182. Fallacia del finto tonto

“Quello che lei dice supera la mia debole comprensione: sarà senz'altro giustissimo, ma io non riesco a capirlo e rinuncio a ogni giudizio ». Con ciò, negli uditori presso i quali si è tenuti in considerazione, si insinua che si tratta di una cosa insensata.” (A. Schopenhauer).

F. Rossi analizza la fallacia come segue:

“formalizzando il discorso suona come: "se ciò che tu dici è corretto e io non lo capisco allora io sono stupido, ma siccome io non sono stupido allora ciò che dici è sbagliato". Si tratta cioè di falsificare l'affermazione X di un interlocutore senza entrare realmente nel merito. Direi che è un modo rischioso di procedere, se l'interlocutore dimostra che la sua affermazione X è vera dimostrerà allo stesso tempo che la condizione posta è vera, cioè che l'intelligenza di chi non l'ha capita è limitata.  La potremmo anche chiamare "fallacia del finto tonto. La regola utilizzata dalla fallacia è il modus tollens:



[(P --> Q) ∧ ¬ Q] --> ¬P

dove

P= ciò che dici è corretto/ha senso
Q= la mia comprensione è debole/io sono stupido

La fallacia come già detto consiste nel tentativo di FAR APPARIRE COME FALSA un'affermazione invece di FALSIFICARLA attenendosi ai contenuti"


E infatti Schopenhauer prosegue in questo modo:

Molti professori della vecchia scuola eclettica all'apparire della Critica della ragione pura o, meglio, quando essa iniziò a suscitare scalpore, dichiararono:
<< Noi non la capiamo », e conciò pensarono di essersen disfatti. Quando però alcuni adepti della nuova scuola mostrarono loro che avevano proprio ragione e davvero non la capivano, il loro umore ebbe un brusco cambiamento".