Lunedì 5 settembre 2016 è andato in onda su Presa Diretta (Rai 3) un reportage sulle conseguenze della “regolarizzazione” (principalmente si tratta della depenalizzazione del reato di favoreggiamento) della prostituzione in Germania, che vede coinvolte nella maggior parte dei casi ragazze straniere. In realtà nulla di nuovo, il tutto corrisponde anche al rapporto EU 2014 sul tema, e a un reportage di Internazionale pubblicato nel marzo 2015. Quello che sconcerta è un certo negazionismo sul tema, portato avanti anche da qualche movimento femminile mirante al mantenimento dello status quo patriarcale. Tale negazionismo si spinge fino alla ridicolizzazione e denigrazione delle ex sex worker fatte passare per bigotte (alla pari di chi offre loro voce e supporto) oppure come martiri create a tavolino e strumento del complotto globale organizzato da chi lotta contro lo sfruttamento sessuale. A dibattito sono anche i modelli nordici (da me auspicati, in quanto notoriamente le società del nord Europa sono le più bigotte e inique del mondo) quale soluzione. Se da una parte può essere legittimo discutere sulle alternative più valide, che potrebbero anche non poggiare esclusivamente sui modelli nordici - il dibattito sul tema è sempre benvenuto e auspicabile - dall’altra appare aberrante la negazione della nuova schiavitù legalizzata nel cuore della civilissima Europa. Qui a seguito riporto volentieri tre articoli (lunghi, in quanto la questione è complessa) che ben illustrano come lo spirito patriarcale cerchi alleati, e di fatto li abbia trovati, anche tra donne. Che altre donne fossero contro le ribelli del proprio tempo è del resto cosa nota, e bisognerebbe aprire un capitolo a parte su quelle preferenze adattative (concetto ben illustrato da Martha Nussbaum e Amartya Sen) che possono portare vittime di ogni genere ad allearsi con i propri oppressori. Per quanto riguarda la denigrazione di coloro che lottano contro tale sfruttamento la tecnica impiegata è spesso quella della pepita di letame, ovvero la ricerca ossessiva di singoli episodi di cronaca (cherry picking) fatti assurgere a campione rappresentativo di coloro che lottano contro le nuove e forse anche più violente forme di schiavitù. Il metodo Salvini.
Il primo articolo è tratto dal sito “consumabili”, il secondo e il terzo dal sito “femminismo antispecista”.
CONSUMABILI
Inauguro una sezione opinioni nel mio blog dove pubblicherò traduzioni di articoli di attiviste femministe straniere, pubblicando un post apparso sul blog Feminist current di Meghan Murphy (nella foto, tratta dal suo blog) tradotto da Maria Rossi che ringrazio. Le posizioni delle femministe di orientamento abolizionista, che non vedono favorevolmente, cioè, una depenalizzazione degli "imprenditori" dell'industria del sesso e proprietari dei bordelli, ma desiderano un progressivo superamento del ricorso stesso all'acquisto di sesso a pagamento sono spesso riportate male e semplificate. E' fin troppo facile liquidare il loro punto di vista con l'accusa di moralismo, accusa che peraltro è quella tipica che i capitalisti dell'industria del sesso usano non appena qualcuno osa muovere qualche critica o qualche dubbio che può ostacolare il loro marketing. Eppure si autodefiniscono abolizioniste anche molte donne e ragazze che sono state vittime di tratta o sono state sfruttate nell'industria del sesso e che, una volta fuoriuscite, si battono perché non si debba ripetere all'infinito su altre la violenza che loro stesse hanno vissuto. Accomunare l'abolizionismo femminista con le posizioni moraliste e fanatiche di certi esponenti religiosi o delle ipocrite politiche tipiche del "gendarme di Washington" che criminalizzano le persone prostitute e le vittime di tratta mentre lasciano che il business dei magnaccia prosperi (similmente fanno le ordinanze xenofobe e sul decoro urbano dei nostri sindaci sceriffi) trovo sia una operazione scorretta, qualunque sia la motivazione per cui si sceglie di far ciò e qualunque sia la propria legittima opinione in materia.
Non c’è nessuna guerra femminista contro le sex workers (Meghan Murphy)
Mi sento sempre più scoraggiata da ciò che sembra un fuoco di fila di articoli, scritti da persone che si dichiarano progressiste, che sostengono che le femministe sono il vero nemico delle sex workers. Sembrerebbe che alcune di coloro che si definiscono “attiviste per i diritti delle sex workers” siano determinate a creare rigide divisioni tra donne collocando le donne prostituite in una loro propria categoria e le femministe in una fantomatica guerra moralista contro il sesso.
Un fattore chiave è che molti giornalisti di sinistra o fraintendono o travisano l’approccio abolizionista descrivendolo come moralista, il che li porta a trarre conclusioni infondate basate su equivoci facilmente superabili attraverso una semplice conversazione.
