IL CATALOGO DEGLI SCHEMI RETORICI PIU' USATI CONTRO I VEGETARIANI
Propongo questo bellissimo articolo tratto dal sito Filosofi Precari (***), che consiglio di seguire anche sulla relativa pagina FB:
"Per correttezza mettiamo le carte in tavola, e lo facciamo nel primo rigo di questo intervento: chi scrive segue una dieta vegetariana. Nessun giudizio su chi non lo fa. Al contrario: spesso il nostro problema è solo quello di difenderci, in quanto, psicologicamente, essere vegetariani può rappresentare per alcune categorie di onnivori (per fortuna limitate) una sorta di accusa implicita alle altrui abitudini, e provoca spesso reazioni. Su facebook ed internet in generale, però, le accuse si fanno pesanti: pullulano giudizi molto severi (è doveroso dirlo, da entrambe le parti): gruppi, gruppetti, sette e “controsette” in lotta continua fra loro. I meccanismi da social network estremizzano le idee e le posizioni, creano continuamente e strumentalmente false dicotomie, polarizzazioni e partiti, semplificano la realtà, fomentano estremizzazioni spesso per fini solamente economici e pubblicitari (i siti internet vivono di click e banner pubblicitari, i gruppi su facebook più scatenano risse e più aumentano di popolarità). La nostra mente, come scriveva l’antropologo Lévi-Strauss, funziona già per opposizioni binarie come crudo/cotto, la rete non fa che sfruttare questa tendenza. Uno dei temi più “semplificati” in rete con la creazione di false dicotomie è appunto un argomento che meriterebbe più rispetto ed un dibattito serio: l’alimentazione vegetariana/vegana. Questo intervento, che vuole essere un cantiere aperto, cerca di problematizzare alcune semplificazioni in cui ci si imbatte non solo su internet, ma vivendo quotidianamente. Cominciamo col dire che prossimamente pubblicheremo un vademecum della retorica di vegani e vegetariani. Per ora, iniziamo dall’altra parte. Questi schemi nella stragrande maggioranza delle volte non sono usati consapevolmente, nel senso che è la nostra mente, la nostra cultura e il nostro linguaggio che funziona così. E questo non solo quando vegetariani, vegani, onnivori e carnivori litigano fra loro, ma in tanti altri argomenti e casi argomentativi. Usiamo schemi retorici nella stragrande maggioranza delle volte perché la comunicazione spesso ci “obbliga” a difendere una argomentazione e sminuire quella del nostro avversario, e per far questo usiamo non mezzi razionali (argomentazioni), ma irrazionali (spesso più efficaci). E lo facciamo senza averli studiati. Nelle seguenti frasi, che analizzeremo come exemplum di casi simili, spesso ci sono più combinazioni di fallacie. Saranno analizzati solo gli stereotipi retorici più comuni usati contro vegetariani /vegani, non certo le tante affermazioni usate da alcuni onnivori per difendere le proprie posizioni, come può esserlo la frase “mangio carne perché gli animali non sono soggetti morali”. Certo, il confine fra i due casi può divenire labile. Ma il secondo tipo di lavoro meriterebbe un libro a parte e non è nel nostro interesse scriverlo.
“E’ la legge della natura. Il leone mangia la gazzella, noi mangiamo le mucche. Così facendo siete contro natura”
Un giorno di qualche secolo fa, il filosofo scozzese David Hume si accorse che quando i filosofi parlavano dell’essere (e cioè dei fatti, dello stato di cose), immediatamente dopo li ritrovava a parlare del “dover essere” (e cioè dell’etica, di come devono andare le cose). Per Hume, il passaggio dal primo livello al secondo è totalmente arbitrario, diremmo ora con un termine abusato, “ideologico”: l’essere non fonda in nessun modo il “dover essere”. Cerchiamo di tradurre in maniera più comprensibile quanto appena detto con un esempio: dire “l’uomo è onnivoro” (essere) non fonda in alcun modo “l’uomo DEVE uccidere gli animali” oppure “l’uomo DEVE mangiar carne” (dover essere). Veniamo quindi al punto di questa diffusissima fallacia retorica: la fallacia naturalistica. La fallacia naturalistica è quell’errore metodologico (e strumento retorico) che tramuta le nostre convinzioni etiche in fatti naturali (a ragion veduta, pseudofatti), e questo, del tutto erroneamente. Esempio: “le donne occidentali coprono il seno, quindi è una legge di natura per l’umanità femminile provare imbarazzo a seno scoperto”. Gli antropologi chiamano questo particolare errore induttivo come “naturalizzazione della cultura”, e cioè la tendenza di ogni popolo e cultura del pianeta a chiamare “legge” (di natura, divina o simili) le proprie convinzioni etico/culturali.
