301. Debunking?

Riportiamo qui due riflessioni sul tema debunking.

 
di Manuel de Palma

Chiunque abbia speso una certa quantità di tempo su internet non può non essere incappato in una di quelle notizie che vengono chiamate bufale.

Le bufale sono notizie – scientifiche, di cronaca o di politica - prive di qualsivoglia fondamento, che riportano fonti totalmente inaffidabili e che spesso finiscono per alimentare le paure più radicate nell’essere umano.

Generalmente molte bufale sono ridicole, ma sostanzialmente innocue, altre invece sono molto pericolose, poiché volte alla diffusione dell’odio: interi gruppi politici, generalmente di orientamento neofascista, diffondono senza sosta bufale su improbabili complotti giudaico-massonici, crimini di immigrati mai avvenuti e altra spazzatura simile.

Per contrastare un fenomeno di questo tipo sono nati diversi gruppi che si occupano di sbufalare (ossia mostrare la totale assenza di fondamento di queste notizie) le varie bufale trovate su internet.

Si tratta chiaramente di un intento nobile, che andrebbe sostenuto senza se e senza ma, se solo le cose col tempo non si fossero complicate: molti di questi gruppi sono infatti con il tempo divenuti delle vere e proprie fabbriche del pensiero comune e delle opinioni di regime, che hanno il vantaggio di essere sostenute da eminenti personalità del panorama intellettuale e scientifico occidentale.

Sembra quasi un paradosso che il pensiero comune e le opinioni di regime siano diventate il cavallo di battaglia delle élites intellettuali, ma non suona in maniera così insensata se si tiene conto del rapporto tra struttura e sovrastruttura (è il sistema economico, il modello di produzione, che genera gli intellettuali, non il contrario).

Il processo attraverso cui questi nobili intenti si sono trasformati nella peggiore e più disgustosa fabbrica di ideologia dominante è molto semplice: si prende una notizia da internet (ad esempio, una fotografia che mostra dei bambini palestinesi uccisi), si dimostra che è una bufala (la foto è stata scattata durante il conflitto in Iraq) e si giunge alla conclusione che la politica di Israele sul territorio palestinese è giustificata, con tanto di accuse di antisemitismo (o rossobrunismo, neologismo di cui ancora ignoro il significato) verso chi la contesta.

La totale assenza di una qualsivoglia logica in questo ragionamento è quasi imbarazzante, specie se a usarlo come cavallo di battaglia sono proprio quelle élites intellettuali che dovrebbero occuparsi di smascherare l’assenza di fondamento di certi ragionamenti.

Il processo diventa ancora più disgustoso quando avviene al di fuori di aree specificatamente politiche, come ad esempio nel caso in cui, per mostrare l’assenza di fondamento di improbabili “cure alternative”, si finisce per giustificare l’operato e l’esistenza di alcune industrie farmaceutiche di dubbia moralità.

Ecco che una legittima e nobile battaglia contro la disinformazione e la falsità, si trasforma in una battaglia ideologica, nemmeno troppo velata, contro qualsiasi tentativo di resistenza all’ideologia dominante e al capitalismo: quello che oggi viene chiamato anticomplottismo, antibufala o antipopulismo, non è che l’ennesima, subdola e arrogante arma di disinformazione degli intellettuali di regime.

Specifico, onde evitare polemiche sterili ed inutili, che pur essendo un atteggiamento molto diffuso all’interno della suddetta rete, non tutte le realtà che si occupano di sbufalare le notizie false si comportano in questo modo.

 

di Redazione FL


I debunker "di professione" che impazzano sul web sono spesso (ma non sempre) apologeti di professione, non molto diversi nei modi e nei contenuti dai vecchi gestori del sito "Pontifex" (ve lo ricordate?). Li riconoscerete immediatamente per il linguaggio tendenzialmente violento, per i contenuti semplicistici , banalizzanti e quindi facilmente "condivisibili".

 Le conversazioni "in coda" ai temi proposti presentano spesso le medesime caratteristiche.

La tattica più frequente è forse quella consistente nel mescolare sapientemente, nelle proprie liste di "bufale",  palesi ingenuità ad argomenti più solidi, teorie palesemente insostenibili ad altre di un certo rilievo, per ottenere l’effetto livellamento.

Altre tattiche:

  • non menzionare le prove o fatti più significativi della controparte
  • attaccare solamente le teorie più deboli e già di per sé palesemente carenti (straw man) (***)
  • selezionare esclusivamente gli esperti che concordino con le proprie posizioni. Far diventare gli altri oggetto di denigrazione    attraverso attacchi ad personam, diffamarli pubblicamente.
  •  dipingere chiunque non si allinei come nemico della patria o mentalmente instabile
  • uso frequente della caricatura, attraverso immagini imbastite in modo talmente goffo, da non potersi neppure parlare, in realtà, di caricatura e men che meno di satira.
  • scegliere l’anonimato per evitare l’effetto boomerang nella tattica della diffamazione sistematica
  •   tecniche evidenti di proselitismo (“votateci”, “condividete”, “diffondete”)

Cercateli da soli, non vi aiuteremo.

In ere teologiche il libero pensiero e l’esercizio critico della ragione veniva denominato eresia. Oggi l’accusa è quella di complottismo, laddove chiunque osi avanzare un parere difforme dalla maggioranza, pur presentando prove a sostegno,  non può che essere classificato quale malato di mente o nemico del Bene e della Patria.


(***)
"Parliamo oggi di una tecnica fondamentale degli hater antianimalisti: la strategia delle pepite di letame. In pratica, si tratta di scandagliare la Rete, girando su social network, quotidiani online e altri siti, in cerca di notizie, video, foto, immagini, commenti e qualsiasi altra cosa possa essere utile per diffamare il movimento animalista. Nella sua maniacale ricerca, l’hater seleziona attentamente materiale dal contenuto banale, grottesco, riprovevole, osceno o facilmente manipolabile, riferibile al mondo animalista o pseudo-animalista, al fine di presentare un’immagine distorta dell’attivista per gli animali, banalizzare e misinterpretare il pensiero antispecista e, nell’insieme, caricaturare l’immagine del movimento animalista. L’hater antianimalista si comporta così come il vecchio cercatore d'oro nella sua ossessiva ricerca con il setaccio. Ma, a differenza di questo, l’hater non cerca l’agognata pepita gialla: cerca pepite di letame animalista. Pepite di letame umano, di esseri umani particolarmente sciocchi, indecenti e indecorosi." (Da "osservatorio sulla campagna ostruzionista antianimalista")