Sono delusa dal fatto che il giornalismo, la sinistra e il movimento femminista siano arrivati a produrre un’ideologia manipolativa allo scopo di promuovere una causa controproducente, ma siamo a questo punto. Vi sono un certo numero di esempi recenti di questa distorsione. Reason, una rivista libertaria on-line, ha recentemente pubblicato un articolo intitolato "The War on Sex Workers" (La guerra contro le sex workers). L'autrice, Melissa Gira Grant, critica la criminalizzazione delle donne prostituite negli USA - un giusto impegno: non c'è dubbio. Ma anziché contestare un sistema iniquo e oppressivo che offre alle donne emarginate poche opzioni di vita al di fuori dell'industria del sesso e poi le criminalizza perché fanno ciò per sopravvivere (fondamentalmente viene criminalizzata la povertà) e contrastare una cultura porno che presenta streapt tease e pornografia come professioni che accrescono il potere e l'autonomia delle donne, Grant accusa le femministe. Ella scrive: <<Non tutte le persone che svolgono un lavoro sessuale sono donne, ma le donne soffrono in modo smisurato lo stigma, la discriminazione e la violenza contro le sex workers. Il risultato è una guerra contro le donne quasi impercettibile, a meno che facciate personalmente parte del mercato del sesso. Questa guerra è condotta e difesa in gran parte da altre donne: da una coalizione di femministe, da conservatori e anche da alcune/i attivisti dei diritti umani che assoggettano le sex workers alla povertà, alla violenza e all'incarcerazione - tutto ciò in nome della difesa dei diritti delle donne>>. Questa "guerra contro le donne" non è impercettibile. Infatti, uno dei caratteri che rende questa "guerra" visibilissima, è il fatto che l'industria del sesso abbia una connotazione di genere. Le donne costituiscono la stragrande maggioranza delle prostitute (secondo le statistiche circa l'80%) e, oltre a ciò, le donne di colore sono sovrarappresentate. A Vancouver, nel famigerato Downtown Eastside della British Columbia, soprannominato "il codice postale più povero", dove almeno 60 donnesono scomparse in circa 20 anni, il 70% delle prostitute sono donne delle PrimeNazioni (= autoctone). Considerando che il popolo delle Prime Nazioni costituisce circa il 2% della popolazione complessiva di Vancouver e il 10% di quella di Downtown Eastside, questo numero è significativo. Non c'è bisogno di appartenere al mercato del sesso per sapere che la prostituzione e la violenza contro le donne che si prostituiscono è il risultato di una combinazione molto efficace di razzismo, povertà e patriarcato. Le femministe sono impegnate da decenni contro queste oppressioni che si intersecano e allora perché gli scrittori progressisti sono così riluttanti a riportare in modo preciso i dibattiti sulla prostituzione? Jacobin, una rivista che viene accreditata come appartenente alla corrente principale del marxismo, si è occupata più volte del tema del lavoro sessuale. Apparentemente la linea favorevole al concetto di <<sesso come lavoro>> ha conquistato così tante pubblicazioni di sinistra, che le discussioni sulla questione rimuovono completamente la prospettiva abolizionista o semplicemente ne travisano gli argomenti. Laura Augustin, per esempio, scrive: << Il turbamento morale che avvolge la prostituzione ed altre forme di sesso commerciale si fonda sull'asserzione che la differenza tra il sesso buono e virtuoso e il sesso cattivo e dannoso sia ovvia>>. Ella concepisce le concezioni dissenzienti come repressive e puritane - tipiche di persone che hanno limitato la loro accettazione del sesso al letto matrimoniale -, una concezione che è l'antitesi di decenni di lavoro femminista che ha decostruito le nozioni di romanticismo e di monogamia e ha collocato saldamente il sesso all'interno di un contesto politico. Augustin confonde ulteriormente le cose, affermando che "non vi è nulla di intrinsecamente maschile nello scambio tra denaro e sesso", come se ciò fosse mai stato sostenuto. "Da chi?" ci si potrebbe chiedere. In effetti questo è ciò che le femministe hanno sostenuto per decenni: che non c'è nulla di "intrinseco" o di "naturale" nel fatto che gli uomini acquistino sesso dalle prostitute, ma si tratta piuttosto di un prodotto della nostra cultura fondata sulla diseguaglianza e sul potere maschile. Ignorando le concezioni femministe sul lavoro sessuale e rimuovendo la connotazione di genere dell'industria [del sesso]; concentrandosi esclusivamente sul lato "lavoro" del lavoro sessuale, si rende un cattivo servizio alle donne e al movimento femminista, così come al lettore di sinistra che si ritrova completamente confuso e con una comprensione imprecisa della realtà del settore e del dibattito. Un altro pezzo di Jacobin prosegue questo progressivo lavoro di lettura della questione della prostituzione attraverso la lente del "lavoro". In questo articolo: "The Problem With (Sex) Work", (" Il Problema con il lavoro sessuale") Peter Frase sostiene che "il problema nel caso del lavoro sessuale non è il sesso, è il lavoro". Questo è un errore che commettono molti uomini socialisti quando tentano di affrontare l'argomento, in quanto assumono che applicare [ad esso] l'analisi del lavoro significhi necessariamente essere un esponente della sinistra. Mentre Frase osserva che ci sono problemi a concludere soddisfatti che il lavoro sessuale costituisca una fonte di autonomia e di espressione di sé, sorvolando sui suoi aspetti meno glamour, perché "non si possono trascurare gli aspetti coercitivi e violenti del sesso", egli glissa sulla posizione abolizionista (cioè delle femministe che vogliono impegnarsi perché la prostituzione abbia fine) come se fosse irrilevante. Con questo sforzo di fare della prostituzione un lavoro come un altro (forse pessimo) (come