Ad esempio, l’epoca vittoriana ha alimentato il mito dell’uomo competitivo, l’uomo che sopravvive e prospera solo se è il più forte, solo se compete, basandosi sull’estremizzazione di alcune tesi di Darwin. Ebbene, in quel caso un’intera epoca ha trasformato in “leggi di natura” quello che era un sistema economico/culturale, e cioè il competitivo liberismo/liberalismo inglese dell’Ottocento. C’è da dire a questo proposito che oggi l’etologia e le neuroscienze, a differenza del secolo passato, rivalutano nettamente la collaborazione inter e intraspecifica come volano selettivo ed evolutivo. Ma anche se con i nuovi studi genetici si scoprisse un giorno nell’uomo il gene ”mangia-la-carne-che-ti-fa-bene” oppure il gene “uccidi-sangue-che-bello” ciò non fonderebbe alcunché, né un’etica, né un’alimentazione. Se avessimo delle corna, ciò non fonderebbe il nostro diritto di incornare un rivale, al limite potrebbe solo fondare la nostra propensione biologica a farlo. L’argomento del “leone” (o qualsiasi altro esempio naturale di animali carnivori per natura) è retorico perché, seguendo Hume, paragona (assimilandole) impropriamente le possibilità di scelta etica, dietetica e di vita degli umani alle limitatissime possibilità dei non umani, e questo per legittimare (?!?) una presunta eticità o doverosità nel “comportarci come loro”. Un leone mangia la gazzella perché non ha capacità che gli permettono di farne a meno, non ha l’aratro, né ha studiato etologia, dietetica, né ha studiato filosofia, liberalismo, illuminismo, socialismo, non si pone problemi di diritti animali o diritti altrui, non ascolta musica né si è laureato in agronomia, perché non può farlo. Il suo interesse primario, in natura, coincide SEMPRE con l’abbattimento di un’altra individualità animale e non ha un metabolismo attrezzato per fare altro. Il nostro interesse primario (per tantissime ragioni) può facilmente non coincidere con ciò. E’ tutto qui. E un leone uccide e divora, spesso, anche i cuccioli di leone, ma non ce ne viene nessun insegnamento etico o morale, né questo fonda la nostra dieta. I nostri amici genetici più vicini, gli Scimpanzé, è stato osservato che qualche volta praticano cannibalismo. Vale sempre la legge di Hume. La natura (essere) non fonda alcunché nell’etica (dover essere) o, comunque, non “fonda” nulla in maniera vincolante (attualmente gli studiosi, a differenza del passato, cercano le basi “naturali” dell’empatia umana, della cooperazione e della repulsione del sangue). Altrimenti, seguendo l’erroneo travisamento di quel che scrisse Darwin, non ci sarebbe neanche lo Stato, il welfare state, l’umanesimo e faremmo estinguere i “meno adatti”, “rinforzando il branco”.
