, maggiore di conseguenza diventa la richiesta di individui singoli per la copertura assicurativa, che, a quel punto, aumenta a dismisura il costo delle polizze. Nel 2000, il “Journal of the American Medical Association” elevava la critica nei confronti del sistema sanitario fino a renderla vera e propria denuncia sociale. Secondo una ricerca, nell’ultimo ventennio, il malfunzionamento dello stesso sistema, con la bipartizione capitalistica tra statale e privato, ha portato alla morte di quasi 230.000 persone.45.000 persone decedute, nel 2008, solo perché sprovviste di assicurazione .La terza causa di morte al mondo, dopo le malattie incurabili del cuore e le agonie senza luce dei tumori. A rimpolpare il numero ci pensa in verità anche il sistema nazionale. Circa 15.000 pazienti sono deceduti in seguito a cure od operazioni non necessarie... In altre parole: tu entri in un ospedale, pubblico o privato che sia, hai male magari a un braccio e ti operano al cuore senza motivo, facendoti morire per 15.000 volte sotto i ferri. Di certo può succedere lì, come nel nostro paese, che di mala sanità è un esperto. Ma negli Usa la motivazione che porta all’intervento inutile (e fatalmente alla morte) è diverso: più interventi o visite effettui, più alto sarà il rimborso concesso alla strutture dallo Stato, oppure, maggiore sarà la spesa che il non assicurato si troverà a dover sborsare, terminato il “sezionamento”.
Magie del denaro. Il paragone è molto semplice: Il nostro paese (15° nella classifica dei migliori sistemi sanitari al mondo), spende all’anno circa l’8% del PIL annuale per il sistema sanitario nazionale, sovvenzionandolo con fondi statali e introiti dai pagamenti dei cosiddetti ticket (piccoli pagamenti per cure di ogni genere, differenziati a seconda del reddito). Gli Stati Uniti ne spendono invece circa il 15%. In sostanza il sistema sanitario americano è il più caro al mondo… ma allo stesso tempo il più redditizio. Come abbiamo visto, in gran parte questa spesa è a carico esclusivo degli utenti, che in svariate modalità, riconducono denaro nelle casse dello stato o in quelle strabordanti delle compagnie di assicurazioni. Se si aggiunge inoltre che il settore delle assicurazioni private, della previdenza e dell’assistenza sociale è il primo settore occupazionale degli Stati Uniti, al cui interno lavorano 15,5 milioni di individui, il ragionamento è elementare. Diventa quasi ovvia la risposta alla domanda che tutto il mondo si pone: Perchè gli Usa, da sempre decisa bandiera di democrazia e integrazione sociale, uccidono ogni anno, consapevolmente, 50.000 persone?La salute è un mercato, un commercio di individui, dove tutti abbiamo un valore.

Ora, dopo 16 anni dall’ultimo tentativo di iniziare una seria riforma sanitaria a opera di Bill Clinton, il democratico Obama ci riprova. L’obiettivo è quello di fornire un vero e proprio servizio assicurativo, ma statale, rivolto a un maggior numero di americani precari, disoccupati, invalidi e anziani, che potrebbero avere così accesso a cure sia poco che molto costose. L’intervento statale sarebbe quindi massiccio. La riforma prevedrebbe, con i termini di Obama, non una “statalizzazione” totale, ma bensì una “razionalizzazione” seria e oculata del sistema. La legge provvederebbe, infatti, a una coordinazione tra le già esistenti Medicare e Medicaid, e un mosaico composito di organizzazioni no profit, una specie appunto di assicurazioni pubbliche, finanziate dallo Stato, che servirebbero a mediare il mercato con le assicurazioni sanitarie private. In qualche modo istituirebbe una terza via mediana tra il sociale e il privato. Fin dalla sua prima esposizione, il progetto ha incontrato varie problematiche. Avversioni alla riforma sono state ostentate non solo dai repubblicani, oscurati nell’ultimo anno dall’ascesa inarrestabile del nuovo leader della nazione, ma anche dalla frangia più conservatrice dello stesso partito democratico e dalla parte dei “blue dogs”, democratici moderati. Lo spauracchio del socialismo è esposto, quotidianamente, all’opinione pubblica americana. Lo spirito di iniziativa, le sue idee di rinnovamento e la questione interrazziale che porta sul suo volto, hanno fatto vincere l’elezione a Barack Obama.Ora la cittadinanza votante è però confinata a semplice spettatrice e i suoi stessi punti forti sono diventati, davanti al congresso e al senato, punti deboli. Il bolscevico Obama può essere una minaccia al sistema capitalistico americano. E i dati purtroppo parlano chiaro. Nonostante la massiccia presenza, nell’ultima settimana, del presidente in numerose emittenti televisive, con lo scopo di promuovere e chiarire la riforma in molti punti, il sostegno alla legge tra il popolo è solo al 48%. Il 13 settembre un migliaio di cittadini hanno stazionato di fronte all’ingresso della Casa bianca per ore. Un folto numero di repubblicani sono scesi in piazza a protestare contro un governo “impazzito” e una riforma “che aggraverebbe enormemente il debito pubblico” e “dai tratti comunisti”.A questo punto l’America è a un bivio. I cambiamenti, si sa, fanno paura. Piccoli o grandi che siano. Obama rimarrà forse come il presidente più rivoluzionario, più eloquente, acculturato e impegnato della storia americana. Basterà Lui con la sua voce rassicurante, le sue parole, piene di coraggio, le sue scelte, scevre di tornaconti economici, le sue idee, al passo con la società e l’ambiente, a far cambiare rotta a un popolo confuso e impaurito?”