scrive Frase: "è un lavoro, e il lavoro è spesso terribile"), la sinistra abbandona le donne ai capricci degli uomini e del mercato, mentre voi pensate che noi [della sinistra] desideriamo un mondo più equo che vorrebbe superare la situazione attuale. Grant ha pubblicato anche un pezzo in Jacobin in cui esprime la sua frustrazione nei confronti di coloro "che hanno la vocazione a salvare le donne da se stesse e a farne le proprie beniamine" "che sono così fissati con l'idea che quasi nessuno avrebbe scelto di vendere sesso da perdere di vista le monotone e quotidiane scelte che tutti i lavoratori compiono per guadagnarsi da vivere". Ma questo argomento trascura il fatto che la scelta avviene entro un raggio di azione e in un contesto di diseguaglianza e che l'industria del sesso fa parte di un più ampio sistema che sessualizza l'oppressione delle donne. L'argomento secondo cui le femministe stanno cercando di "salvare le donne da se stesse" è pericoloso, perché può essere facilmente applicato, per esempio, all'attivismo femminista relativo agli abusi domestici (e se lei vuole stare con il marito violento?) e può essere esteso ad una troppo zelante difesa della 'scelta' individuale delle donne di oggettivare se stesse. Vogliamo in modo così intenso che non siano vittime da cercare di tramutare l'oppressione in autodeterminazione. Malintesi sulle concezioni femministe relative alla prostituzione sono esplicitamente alimentati da articoli come quello di Grant, ma vengono ulteriormente consolidati quando altri scrittori non risultano disposti a rappresentare correttamente le posizioni. La rivista Fuse ha pubblicatoun articolo di Robyn Maynard, nel numero intitolato Abolition, nel quale ella critica quello che definisce il "femminismo carcerario". Cita il caso Bedford, in cui le leggi canadesi sulla prostituzione sono state denunciate come incostituzionali, come un esempio di opposizione, guidata dalle sex workers, al 'proibizionismo', come erroneamente lo definisce. Maynard sostiene che questo caso sia stato sollevato da donne emarginate. Così facendo, rimuove il fatto che i gruppi di donne delle Prime Nazioni dell'intero Canada supportano il movimento abolizionista ed hanno più volte affermato che la prostituzione delle donne indigene è la diretta conseguenza della colonizzazione. La Native Women's Association of Canada (NWAC) ha recentemente approvatouna risoluzione che sostiene l'abolizione della prostituzione, affermando che: "la prostituzione sfrutta ed accresce la diseguaglianza delle donne e delle ragazze aborigene basata sul genere, sulla razza, sull'età, sulla disabilità e sulla povertà".
La Native Women's Association of Canada prosegue affermando: Le donne aborigene sono fortemente sovrarappresentate nella prostituzione e tra le donne che sono state uccise nell'ambito della prostituzione. Non è di alcun aiuto dividere le donne che si prostituiscono tra quelle che hanno "scelto" e quelle che sono state "costrette" a prostituirsi. Nella maggior parte dei casi, le donne aborigene sono reclutate nella prostituzione da ragazze e /o sentono di non avere altra scelta a causa della povertà e degli abusi subiti. E' l'industria del sesso che incoraggia le donne a vedere la prostituzione come un'identità scelta. Un'altra organizzazione: Indigenous Women Against the Sex Industry (IWASI) (Donne Indigene contro l'industria del sesso) afferma che esse riconoscono l'industria del sesso "come una continua fonte di colonialismo e di danno per le donne indigene e per le ragazze di tutto il mondo" e si pronuncia contro "la totale depenalizzazione, legalizzazione o normalizzazione dell'industria del sesso". Nel suo articolo, Maynard ignora volutamente il fatto che il caso Bedford non è, in realtà una causa promossa da sex workers, bensì una causa intentata da un uomo bianco, Alan Young, il cui interesse a vincerla non è quello di depenalizzare la prostituzione di strada, bensì quello di legalizzare i bordelli. Con la consapevolezza che le donne più emarginate tendono ad essere quelle che praticano la prostituzione di strada e che a queste donne non sarebbe probabilmente offerto il "privilegio" di lavorare all'interno di un qualsiasi bordello legale, l'argomento secondo cui, in qualche modo, questa causa costituisce una battaglia a favore dei diritti delle donne emarginate è semplicemente falso. Vale la pena notare che la legalizzazione dei bordelli in luoghi come Amsterdam si è rivelata un completo disastro e ha prodotto solo un incremento della tratta e del crimine organizzato. Per qualche ragione, anche alcune femministe hanno iniziato a partecipare all'elaborazione di queste rappresentazioni errate. Laurie Penny, la cui analisi progressista e femminista è generalmente accurata, sembra aver perso la bussola quando ha scritto sul New Statesman che le femministe che erano critiche nei confronti dell'industria del sesso erano semplicemente contrarie al sesso, opponendosi alla prostituzione e alla tratta per ragioni morali: Questo accade perché il sesso fa parte di quelle attività che causano un autentico orrore morale nei gelidi corridoi dei borghesi. In realtà, le abolizioniste si battono contro la prostituzione sulla base di un'analisi che combina classe, razza e genere, oltre che, naturalmente, sulla base della difesa dei diritti umani delle donne. Questo non ha nulla a che vedere col fatto che il sesso piaccia o non piaccia. Che delle femministe stiano appropriandosi e stiano perpetuando uno stereotipo antifemminista inventato da uomini sessisti - che le femministe hanno solo bisogno di una bella scopata o che odiano tutti gli uomini/il sesso/ il divertimento - mostra la potenza del contrattacco. Ora noi ci stiamo facendo la guerra. Stiamo appropriandoci di quel che il patriarcato ci sta vendendo. Penny