Per l’avversario retorico, è “legge naturale” uccidere un animale o farlo uccidere da altri; in realtà è “legge” solo avere nel nostro corpo i giusti costituenti, che troviamo più o meno facilmente ovunque nel mondo vegetale, basta documentarsi bene. I mezzi con i quali ci procuriamo questi costituenti non riguardano i nostri geni e la nostra biologia. Certo meglio non inventare paradisi o eden in cui l’umanità non uccideva per vivere, come spesso fanno alcune sette animaliste. Ora però l’umanità può tranquillamente (e per mille utili ragioni, nonché per una scelta etica) farne a meno. Concludendo: la retorica, in questo caso, consiste nel far parlare ideologicamente il nostro corpo, la nostra biologia: l’essere onnivoro del mio corpo non prevede nessun obbligo né etico, né biologico di assumere cibi animali (e non prevede, è doveroso dirlo, l’obbligo contrario, e cioè una dieta vegetariana). Se proprio volessimo leggerci qualcosa in questo “fatto” che è il nostro corpo, l’essere onnivori è solo una chance in più che l’evoluzione ci ha dato per sopravvivere se dovessimo trovarci in un ambiente ora privo di vegetali, ora privo di animali, ora privo di carcasse. Che è più o meno quello che è successo nella nostra storia biologica.
“Ma il bimbo africano?”
L’avremmo messa al primo posto se non fosse per la regina, la fallacia naturalistica. Il “bimbo africano” è comunque una combinazione semplice ma efficace di più schemi retorici. Il più delle volte suona così:
“Ma non ti rendi conto che tu discuti di queste cavolate e la metà della terra muore di fame, di sete ecc.? Ci sono le persone che muoiono, ci sono omicidi, e tu ti occupi degli animali. Non ti rendi conto di quante cose più importanti ci sono da affrontare?”
Si posso individuare almeno due bias retorici. Il benaltrismo e l’appeal to emotion. Il benealtrismo è quella strategia per cui, ad un problema qui ed ora, si risponde con “il problema è ben altro”, in maniera tale da svalutare il problema di cui si parla, relativizzarlo di fronte ad una gerarchia di problemi più generali o apparentemente più vitali imposta dall’esterno, di cui questo problema sarebbe una banale appendice, o semplicemente, paragonato, sarebbe irrilevante. Secondo questo schema retorico, gli unici problemi che valgono sono spesso massimi sistemi, spesso lontani dall’immediato e dalla pratica. Ad esempio, forme di benaltrismo in contesti diversi: “A: l’amministrazione non mi ha pagato lo stipendio”. B risponde: “quello che non funziona è il sistema Italia, senza parlare dell’economia mondiale”. Oppure: “A: quella donna è stata uccisa dal suo compagno per gelosia, è un femminicidio”. B risponde: “sì, ma il problema vero è la violenza dell’uomo contro i suoi simili”. Oppure: “A: quell’immigrato dell’Uganda è stato preso a calci e pugni per il colore della sua pelle, questo è puro razzismo”. B risponde: “questo non è razzismo, è l’imbecillità umana”.
L’appeal to emotion è invece quella tecnica che cerca di suscitare reazioni emotive nel “rivale”, come sensi di colpa o sorpresa e dolore, per fargli svalutare la sua posizione. Forme di appeal in un contesto simile, unite al benealtrismo, sono le seguenti: “A: al tacchino preferisco pasta e fagioli”. B risponde: “Ti preoccupi della dieta quando in diverse parti del mondo non si ha di che nutrirsi. Sai che farebbero alla vista di quel tacchino in Bangladesh?”. Il povero bambino denutrito del Bangladesh, che certamente mangerebbe sia il tacchino che il piatto di pasta e fagioli, se fosse sufficientemente pasciuto e istruito potrebbe però rispondere a B che in una prospettiva glocale mangiare un sacchetto di fagioli consuma molte meno risorse naturali per la sua sfortunata patria che mangiare una fettina di carne di due etti. Un altro esempio: “B: Ti preoccupi degli animali morti, e agli uomini morti chi ci pensa?” Quest’ultimo esempio, il cui appeal to emotion obbligherebbe moralmente tutte le persone civili della terra a far parte di una squadra anticrimine o filantropica, disertando ogni altra occupazione o sensibilità etica, ci porta ad un’altra combinazione di fallacie molto simile a quella del “bimbo africano”, combinazione molto comune che analizziamo nel prossimo paragrafo. In conclusione, una postilla: a parità di ettari sfruttati, il ciclo produttivo “mangimi” ====) “carne” (il mangime più usato è la soia arricchita) consuma molte più risorse e inquina molto di più rispetto all’agricoltura primaria, in cui, ad esempio, la soia potrebbe essere usata direttamente per l’alimentazione umana senza essere ritrasformata in carne di animali da macello. Quindi, se proprio si vuole restare al gioco retorico e, in qualche maniera, avere uno sguardo sistemico “pensando all’Africa” nel quotidiano e senza volerci trasformare in Gino Strada, sarebbe altrettanto salutare ridurre il consumo di carne e derivati animali.
