Un articolo di Daniela Ovadia comparso su “Mente & Cervello” di settembre è titolato “Occhio al Gorilla”. Viene riportato l’esperimento condotto nel 1999 nell’Università di Harvard da Daniel J. Simons, dell’Università dell’Illinois, e Christopher F.Chabris, sui propri studenti. A questi viene chiesto di guardare un video, dove compariranno due squadre, una in maglia bianca e una in maglia nera, che giocano a basket. Viene chiesta concentrazione sui giocatori in maglia bianca e di contare i passaggi di palla. Gli studenti seguono il filmato: non è facile seguire la palla che schizza da un lato all’altro dello schermo.
Al termine del filmato Chabris chiede “Che ne pensate del gorilla?”. La platea lo guarda attonito. Riguardando il filmato gli studenti notano come un individuo in costume di gorilla, circa a metà filmato, si ferma in mezzo alla scena, si batte il petto e poi esce dallo schermo. Il fenomeno è noto come cecità attenzionale e consiste nell’incapacità di notare uno stimolo inatteso presente nel campo visivo quando l’individuo è occupato in altri compiti che richiedono attenzione. Una variante è il tunnel cognitivo che si osserva quando una persona è molto concentrata su una azione manuale o sui propri pensieri e non presta sufficiente attenzione all’ambiente circostante. Essi sono responsabili di incidenti (ad esempio abbandono di bambini in macchina) a causa di un sovraccarico cognitivo che non consente al cervello di elaborare altre informazioni.
Nell’articolo vengono illustrati i vari aspetti di questo fenomeno e le basi neurofisiologiche di esso. Interessante il seguente aspetto: “ se uno stimolo corrisponde a ciò che aspettiamo di vedere, i segnali in entrata vengono rinforzati. Viceversa, se lo stimolo è inatteso all’interno di stimoli attesi, viene soppresso, come accade al gorilla. La sincronizzazione neurale è quindi uno strumento essenziale per fare ordine tra le mille informazioni alle quali il cervello è esposto e che, se giungessero tutte alla coscienza, ci manderebbero rapidamente in tilt. Nello stesso tempo l’esperimento del gorilla, e soprattutto le successive analisi sui meccanismi neurofisiologici alla base del fenomeno, dimostrano che il cervello è tutt’altro che passivo nei confronti dell’ambiente: seleziona, sceglie e rinforza solo quello che vuole vedere”