scrive: "In realtà, il lavoro sessuale non è stigmatizzato perché pericoloso. Il lavoro sessuale è pericoloso perché è stigmatizzato". Ma si sbaglia. Il lavoro sessuale è pericoloso a causa di coloro che commettono atti di violenza contro le prostitute - cioè, gli uomini. La chiave del successo del movimento femminista sta nell'aver attribuito un nome al colpevole. Andrea Dworkin è stata una delle prime a far questo; a dire che il problema sono gli uomini. Così ha creato una fondazione per offrire un supporto legale contro gli abusi domestici, per lottare contro le molestie verbali, le aggressioni sessuali e la colpevolizzazione delle vittime. Non fingiamo di non sapere chi molesta sessualmente le donne o chi, in genere, le stupra. Noi sappiamo fare di meglio che incolpare le donne per le aggressioni che subiscono- indipendentemente dagli abiti che indossano o da quanto abbiano flirtato o bevuto. Perché ci mette così a disagio attribuire un nome alla reale causa della violenza quando si tratta di prostituzione? Perché stiamo incolpando le donne? L'obiettivo del femminismo è di porre fine al patriarcato. L'obiettivo del socialismo è di creare un'alternativa egalitaria al capitalismo. La prostituzione è un prodotto del patriarcato e del capitalismo. Avendo questo in mente, le abolizioniste hanno patrocinato un modello fondato sulla vera equità. A volte descritto come "approccio svedese" o come "modello Nordico", la Svezia, la Norvegia e la Finlandia hanno tutte adottato versioni di questo approccio femminista alla prostituzione che depenalizza le prostitute e criminalizza coloro che commettono violenza: gli sfruttatori e i clienti. Il modello combina i servizi di uscita dalla prostituzione con un sistema di welfare già forte e con programmi di formazione per la polizia che insegnano che le donne prostituite non sono criminali. Non si tratta semplicemente di un mutamento della legislazione, si tratta di una visione politica che persegue l'obiettivo della uguaglianza economica e di genere. Come avvocata femminista Janine Benedet mi ha detto: " è responsabilità dello Stato offrire qualcosa di meglio e non usare la prostituzione come una rete di sicurezza sociale". E' stato recentemente pubblicato in lingua inglese uno studio norvegese che esamina i tassi di violenza contro le donne prostituite nel modello nordico. Il rapporto ha dimostrato che, dal 2008, gli stupri ed altre forme di violenza fisica contro le donne prostituite sono diminuite.La triste verità è che, se l'acquisto di sesso è legale, la polizia probabilmente non perseguirà i clienti che stuprano e abusano delle prostitute, senza il loro consenso. Lo sappiamo. Sappiamo che la polizia ha ignorato per anni le violenze contro le donne prostituite, specialmente contro quelle che sono povere e di colore. Sappiamo che il sistema della giustizia penale accusa spesso la vittima, in particolare se i giudici possono dire: "Beh, lui l'ha pagata!". La via più praticabile per combattere questa violenza consiste nel depenalizzare le donne prostituite, criminalizzare i clienti e formare la polizia. Se gli sfruttatori della prostituzione e i clienti vengono criminalizzati, le sex workers saranno almeno in grado di andare dalla polizia se sono stuprate o aggredite e la polizia sarà in grado di agire rapidamente. Sappiamo che non sono le femministe che stanno perpetrando violenza contro le sex workers. Sappiamo anche che le femministe non colpevolizzano la vittima, il che significa che questo non è un dibattito sulla moralità delle donne di questo settore. Perché i progressisti, nascondendo l'autore [delle violenze], attribuiscono la colpa alle femministe e travisano il significato del movimento abolizionista? Le femministe non sono il nemico. Piuttosto, sono gli uomini che trattano le donne come oggetti usa e getta che sono da biasimare. E', al contempo, sterile e disonesto affermare che le femministe promuovono la criminalizzazione delle donne prostituite, quando una delle poche cose che le femministe e gli altri che propugnano la fine della violenza contro le prostitute possono condividere è che il nodo cruciale consiste nel depenalizzare le donne prostituite. Le donne che io chiamo mie amiche ed alleate sono donne che hanno lavorato nell'industria del sesso, sono donne che lavorano instancabilmente in rifugi [per prostitute], compiendo un lavoro di sensibilizzazione, o che vi lavorano come avvocate, come accademiche e come attiviste. Le donne che ammiro e da cui ho imparato - donne che hanno plasmato il movimento - donne come Robin Morgan, Gloria Steinem e Andrea Dworkin - sono state collocate sull'altra linea di una sorta di guerra contro le donne. Queste donne meritano di più di etichette imprecise e prive di significato come "anti-sex" o "proibizionista". Queste femministe non hanno accusato le donne prostituite, sono donne che vogliono che gli abusi, gli stupri, i pestaggi e gli omicidi abbiano fine. Credo che anche quelli che si definiscono "difensori dei diritti delle sex workers" o "alleati delle sex workers" vogliano questo. Non ho alcun interesse a creare divisioni inutili o sleali.
Questo è un movimento, non una guerra.
http://consumabili.blogspot.it/2013/02/non-ce-nessuna-guerra-femminista-contro.html
LA BUONA, LA BRUTTA, LA CATTIVA (dal sito femminismo antispecista)
Lunedì sera è andata in onda su Rai3 un’interessante inchiesta di Iacona sulla prostituzione, qui potrete trovare tutte le singole inchieste della puntata, per tema, ciascuna con i vari servizi di cui è composta.
Immediatamente dopo la messa in onda (ma io potevo sentire il ticchettio delle tastiere già durante la puntata) si è messa in moto la macchina della contropropaganda la cui sterilità argomentativa e disonestà intellettuale mi ha negativamente impressionata.