“Tu sei vegetariano, dunque anteponi la vita degli animali a quella degli uomini”
Anche in questo caso molto comune, vi è una combinazione di più fallacie. All’appeal però, più che il benealtrismo, si aggiunge la fallacia dello straw man (uomo di paglia) e quella della falsa dicotomia. La tecnica dell’uomo di paglia consiste nel ricostruire la posizione dell’avversario in maniera goffa, patetica e assolutamente inesatta, in maniera tale da poterla attaccare più facilmente. Infatti, la posizione etica della stragrande maggioranza dei vegani e vegetariani non si riassume in questa frase: cercare di limitare la sofferenza animale, o essere antispecista, non significa affatto preferire gli animali non umani a quelli umani. I due animali (umani e non) non sono messi su una bilancia: quest’operazione è pura retorica, e ci conduce all’altra fallacia, e cioè la falsa dicotomia. La fallacia della falsa dicotomia crea artificiosamente due sole soluzioni ad un problema (quando in realtà ce ne sono molte altre), legando la posizione dell’avversario ad un estremo, ritenuto socialmente immorale o falso, oppure legando la posizione dell’avversario all’estremo palesemente illogico e assurdo. In questo caso, crea la dicotomia fra animali e uomo, legando la posizione avversaria alla soluzione meno accettabile (straw man “preferisci gli animali”). Un esempio in un contesto diverso: “A: ritengo la posizione di quel partito insostenibile”. B risponde: “Tutti coloro che non sono di quel partito non sostengono la democrazia”. Oppure, un caso simile (dove subentra anche una fallacia leggermente diversa, la falsa implicazione o non sequitur: “Ebbene sì, la scienza non ha ancora spiegato questo fenomeno”. B risponde: “Se la scienza non ha ancora spiegato questo fenomeno, allora vuol dire che questo fenomeno non è spiegabile scientificamente”).
Esempio tipico, diremmo paradigmatico, in contesto vegano/vegetariano della falsa dicotomia è quello dell’ “animale sulla zattera” (l’esempio è parafrasato dal filosofo animalista Tom Regan). Lo potremmo riassumere nel modo seguente:
“caro vegetariano, esaminiamo la tua coerenza. Sei su una scialuppa di salvataggio assieme ad altri tre uomini e ad un maiale. State morendo di fame. Che fai, preferisci morire di fame? Mangiare un altro uomo? Oppure mangi il maiale?”.
Anche in questo caso, nutrendosi di una domanda retorica, lo schema retorico si basa sul creare una falsa dicotomia, e cioè tra la sopravvivenza di uomini e quella di altri animali. Inoltre, lo schema retorico crea un esperimento mentale fuorviante per equiparare implicitamente una situazione di emergenza alla realtà di tutti i giorni. In realtà, la situazione in cui vive comunemente l’uomo non è quella del maiale sulla zattera: è invece quella di poter scegliere, in un supermercato o in un negozio di alimentari, non certo fra la sua vita (o quella di un altro uomo) e quella di un altro animale, ma fra cibi più o meno etici, cibi che hanno prodotto una certa sofferenza e cibi che ne hanno prodotta di meno, cibi che consumano vite animali e che non ne consumano, cibi salutari e cibi meno salutari ecc. L’uomo della realtà è per la maggior parte delle volte diverso dall’uomo della zattera: non muore di fame, non è costretto a scelte così drastiche, non è costretto a consumare altre vite animali per sopravvivere, ha un’ampia scelta di possibilità più o meno etiche. Nei casi eccezionali, la regola può anche esser sostituita da comportamenti, per l’appunto, eccezionali. La retorica cerca appunto di trasformare l’eccezione nella regola. Come nel caso del film “Alive”, in cui i sopravvissuti di una squadra di rugby precipitati sulle Ande sono costretti a cibarsi dei loro compagni morti: è un comportamento di emergenza, ma che non rappresenta la normalità della nostra vita. Volendo, un cannibale potrebbe creare uno schema retorico per persuadere al consumo di carne umana nel seguente modo, del tutto simile al nostro esempio: “tu che non mangi la carne umana, ora vorrei esaminare la tua coerenza. Se precipitasse un aereo sulle Ande ecc ecc”. Ci possono essere casi in cui uccidere uno o più animali può essere necessario, ma nella stragrande maggioranza dei casi la vita ci mette davvero poco in questa situazione, specie con gli animali complessi che noi usiamo per alimentazione o il vestiario. Col progresso della tecnica e delle conoscenze, ci si è resi contro che vivere di vegetali è non solo possibile, ma più salutare, più sostenibile, e più etico (etica animale). Il nostro interesse non coincide necessariamente con la morte di moltissimi animali che ci circondano, poiché raramente capitano circostanze come il “maiale sulla zattera”.
