242. Lobby e Associazione



Talora il termine associazione viene impiegato quale sinonimo di lobby. L’impiego non è casuale in quanto mira a delegittimare i mezzi impiegati dalla prima e in definitiva i valori posti alla sua base.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a gruppi di persone che aderiscono ad una causa comune con il fine del raggiungimento di determinati obiettivi. Il discrimine può essere trovato sia nei mezzi impiegati sia nel tipo di finalità. La lobby (vc. inglese, originariamente passaggio coperto in un monastero) rappresenta un gruppo di persone che si propone di esercitare la propria influenza in campo politico generalmente in modo occulto e prevalentemente con finalità di tipo economico-finanziario. L’influenza viene spesso esercitata grazie al potere economico-finanziario già acquisito, laddove il mantenimento dello status-quo è il target minimo. La lobby non mira a modificare la sensibilità del grande pubblico per modificare la legislazione sulla base di un grande consenso (i banchieri o i petrolieri raramente manifestano, organizzano flash mob, radunano attorno a sé ampi strati della popolazione a sostegno della causa) bensi ad ottenere il proprio vantaggio attraverso pressioni occulte quando non illecite  su coloro che detengono il potere decisionale.

Facendo una rapida escursione sul web noterete come taluni definiscano lobbies i movimenti animalisti (nel peggiore dei casi “animalari”, quale magnifico esempio di genocidio intellettuale, ben illustrato  dal filosofo e scienziato cognitivista italiano L. Magnani in “Filosofia della Violenza”).

Le motivazioni che spingono ad incrementare progressivamente i diritti degli animali non umani sono di diversa natura, non da ultimo scientifiche e anche “utilitaristiche” nel senso di salvezza di quella biodiversità senza la quale il nostro pianeta (e quindi pure noi) perirebbe: si vedano tutte le problematiche, tra le molte, relative agli allevamenti intensivi, illustrate anche dal prof. Veronesi in un suo testo sulla scelta vegetariana. Pur poggiando a mio avviso, ed in ultima analisi, su quella che già A. Schopenhauer definì, in un periodo in cui i fenomeni empatici non potevano ancora essere confermati su base scientifica dai neuroni a specchio,

“il quotidiano fenomeno della compassione, cioè della immediata partecipazione, indipendente da ogni altro riguardo, alla sofferenza di un altro e con ciò all’impedimento o annullamento di questo dolore, nel quale alla fine consiste ogni soddisfazione, ogni benessere e ogni felicità”.

Attraverso queste poche righe si può comprendere la abissale differenza di orizzonti tra una lobby ed una associazione.

A proposito delle associazioni animaliste trovo significativo come già A. Schopenhauer ne parli ampiamente ne “Il Fondamento della Morale” intorno al 1840: “(…) questa lacuna è precisamente la causa per cui in Europa e in America c’è bisogno delle associazioni per la protezione degli animali, le quali a loro volta possono agire solo con l’aiuto della giustizia e della polizia (…). Ma anche in  Europa si sta svegliando sempre di più la comprensione per i diritti degli animali, a misura che gli strani concetti di un mondo animale esistente soltanto per essere utile agli uomini e a divertirli, di maniera che gli animali vengono trattati come se fossero cose, impallidiscono, e a poco a poco scompaiono (…) A Londra esiste una società di volontari, Society for the prevention of cruelty to animals, la quale in via privata e con notevoli spese fa molto per impedire la tortura degli animali. I suoi emissari svolgono opera di sorveglianza per farsi poi delatori di chi tormenta esseri privi della parola, ma sensibili, sicchè si teme dappertutto la loro presenza. Presso i ponti ripidi di Londra la società mantiene una coppia di cavalli che vengono attaccati gratuitamente a ogni carro troppo carico (…) Anche la Philantropic Society di Londra stabilì nel 1837 un premio di 30 sterline per il migliore trattato sui motivi morali che vietano la tortura degli animali (…) A Filadelfia esiste una Animal friends society che persegue scopi simili. Thomas Forster, un inglese, dedicò al presidente di questa società il libro Philazoia, Moral Reflection on the actual condition of animals and the means of improving the same, Bruxelles 1839”. A. Schopenhauer, a riprova di quanto questi principi venissero presi sul serio, traduce un articolo dal Birmingham Journal del dicembre 1839: “Cattura di una compagnia di 84 organizzatori di corse dei cani. Siccome si era venuti a sapere che ieri…doveva aver luogo una corsa di cani, la società zoofila prese le sue misure per assicurarsi l’aiuto della polizia, un forte distaccamento della quale marciò verso il campo di battaglia e, appena ottenuto l’ingresso, arrestò tutta la compagnia presente. Questi partecipanti vennero legati a due a due con manette e assicurati a una lunga fune nel mezzo…”. A. Schopenhauer riporta anche il caso della figlia di un baronetto che aveva torturato crudelmente il proprio cavallo. Ella non solo fu sanzionata ma fu sbattuta in prima pagina dal Times, che ne pubblicò nome e cognome, proseguendo “(…) non possiamo fare a meno di dire che un paio di mesi di prigione con alcune frustate…sarebbero state un castigo più adatto (…)”.