Girando sui social, mi sono imbattuta in uno degli articoli contro Iacona condiviso da un antispecista pro legalizzazione che, incalzato da un’abolizionista che confutava, dati alla mano, l’articolo che lui aveva condiviso, lanciava un disperato may day affinché giungesse il necessario fuoco di copertura che permettesse a lui, che si diceva ormai stanco, di poter ripiegare. La strategia del tizio salta subito agli occhi: “Ecco, proprio in discussioni del genere, che ho affrontato diecimila volte con i proibizionisti, non volevo affossarmi di nuovo. (bla bla bla) Sono un po’ esausto, se permetti.” Cosa ci sta dicendo questa persona? Inizia con lo squalificare l’interlocutrice, di cui non prende in considerazione nemmeno il genere dato che, pur avendola ormai accorpata nei reparti abolizionisti, utilizza il maschile (i proibizionisti) invece del femminile o di un termine neutro, ci dice che i discorsi dell’abolizionista sono uguali a quelli di mille altre persone come lei instillandoci la falsa impressione che l’interlocutrice abbia un pensiero uniforme alla massa, che non sia geniale, non sia particolare, una sciocca qualsiasi già vista e già sentita insomma. Ma ecco che dei reparti speciali chiamati alla pugna, un elemento ha risposto all’appello. “Azz!” Ho pensato “ora arriva la personificazione della crasi tra Lara Croft e Jason Bourne” e invece mi sono ritrovata a leggere una che ha liquidato così la questione:
“Non intendo parlare sul corpo delle altre, per me è la cosa meno femminista che esista (bla bla bla) non mi sono mai posta, né mai mi porrò, nel ruolo di salvatrice, ma di alleata”
Analizziamo la prima frase “Non intendo parlare sul corpo delle altre, per me è la cosa meno femminista che esista”: l’autrice, utilizzando una strategia della retorica riconducibile alla categoria degli attacchi ad hominem, non entra nel merito della discussione, ma attacca personalmente le abolizioniste lasciando chiaramente intendere che queste parlino sul corpo delle altre e che pertanto non siano femministe, tantomeno interlocutrici. Quindi le abolizioniste parlano sul corpo delle altre, le pro legalizzazione no. A questo sforzo logico ormai iper abusato, ma talmente abusato che perfino la mia cagna, che non sa leggere, ne riconoscerebbe la puzza all’istante, posso rispondere che anche chi appoggia la legalizzazione sta parlando sul corpo delle altre. Solo che queste altre non vengono considerate, spesso sono taciute e in qualche caso derise e tacciate di bigottismo, perché queste prostitute non appartengono all’oligarchia delle bianche borghesi istruite che fanno parte dei vari comitati per i diritti delle sex workers. Dicevamo, le abolizioniste parlerebbero sul corpo delle altre perché non terrebbero conto delle rivendicazioni di un’esigua minoranza, mentre chi ignora una maggioranza contraria alla legalizzazione non percepisce se stessa come parlante sui corpi delle altre semplicemente perché finge (consciamente o inconsciamente) che queste “altre” non esistano, impedendo loro di avere voce e risonanza.
Seconda parte: “non mi sono mai posta, né mai mi porrò, nel ruolo di salvatrice, ma di alleata”: ancora l’uso dell’attacco ad hominem. Qui si suggerisce che le abolizioniste si imporrebbero come salvatrici, dall’alto quindi, mentre le pro legalizzazione sono alleate, quindi sullo stesso piano. Vi è il chiaro obiettivo di far vedere che le abolizioniste sovradeterminano le prostitute, mentre le pro legalizzazione le ascoltano e, reggendo loro la mano, gli infondono coraggio. Oltretutto, facendo mie le azzeccatissime parole di questo articolo, bisogna fare attenzione perché “l’argomento secondo cui le femministe stanno cercando di “salvare le donne da se stesse” è pericoloso, perché può essere facilmente applicato, per esempio, all’attivismo femminista relativo agli abusi domestici (e se lei vuole stare con il marito violento?) e può essere esteso ad una troppo zelante difesa della ‘scelta’ individuale delle donne di oggettivare se stesse. Vogliamo in modo così intenso che non siano vittime da cercare di tramutare l’oppressione in autodeterminazione.”
Ritornando ai giochetti di logica spicciola, non si capisce cosa distingua una alleata, che scrive articoli e commenti, da una cosiddetta salvatrice che, pure, scrive articoli e commenti. Qual è la discriminante, visto che entrambe, in un modo o nell’altro, parlano sul/del corpo di qualcuna?
Vorreste dirci che tutti gli articoli delle pro legalizzazione sarebbero scritti da o sotto la dettatura delle sex workers? Ogni volta che una pro legalizzazione risponde ad una obiezione, lo fa quindi sotto dettatura di una sex worker? Altrimenti questa cosa del parlare sopra i corpi come caratteristica solo delle abolizioniste non si spiega. Che si sappia: io non sto scrivendo sopra nessun*, a meno che non si voglia considerare quell* che si trovano sotto di me al 1° piano come qualcuno sopra cui scrivere.
Procediamo ora ad analizzare parte dell’articolo di cui parlavo in apertura del mio scritto: “Quello che le abolizioniste fanno è imporre una visione moralista che coinvolge persone adulte e consenzienti e che stigmatizza pratiche sessuali che vengono definite perverse di per se’. Pratiche sessuali che riguardano anche quelle che non fanno le sex workers. Sostanzialmente ci stanno dicendo quali sono le pratiche sessuali adeguate alle relazioni “d’amore” puro. Siamo alla nascita di una sorta di Comitato per la Purezza dell’Orgasmo.”