“Sei un borghese viziato”
Il “vizio borghese” sarebbe naturalmente quello di scegliere una dieta vegana/vegetariana. L’avversario retorico usufruisce in realtà del benealtrismo e dell’appeal to emotion (vedi sopra), parafrasando il concetto che “ci sono cose molto più importanti di cui occuparsi”. Inoltre aggiunge un concetto nuovo: “proprio perché sei figlio del vizio e del benessere di questo occidente puoi permetterti di pensare ad una dieta simile, ad una moda simile. Tanti popoli, tanta gente non può farlo”. La debolezza di una posizione retorica simile è lampante. Diete “vegetariane” o simil-vegetariane si praticano per le ragioni più diverse (religiose, economiche, ambientali, ideologiche ecc.) da centinaia di anni, dalle classi sociali più diverse e dai popoli più diversi. Il fatto che ciò si pratichi prevalentemente nel nostro moderno occidente (come si pratica l’alfabetizzazione, l’università, si prende un aereo, si legge un libro, si usa un WC, si guida un’auto, si è pacifisti, si è guerrafondai, ecc. ) e che alcuni popoli o classi sociali, in approssimative e labili gerarchie di sviluppo contenute nella mente del vostro interlocutore, non pratichino ciò, ebbene, questo non depone né contro né a favore di tali pratiche. Inoltre, lasciatecelo dire, usando lo stesso retorico schema, si potrebbe con più forza affermare che è molto più borghese mangiare un etto di carne (che costa molto di più, prevede più passaggi di trasformazione dell’energia e quindi consuma più risorse, inquina di più, ed è prodotto con l’uccisione evitabilissima di vite animali) che mangiare un sacchetto di fagioli dello stesso peso.
“E le zanzare? E i batteri? Anche quelli sono esseri viventi! Salviamo anche loro? E le piante che mangi? Non sono anche loro esseri viventi?” / “Sei vegetariano, dici di assumere un comportamento sostenibile, e poi prendi l’auto come tutti gli altri?”
