In tempi di crisi ed inevitabilmente di crescenti populismi vengono talora messi a confronto i costi volti a supportare la cultura ampiamente intesa (mostre, concerti, convegni, teatro...) con quelli volti a supportare il welfare, come se si trattasse di cose distinte ed i primi andassero a scapito degli ultimi. Premesso che una cosa sono i principi di carattere generale altra le singole scelte a favore di questo o quell'evento, desidero riflettere sulla portata a mio avviso potenzialmente eversiva e antidemocratica di un tale "ragionamento".
Amy Guttmann ha sottolineato come "Sin dagli albori, la democrazia non si è mai basata esclusivamente sul potere della maggioranza. I più grandi esponenti del pensiero democratico classico - filosofi come Rousseau, John Stuart Mill e John Dewey - erano convinti che il potere della maggioranza nascondesse il pericolo di una sua tirannia. Si rendeva, dunque, necessario studiare il modo migliore di affidare alla maggioranza il destino politico di un paese e vedere per quale motivo l'unico modo per riuscirci era far sì che tutti i cittadini venissero educati a conoscere i propri interessi. La democrazia, infatti, si basa sulla premessa che i cittadini conoscano perfettamente i loro interessi. Tale premessa è realizzabile solo se le persone non sono analfabete, se ricevono un'istruzione che chiarisca loro cosa è meglio, sia per se stessi che per la società in generale."
Socraticamente si tratta ora di definire la "cultura". Se per cultura intendiamo l'insieme di conoscenze che concorrono a formare la personalità e ad affinare le capacità ragionative di un individuo nonché l'insieme delle conoscenze letterarie, scientifiche, artistiche e delle istituzioni sociali e politiche proprie di un intero popolo, o di una sua componente sociale, in un dato momento storico, e se siamo d'accordo con il fatto che il percorso culturale non puó esaurirsi con il termine di un qualsiasi ciclo di studi, dell'obbligo o meno, capiremo che essa non è solo strumentale per il raggiungimento della democrazia (voto consapevole) ma fa parte del concetto stesso di cittadinanza, che include la comprensione e il rispetto per i modi di vivere degli altri, quella tolleranza e quel rispetto della diversità per i quali i nostri antenati hanno sacrificato anche la vita.
A ció si aggiunga il fatto, non irrilevante, che solamente in un regime democratico possono essere prese decisioni che contemplino le esigenze economiche di tutti, da cui il legame inscindibile tra cultura, welfare e democrazia.
«La considerazione centrale - tuona Caburlotto - non è e non deve esser mai la proporzionalità del vantaggio economico, quanto l’effetto in termini di crescita culturale e della capacità dei cittadini di essere, grazie proprio alla cultura, per l’appunto cittadini, e non sudditi. Fino a che - aggiunge - si continuerà a considerare la cultura un lusso e non un elemento determinante ed irrinunciabile del «welfare state», resteremo sempre una nazione povera e arretrata, incapace di crescere globalmente (e non solo nei profitti di bar e alberghi di questa o quella città organizzatrice di questa o quella mostra), incapace di creare e di essere concorrenziale nelle idee».