Anche qui viene largamente usato l’attacco ad hominem allo scopo di far passare il concetto che le abolizioniste siano delle bigotte sessuofobiche. Brutte, sporche e cattive ma sessuofobiche. E sulla base di cosa? Del fatto che alcune di loro non hanno superato l’esame di certificazione dell’Ente Nazionale Controllo Quantità Pompini, certificazione effettuata su base mensile. Un protocollo dai parametri rigidissimi, secondo i quali se si viene scoperte al di sotto dei 90 pompini mensili si è fuori, messe nel recinto delle sessuofobiche cattiveh ed esposte al pubblico ludibrio.
Ho notato che non è infrequente che le energie delle pro legalizzazione siano incentrate sulla squalificazione della controparte piuttosto che sul merito della questione. Da parte delle abolizioniste ho trovato invece articoli molto rigorosi.
Comunque, ognun* sceglie le proprie alleate ed io ho scelto di allearmi con lei che della sua esperienza dice: “La mia esperienza come sex worker è che sono stata pagata per saziare il narcisismo maschile e in più per alimentare i princìpi stessi su cui si fonda la società patriarcale in cui viviamo”. Ma lei, come abbiamo visto, nell’immaginario di qualcuno non esiste.
Ma torniamo all’articolo di cui sopra, dove, ad un certo punto, si tenta di demolire Iacona sbeffeggiando perfino le sue espressioni facciali: “Iacona elenca pratiche sessuali con una smorfia da “che schifo!”, nominando più volte il sesso anale. Chiede “è vero che molti vogliono venire sul corpo… sul viso“, e lei risponde di sì, e giù la commozione e lo sguardo paterno.”
Se non è argomentum ad hominen questo, cosa lo è?
Iacona è probabilmente e semplicemente una persona empatica e mi stupisce che ad attaccarlo e ridicolizzarlo per questa sua peculiarità siano stat* proprio due antispecist*: chi ha scritto l’articolo e chi l’ha condiviso e, in tal modo, avallato.
Le caratteristiche imprescindibili di chi professa l’etica antispecista sono fondamentalmente basate sul rapporto con il prossimo. L’empatia è ciò che ci rende capaci di condividere la sofferenza e di avvicinarci al prossimo facendo quasi nostre le sue sensazioni. Siamo capaci di superare le barriere della differenza tra specie, ma riserviamo ed avalliamo forme di bullismo quali la derisione e lo sberleffo verso chi reputiamo reo di non pensarla come noi e che può essere attaccato per il suo modo di essere e di sentire accorato, proprio quello stesso modo di essere e di sentire che ha fatto di alcun* di noi delle antispeciste e che invece, alla bisogna, viene utilizzato come un’arma di offesa. Come possiamo criticare il modo di agire di un qualsiasi “vegano stammi lontano” se noi stess*, per prim*, riserviamo ad un’altra categoria di persone lo stesso trattamento cui siamo oggetti noi in quanto vegan antispecist*? Cosa muove questo cortocircuito tra il pensiero e l’azione?
Chiudo con un altro passo dello splendido articolo che potrete trovare qui, “Le donne che io chiamo mie amiche ed alleate sono donne che hanno lavorato nell’industria del sesso, sono donne che lavorano instancabilmente in rifugi [per prostitute], compiendo un lavoro di sensibilizzazione, o che vi lavorano come avvocate, come accademiche e come attiviste. Le donne che ammiro e da cui ho imparato – donne che hanno plasmato il movimento – donne come Robin Morgan, Gloria Steinem e Andrea Dworkin – sono state collocate sull’altra linea di una sorta di guerra contro le donne.
Queste donne meritano di più di etichette imprecise e prive di significato come “anti-sex” o “proibizionista”. Queste femministe non hanno accusato le donne prostituite, sono donne che vogliono che gli abusi, gli stupri, i pestaggi e gli omicidi abbiano fine. Credo che anche quelli che si definiscono “difensori dei diritti delle sex workers” o “alleati delle sex workers” vogliano questo. Non ho alcun interesse a creare divisioni inutili o sleali.”
Nessun* di noi ha interesse a creare divisioni inutili o sleali, perciò abbandoniamo la retorica, lo sberleffo, la derisione e cerchiamo di trovare un compromesso, una soluzione in cui tutt* vincono e in cui nessun* rimane indietro.
https://femminismoantispecista.noblogs.org/post/2016/09/09/la-buona-la-brutta-la-cattiva/
MANUALE DI SOPRAVVIVENZA (dal sito femminismo antispecista)
Abbiamo deciso di inaugurare una nuova sezione del blog, quella dedicata ai manuali. Come primo argomento non poteva mancare quello sul “gioco delle tre carte”. Questo manuale, chiaro e compatto, è stato ideato allo scopo di preservare il tempo prezioso che altrimenti perdereste in infruttuose discussioni. Abbiamo infatti riscontrato che le tipologie argomentative di molt* che erroneamente vengono definit* semplicisticamente “pro legalizzazione”, si possono riassumere in nove punti. Per ogni punto è spiegata in modo chiaro la risposta, alcune sono comprensive di dati di riferimento e di un link alle fonti scientifiche.
Prima di entrare nel dettaglio, vorrei argomentare la mia affermazione “coloro che erroneamente vengono definit* pro legalizzazione”.
