202. perle ai porci

(Mt 7,6) "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi".

 

Sul gruppo FB di Fallacie Logiche è stato oggi messo a discussione il versetto evangelico di cui sopra. L’intento del proponente era  quello di prendere in considerazione la pubblica discussione quale forma di attivismo in senso  ampiamente inteso (culturale, politico, sociale, religioso) ed i problemi ad essa connessi (troll, incomprensioni di base, il disconoscere l’epistemic bubble di cui in misura maggiore o minore tutti siamo vittime, da cui il quesito: parlare con chi, come e perché). Mi ha molto colpito la seguente riflessione di Chiara Santagada, che volentieri riporto:

 

“I due suggerimenti di Gesù sono affini ma non identici. A parte il fatto che mi sembrerebbe più opportuno tradurre il “το αγιον” greco e il “sanctum” latino con “ciò che è santo”, perché la versione “le cose sante” fa pensare troppo all’oggettistica religiosa, direi che sussiste una sorta di climax tra la prima parte dell’esortazione e la seconda. Intendo dire che tra il generico “cose sante” e lo specifico “perle” ci sono importanti differenze qualitative, soprattutto se si considerano le valenze simboliche della “margarita” in ambito esoterico. Sembra inoltre che lo stesso Cristo sia stato visto (da Giovanni Battista ) come “la perla spirituale”, cioè quanto di più bello, luminoso e prezioso possa esistere. Solo tenendo conto di tutti questi significati la frase di Matteo acquista un senso. A chi infatti potrebbe mai venire in mente di offrire davvero, materialmente, ciò che è santo ai cani e ciò che è perfetto e di grande valore ai maiali? Siamo evidentemente in ambito metaforico, principalmente per quanto riguarda il secondo dei due gesti. Non solo dare le perle ai porci è un inconcepibile spreco, ma in un certo senso è una sorta di ingiuria nei confronti degli animali stessi, che non sono per natura in grado di apprezzare il dono. Essi lo percepiranno come beffa e dileggio; non avendone bisogno, al momento, pretenderanno ciò che veramente gli occorre: cibo per la loro carne, non per il loro spirito. Incolpevoli, si infuriano con il donatore da cui, malgrado le sue intenzioni, sentono di essere stati illusi e delusi. Tra parentesi, la loro reazione è violenta, mentre quella dei cani non viene descritta, come se essi rimanessero sostanzialmente indifferenti al dono sbagliato: i porci invece replicano secondo il loro istinto, calpestando le perle e rivoltandosi con l’intento di uccidere e, forse, anche di divorare il donatore malaccorto. Vendetta e bruta bramosia li caratterizza, ma non c’è astio né riprovazione nell’insegnamento di Gesù. Se ipotizziamo che lui sapesse, o almeno presentisse, la fine che presto avrebbe fatto ad opera dei “porci” cui stava dando la perla più preziosa – il proprio Evangelium e infine se stesso tutto intero – diventa più comprensibile l’estrema preghiera rivolta al Padre dalla croce: - Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
[Questo scritto fa parte di un testo a cui sto lavorando da tempo e che si intitolerà probabilmente EVANGELIUM AD USUM AGNOSTICORUM]

Felicita Quagliozzi sintetizza la sua posizione nel seguente modo: per me, braccata dalla perpetua carenza di tempo, il precetto ha a che vedere col prosaico 'scegli le tue battaglie' - e 'delimita l'area in cui il tuo contributo ha buone chance di essere fertile'”. E condivido parimenti.