Uno degli schemi più diffusi e riconosciuti. Efficace contro gli avversari impreparati, fa leva su alcune argomentazioni retoriche ben collaudate, documentabili fin dalla Grecia classica. Anche in questo caso, ci sono combinazioni di fallacie argomentative, non c’è n’è solo una. Cominciamo con l’appeal to emotion. Gli pseudo argomenti si riducono ad una ingenua accusa di incoerenza, quindi il tutto cade anche in un noto schema retorico, il tu quoque (uno dei tanti argomenti ad hominem); inoltre fanno leva principalmente sull’alimentare il senso di colpa dell’avversario vegan/vegetariano, facendogli notare che i suoi sforzi sono incompleti, incoerenti, stupidi, superficiali, rispetto alla immensa galassia animale, o rispetto alla galassia “forme di vita sulla terra” (nel caso delle piante). Dunque, si cerca di dimostrare, facendo leva sul sentimento di incoerenza, che essere vegetariani porta a conclusioni assurde e contraddittorie, poiché in tal caso si dovrebbero rispettare tutte le forme di vita, non solo pesci, mucche, maiali, polli e tacchini. Compare cioè un altro schema retorico molto unito al tema della coerenza, e cioè la fallacia del tutto o niente (che spiegheremo fra qualche capoverso). All’avversario retorico, a questo punto, si possono far notare diverse cose:
1) Fallacia ad hominem. Far notare che l’ideologia della “raccolta differenziata” potrebbe essere accusata, con la stessa misura, di incoerenza, visto che capita spesso che chi pratica raccolta differenziata possa comprare cibi con imballaggi, visto che usa l’auto (che inquina), visto che il giorno tal dei tali mister X, un vero fanatico della differenziazione dei rifiuti, ha buttato una carta per terra. Oppure si potrebbe accusare l’ideologia del volontariato fra i bambini in Africa di non occuparsi della gioventù di Scampia. O si potrebbe accusare la non violenza di Gandhi, che ha liberato l’India dal colonialismo inglese, per il fatto che Gandhi fra le mura di casa non sia poi stato così tanto non violento. Ma l’incoerenza di una persona, o l’impossibilità di essere totalmente coerenti con le proprie idee, non inficia e non svaluta il fatto che il comportamento che adotto (anche in maniera parziale) o in cui credo, sia giusto rispetto ad uno scopo. Il fatto che l’interlocutore sia totalmente coerente alle sue idee o non lo sia affatto non inficia che il suo comportamento sia giusto o sbagliato rispetto a determinati fini.
2) La fallacia del tutto o niente (negli ambienti anglosassoni si chiama eloquentemente “Nirvana fallacy” o similmente “perfect solution fallacy”). In questo schema retorico, l’avversario retorico presuppone, per screditare le posizioni del vegetariano/vegano, che ad un tema o ad un problema ci sia solo una soluzione perfetta, oppure sostiene che una parziale soluzione debba esser respinta, criticata, distrutta, offesa, perché il problema generale esisterebbe ancora dopo che venisse risolta solo una parte del problema. Nel discorso tutto o niente, molto legato a quello ad personam dell’incoerenza, i vegetariani vengono designati dagli avversari prima come “salvatori del mondo” (o purtroppo, spesso si disegnano così da soli, lasciando adito a giusti attacchi), per far poi vedere quanto siano incoerenti con questo ruolo messianico. Ma un vegetariano non salva il mondo. Si occupa di un problema, ha una sensibilità, e ciò in cui crede è in linea ed è coerente con alcuni obiettivi, che possono essere, a seconda dei casi, ambientali, etici (etica animale), salutisti. Potremmo usare la stessa retorica per le auto elettriche: salvare il pianeta? Nessuno sano di mente acquisterebbe auto elettriche pensando che sia solo questo comportamento a salvare il pianeta. Ma è un passo avanti, non indietro. Un passo graduale.
Una mucca, tralasciando un discorso etico ed empatico, e parlando solo dell’aspetto ambientale, è più di un Suv, è una Ferrari, e consuma un’infinità di risorse. Ci sono infiniti studi sul ruolo dell’alimentazione carnivora sull’impatto ambientale. Ma questa idea di “purezza”, sia cognitiva che morale, immobilizza, e non solo perché è pura retorica. La megamacchina che ci circonda si cambia o si prova a cambiarla a piccoli passi (se si vuole, perché ci sono vegetariani che non hanno sensibilità ambientale, e nessuno qui gliene fa una colpa) in tante maniere diverse, ognuno ha la sua lotta e la sua particolare sensibilità, nell’affrontarla. Ci sono tanti piccoli comportamenti che in un’ottica glocale possono migliorare la situazione complessiva, in una “mera” ottica di cambiare i consumi. Alcuni di questi piccoli comportamenti fanno parte dello stile di vita vegetariana. Detto questo, nessun vegetariano salva il mondo: il comportamento di un vegetariano rispetto alla materia “essere vegetariano” (e non in merito ad altri comportamenti che compie un qualsiasi vegetariano) è razionale rispetto a determinati valori, valori in primis come la sofferenza animale, la perdita oggettiva di vite animali uniche ed irripetibili e la sostenibilità. Tralasciando altre cose che un vegetariano può o meno fare, può o meno sapere o può o meno compiere. E si tralasciano perché si danno per scontato, e non possiamo esigerle solo perché si è vegetariani. Sono comportamenti che “dovremmo” chiedere a tutti, ma che invece esigiamo solo dai nostri avversari retorici. Da che mondo e mondo, l’esigenza di coerenza riversata SOLO verso determinate categorie di persone è pura retorica.