Siamo in Italia, dove la prostituzione è legale. Se l’oggetto di tutto il disquisire è la prostituzione, è improprio e logicamente errato definire “pro legalizzazione” chi invece vorrebbe la legalizzazione del favoreggiamento e dello sfruttamento della prostituzione. Perché l’oggetto del discorso, la prostituzione, è già legale. Come si fa a rendere legale una cosa che è già legale? E qui c’è la fine paraculaggine del farsi passare per “pro legalizzazione”. Facendo il gioco delle tre carte, si mischiano gli oggetti del discorso. Si vuole legalizzare il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione, che sono oggetti differenti dalla prostituzione. Perciò togliamo questa cortina fumogena che impedisce di vedere chiaramente l’oggetto del discorso e chiamiamo le cose con il loro nome: pro legalizzazione del favoreggiamento e dello sfruttamento della prostituzione. Per semplicità e brevità, pro Le.Fa.S. Perché questo straparlare semplicemente di “pro legalizzazione” fa gioco facile a definire noi erroneamente proibizioniste. Si fa leva sul senso di libertà a cui “pro legalizzazione” rimanda. La gente pensa “evviva la maria! E abbasso quelle brutte kattiveh che vogliono abolire!!!11!!!”. Vaglielo a spiegare allaggente che abolire e proibire non sono sinonimi. Per dire, si abolisce la schiavitù o la pena di morte e si proibisce l’uso di sostanze stupefacenti o l’omicidio. Si abolisce qualcosa che è istituzionalizzato, si proibisce qualcosa che rientra, in un certo senso, nella sfera del libero arbitrio.
Rivolgendomi a questo ribaltamento logico paraculo, utilizzando il ¡No pasarán! della Terra Di Mezzo, faccio mie le parole di Gandalf indirizzate al Balrog: Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, fiamma di Udun! Ritorna nell’ombra! Tu non puoi passare!
Le abolizioniste sono proibizioniste
Alla luce di quanto scritto sopra, questa affermazione è palesemente falsa. Noi non proibiamo nulla a nessun*. Chi vuole continuare a prostituirsi può farlo. In Italia, ripeto, è legale.
Le abolizioniste sono delle moraliste puritane sessuofobiche bigotte
Le studiose sono concordi nel dire che il comportamento sessuale è determinato da una complessa interazione di fattori, influenzato dalle relazioni con gli altri e dalle circostanze di vita. Il comportamento sessuale di una persona può risultare cioè differente a seconda del partner e delle circostanze. Come si possono quindi emettere giudizi semplicistici ed universali su un comportamento così complesso e personale? Non possiamo nemmeno emettere giudizi definitivi e perentori sul* nostr* partner, perché il suo comportamento sessuale è determinato, fra le altre variabili, dalla sua interazione con noi, e qualcun* si permette di emettere giudizi su chi nemmeno conosce, universalizzando peraltro! A dir poco calunnioso.
La prostituzione è un lavoro come un altro, è come lavorare al call center o raccogliere pomodori.
Questa ipotesi per poter diventare tesi necessita di una verifica oggettiva, chiedete all’interlocutrice di fornirvi dati oggettivi che dimostrino l’ipotesi.
Noi invece, abbiamo verificato oggettivamente tramite i dati di due differenti studi (ma ne esistono a migliaia di studi in proposito) che “La prostituzione NON è un lavoro come un altro”.
I dati scientifici raccolti nei due studi che ho preso in esame dimostrano che non esistono mestieri che raccolgono tutte e tre le caratteristiche della prostituzione:
Alta percentuale di PTSD
Massiccio uso di droghe ed alcool
Alta percentuale di violenza subita
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista di psichiatria italiana, uno dei mestieri con il più alto tasso di Disturbo Post Traumatico da Stress è il vigile del fuoco che, con il suo 18.5% guida la classifica dei mestieri più a rischio di PTSD. Nella prostituzione, che di fatto nello studio non viene considerata un lavoro come un altro, il tasso relativo al disturbo post traumatico da stress si attesta al 68%. Niente male, eh?
Nel caso in cui la vostra interlocutrice obietti che con la legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione le cose cambierebbero in maniera significativa, citatele questo altro studio che prende in esame 9 nazioni tra cui la tanto millantata Germania dove l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione sono legali:
PTSD
tabella
PTSD2
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PTSD3
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Ops! In Germania è stata riscontrata una percentuale di PTSD del 60%, uso di droghe 70%, uso di alcool 54%, stupro nella prostituzione 63%, aggressione 61%, minaccia con arma 52%.
Si legge nello studio: ”In un atto di accusa contro la prostituzione legale, più della metà delle nostre intervistate tedesche ci ha detto che la prostituzione legale non le metterebbe più in sicurezza di quella illegale.”
In conclusione:
(tabella)
Eh si, possiamo proprio concludere che l’affermazione “la prostituzione è un mestiere come un altro” deve rimanere confinata nel campo delle scie kimike. E’ equivalente a frasi jolly come “e i marò?” (che purtroppo ha superato “e allora le foibe” che mi stava più simpatica).
Le abolizioniste parlano sul corpo delle altre
Riprendo un mio precedente articolo: utilizzando una strategia della retorica riconducibile alla categoria degli attacchi ad hominem, l’interlocutrice non entra nel merito della discussione, ma attacca personalmente le abolizioniste lasciando chiaramente intendere che queste parlino sul corpo delle altre.
Anche chi appoggia la legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione sta parlando sul corpo delle altre. Solo che queste altre non vengono considerate, spesso sono taciute e in qualche caso derise e tacciate di bigottismo, perché queste prostitute non appartengono all’oligarchia delle bianche borghesi istruite che fanno parte dei vari comitati per i diritti delle sex workers. Le abolizioniste quindi parlerebbero sul corpo delle altre perché non terrebbero conto delle rivendicazioni di un’esigua minoranza, mentre chi ignora una maggioranza contraria alla legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione non percepisce se stessa come parlante sui corpi delle altre semplicemente perché finge (consciamente o inconsciamente) che queste “altre” non esistano, impedendo loro di avere voce e risonanza.