Forse il concetto di lobby potrebbe essere espresso anche parafrasando nel seguente modo…essa   porta con sé come rappresentazione l’unico mondo che essa conosce realmente e del quale ha contezza, e ne è quindi il centro. Appunto perciò essa è per sé  tutto e si trova a possedere ogni realtà e nulla può essere più importante di essa stessa. Ora, mentre nella sua opinione soggettiva il suo io si presenta in grandezza enorme, nella oggettiva si riduce quasi a nulla, cioè press’a poco a un miliardesimo dell’umanità ora vivente.

Grazie, Arthur, per gli attualissimi spunti di riflessione.

http://asinusnovus.wordpress.com/2013/08/28/lobby-e-associazione/


http://www.repubblica.it/rubriche/la-parola/2011/12/16/news/lobby-26740927/ (ad ulteriore delucidazione del concetto di lobby)

 "voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di 'passaggio', 'corridoio'; in tedesco, Laube, portico).  Il significato attuale  -   'gruppo di pressione', 'gruppo di interesse'  -  nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali  -  i lobbisti  -  fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.

Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico.  Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo  -  pur diffusissimo  -  è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l'interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.
      
L'esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi  -  anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti  - . Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare  -  e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto  -  è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di 'trionfo del particolare', che lede sia l'autonomia della politica sia l'uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti  (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.
   
Tramontata da molti decenni l'ipotesi corporativa  -  che consisteva nel dare rilievo pubblico  e giuridico agli interessi sociali organizzati, all'interno di uno Stato autoritario  - , la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l'anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell'aula.  
    
Oggi, così,  le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a  danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come
free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un 'si salvi chi può' permanente,  è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno." (Carlo  Galli)

 Nota a margine: Si noti la falla nella falla in alcuni commenti all’articolo. La verità nell’etimologia: indifferente quanto l’uso sia variato o quale sia oggi l’accezione piú comune, corretto è adeguarsi al significato originario. Per cui se qualcuno ci desse del lobbista o del negro dovremmo limitarci a ringraziare. Da alcuni autori viene definito argomento o fallacia etimologica. La fallacia mi pare avere due accezioni (affronteremo l’argomento prossimamente): 1) esempio: matrimonio deriva da mater, quindi il matrimonio DEVE contemplare uomo e donna e figli. Pensiamo poi a patrimonio…pater che DOVREBBE quindi avere il controllo su di esso….2) non si tiene conto della mutevolezza del linguaggio restando radicati all’accezione originaria, talora per trollaggio talora nella sincera convinzione che sia giusto farlo.

Un interlocutore ha poi giustamente fatto notare come il termine lobby venga spesso impiegato, con identici intenti, anche nei confronti delle associazioni omosessuali.