E’ retorico e faziosamente polemico esigere coerenza assoluta dai vegetariani quando per la stragrande maggioranza dei comportamenti umani non esigiamo la stessa coerenza. Se individuiamo un comportamento corretto rispetto a determinati scopi (es: partecipare ad una manifestazione pacifista a Washington è coerente rispetto allo scopo di non voler che gli USA dichiarino guerra alla Corea) è retorico occuparsi di fare il terzo grado ad uno di questi pacifisti se lo vedo urlare contro una persona o se lo vedo gestire malamente un gruppo di lavoro di cui è responsabile. Oppure, se non lo vedo occuparsi della pace nella repubblica del Kosovo.
3) Un’ultima riflessione su frasi retoriche in cui compaiono piante, batteri, o altre forme di vita lontane dall’avere un sistema nervoso centrale, o altre forme di vita con cui difficilmente si riesce ad entrare in empatia. Si è detto che l’avversario retorico cerca di dimostrare, facendo leva sul sentimento di incoerenza, che essere vegetariani porta a conclusioni assurde, parziali o contraddittorie, poiché in tal caso si dovrebbero rispettare tutte le forme di vita, non solo pesci, mucche, maiali, polli, tacchini ecc. In realtà, questo schema tocca le corde di una verità etica molto importante per taluni vegetariani e che ci sentiamo di condividere. Per la nostra personale visione, è importante salvaguardare la vita, la bellezza e la varietà di tutte le forme di vita non umane. Questo però si ferma davanti a delle esigenze importanti. Es: le zanzare non vanno uccise qualora vi sia la possibilità di fare altrimenti, e cioè difenderci da esse senza esserne “feriti”. E cioè, se si trovasse un prodotto che metta in fuga la zanzare, si potrebbe eticamente fare a meno di ammazzarle. Se non ne ho realmente bisogno, perché dovrei distruggere quella pianta o distruggere quella forma di vita? I ”limiti” sono infatti costituiti dalla sopravvivenza e incolumità della nostra specie. Se con una corretta alimentazione vegetariana o vegana posso fare a meno dell’uccisione o sfruttamento indiscriminato della maggior parte di forme di vita complesse che mi circondano, perché non rinunciare al desiderio (e non certo all’esigenza) di una bistecca? Un concetto molto importante che ci riporta ai casi in cui ci siano davvero, e non retoricamente, “maiali sulla zattera” (vedi sopra) e che esprime, per esempio, la Deep Ecology di Naess nei seguenti termini: “Una breve formula potrebbe essere così elaborata: «Un bisogno vitale di un essere vivente non umano A è superiore ad un interesse non indispensabile dell’essere umano B»” (Arne Naess, A Defense of the Deep Ecology Movement).
4) E’ un tema più controverso e delicato, ma è doveroso parlarne. Esiste una complessità diversa nelle organizzazioni biologiche, sia intese come unità che come organismi. Tale diversa complessità non fonda un’etica, ma è da tener presente nei casi in cui si sia obbligati a scegliere quale organismo vada sacrificato. Quindi, anche in base alle considerazioni emerse nel punto 3, “uccidere” una pianta è pur sempre un problema etico, ma è un problema etico inferiore ad uccidere un pesce o una mucca. Lo schema retorico sopra analizzato, fra gli altri errori, equipara impropriamente ed a-scientificamente organismi di tipo, complessità, caratteristiche, comunicazione, sistema nervoso, comparsa di caratteristiche di unicità, capacità di soffrire, capacità di relazionarsi con l’ambiente esterno e rispondere agli stimoli esterni, ecc. totalmente diversi."
(***)
http://www.filosofiprecari.it/wordpress/?p=4997