156. Libero Arbitrio?




Necessario più che reale

Comincio a trattare il tema partendo da un' impossibile distinzione “ontologica”.

Rischiando l’eccessiva semplificazione cerco di riassumere, dopo molte letture, perché a mio avviso la distinzione tra animali umani e non umani sulla base di quello che viene definito libero arbitrio è del tutto insensata:  la vita di ogni singola specie vivente è caratterizzata e può essere definita come una incessante attività di problem solving relativamente agli  i n t e r e s s i  propri della specie cui appartiene. Come direbbe Dennet persino “l’umile rospo” possiede un qualche grado di libertà nelle sue risposte alle novità, modificando lentamente gli schemi  delle sue attività per seguire quei cambiamenti nelle caratteristiche del suo ambiente che contano di più per il suo benessere.

Secondo Dennet 4 mezzi contribuiscono al progetto/indagine della coscienza umana: evoluzione genetica, plasticità fenotipica, evoluzione memetica o di trasmissione di unità culturali (fenomeno estremamente recente, divenuta forza potente solo negli ultimi 100.000 anni parallelamente all’evoluzione del linguaggio ed esplodendo con lo sviluppo delle civiltà meno di diecimila anni fa),  ed infine (il più recente) l’ingegneria neuroscientifica. Ora, pur volendo ignorare completamente i risultati della moderna etologia cognitiva concentrandoci sul rospo “ideale”  di cui sopra, ne risulterà che il nostro cervello attraverso lo sviluppo del linguaggio ha acquisito la capacità di tramandare e memorizzare di generazione in generazione  una immensa mole di dati ed esperienze (cultura).

Il linguaggio (e successivamente i vari artefatti cognitivi) si configura quindi come il più importante utensile (proprio nel senso di tool, Werkzeug) del cervello nella trasmissione culturale umana,  consentendo un più vasto spettro di scelte. Ma scegliere tra pane e acqua oppure tra pane acqua vino formaggio dolce comporta semmai una differenza nel numero di possibilità e soluzioni ma non di qualità nel senso di capacità di discernere tra le possibilità a propria disposizione (sempre che formaggio e dolce possano interessare al rospo ideale di cui sopra, per questo motivo parlo sempre in termini di interessi propri di ciascuna specie).

L. Magnani direbbe inoltre che la moralità, come la cognizione, è distribuita ed in questo senso non penso si discosti moltissimo da Dennet, che rifiutando l’homunculus introduce una sorta di democrazia anziché monarchia al nostro interno, intesa come “coalizioni” di memi.

Altro quesito fondamentale è poi: Cui bono? Vale a dire, a chi giova e a chi interessa questo maggiore (uso comparativi, poco sensati a mio avviso, solo per una migliore comprensione sulla base dei luoghi comuni) spettro di possibilità offerto dalla cultura umana? All’uomo stesso ovviamente. Possiamo dimostrare che esso vada a vantaggio dell’intero pianeta nell’interesse di ogni vivente? Non penso proprio. Giù dal trono quindi, il nostro limite è quello di tutti gli altri, la nostra specie.

Giungiamo quindi a quella che i tedeschi chiamerebbero Gretchenfrage: cosa ne è della responsabilità morale, del giudizio etico? Direi che è “salva” anche se la prospettiva è diversa: essa è più necessaria che reale. Gli uomini si trovano dinanzi ad una serie non illimitata di scelte e di “comandamenti” che altro non sono che il risultato di una millenaria esperienza ai fini del bene comune, necessari in ottica evolutiva. Le religioni preesistono agli stati e il loro ruolo in questo senso è stato fondamentale, quale memoria storica e sistema di codificazione ( Nr. 32 Menu).

I 10 comandamenti (non molti in definitiva) sono simili in tutte le religioni, anche se ciascuna ha elaborato singoli punti in maniera autonoma e originale. Poiché il comportamento morale nell’accezione di cui sopra è garantito sia dalla conoscenza (Nr. 51 Menu) che in una certa misura dalla parità di opportunità o condizioni iniziali, ogni società moderna si sforza in tal senso, al fine di un “equo” giudizio. L’obiettivo è lungi dall’essere raggiunto, e anche il diritto,  in continua evoluzione (come la morale), riflettente  nel suo nucleo originario  i comandamenti ovvero le regole etiche basilari per la convivenza umana (non uccidere, non rubare…) ammette “scusanti”, seppure entro certi limiti altrimenti sarebbe il caos. In questo senso necessaria, più che reale.

Obiezioni bene accette, lavori in corso….

(si vedano anche i punti 150, 63, 59, 155)

Un interessante link sul tema (scientists say free will probably doesn't exist, but urge don't stop believing):

http://blogs.scientificamerican.com/bering-in-mind/2010/04/06/scientists-say-free-will-probably-doesnt-exist-but-urge-dont-stop-believing/

di grandissimo interesse anche il seguente articolo sul “naïve dualism.” This is the belief that acts are brought about either by intentions or by the physical laws that govern our brains and that those two types of causes — psychological and biological — are categorically distinct". A mio avviso non viene qui citato il tema cruciale, quello politico: in determinate società si tende ad escludere, come i partecipanti all'esperimento, nonostante prove schiaccianti, l'incidenza dei problemi sociali, in quanto ciò metterebbe a rischio l'impostazione gerarchica corrente e le responsabilità correlate:

http://www.nytimes.com/2012/07/29/opinion/sunday/neuroscience-and-moral-responsibility.html?_r=2&smid=fb-share

http://psychnews.psychiatryonline.org/newsArticle.aspx?articleid=1284629