Siamo uno pari, quindi che facciamo? La piantiamo o no con la retorica?
Le abolizioniste si pongono nel ruolo di salvatrici delle sex workers, mentre le pro liberalizzazione sono loro alleate
Sempre riprendendo un mio precedente articolo, qui si suggerisce che le abolizioniste si imporrebbero come salvatrici, dall’alto quindi, mentre le pro legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione sono alleate, quindi sullo stesso piano. Vi è il chiaro obiettivo di far vedere che le abolizioniste sovradeterminano le prostitute, mentre le pro legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione le ascoltano e, reggendo loro la mano, gli infondono coraggio. Oltretutto, bisogna fare attenzione perché “l’argomento secondo cui le femministe stanno cercando di “salvare le donne da se stesse” è pericoloso, perché può essere facilmente applicato, per esempio, all’attivismo femminista relativo agli abusi domestici (e se lei vuole stare con il marito violento?) e può essere esteso ad una troppo zelante difesa della ‘scelta’ individuale delle donne di oggettivare se stesse. Vogliamo in modo così intenso che non siano vittime da cercare di tramutare l’oppressione in autodeterminazione.”
Ritornando ai giochetti di logica spicciola, non si capisce cosa distingua una alleata, che scrive articoli e commenti, da una cosiddetta salvatrice che, pure, scrive articoli e commenti. Qual è la discriminante, visto che entrambe, in un modo o nell’altro, parlano sul/del corpo di qualcuna?
Vorreste dirci che tutti gli articoli delle pro legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione sarebbero scritti da o sotto la dettatura delle sex workers? Ogni volta che una pro legalizzazione dell’induzione e dello sfruttamento della prostituzione risponde ad una obiezione, lo fa quindi sotto dettatura di una sex worker? Altrimenti questa cosa del parlare sopra i corpi come caratteristica solo delle abolizioniste non si spiega.
Le abolizioniste sono una lobby
Signore e signori, ora io capisco che siamo nel periodo delle scie kimike, dei bildenberghen e della ka$ta ma, da che mondo è mondo, una lobby è un gruppo di pressione che esercita la propria influenza per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi in favore dei propri interessi economici. Quale interesse economico ci sarebbe dietro il voler abolire la prostituzione? Dove sarebbe il nostro guadagno? Qui ci perdiamo e basta, tenuto conto di tutto il tempo che perdiamo a controbattere alle vostre fallacie logiche. Viceversa, ci sono enormi interessi economici nel voler legalizzare il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione.
Per le abolizioniste l’autodeterminazione è solo per alcune, non per tutte.
Questa affermazione poi fa proprio ridere, soprattutto quando viene affermata con quel tono da “colpo da maestro”. Ma quale colpo da maestro, è robba comica da “Totò, Peppino e i fuorilegge”.
Noi abolizioniste non auspichiamo la criminalizzazione delle donne prostituite. In Italia, ripeto, la prostituzione è legale, per cui chi vuole può tranquillamente continuare a prostituirsi. Nessuna di noi chiede la criminalizzazione delle donne prostituite, ripeto per la centesima volta. A chi negheremmo quindi autodeterminazione se chi vuole può continuare (come ha sempre fatto) a prostituirsi? La negheremmo a chi favoreggia e sfrutta la prostituzione? Ecco, io questo lo rivendico. Non voglio togliere agli sfruttatori autodeterminazione, vorrei proprio vederli ar gabbio e sciogliere la chiave della cella nella lava del Monte Fato (dai, ora utilizzate questa metafora per darmi della giustizialistah).
Legalizziamo la prostituzione, così le prostitute pagheranno le tasse!!!11!!!
A parte la scorrettezza logica del dire “legalizziamo la prostituzione” smontata nella premessa (la prostituzione è già legale, sono lo sfruttamento e il favoreggiamento ad essere illegali), questa è una presa in giro, care amiche e amici che pensate solo al vostro portafogli. In Germania su 400.000 (quattrocentomila) donne prostituite censite, solo 44 (quarantaquattro) pagano le tasse, quindi lo 0.00011%. Il rapporto UE sulla prostituzione dice infatti: “in Germania vi sono 400 000 prostitute ma solo 44 sono ufficialmente registrate presso gli enti per la previdenza sociale a seguito della legge del 2002 che ha legalizzato la prostituzione”.
Cosa nuova nuovissima:
Qui si legge che nel dispositivo della sentenza della Cassazione n. 15596 del 27.7.2016 “la natura reddituale attribuita ex lege ai proventi delle attività illecite, con la conseguente tassabilità quali “redditi diversi”, comporta, a maggior ragione, che venga riconosciuta natura reddituale all’attività di prostituzione, di per sé priva di profili di illiceità (costituendo invece illecito penale ogni attività di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione altrui a norma dell’art.3 della legge 20.2.1958 n.75), attività parzialmente tutelata dallo stesso ordinamento civile che comprende la prestazione sessuale dietro corrispettivo nella categoria dell’obbligazione naturale, la quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona che ha svolto l’attività di meretricio il diritto di ritenere legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione ( art.2035 cod.civ.)”.
In sostanza, le donne prostituite sono già tenute per legge a pagare le tasse.
Sul metodo “mio cuggino ha detto”
Qui mi riferisco alle testimonianze (pretty woman autoderminata 2.0 style) che vengono portate come dato per confutare una tesi. Una testimonianza non è un dato, una testimonianza è qualcosa di emotivamente orientato/orientabile. La testimonianza serve per corroborare un dato, serve per suscitare ciò che il dato, così freddo ed impersonale, non riesce a suscitare: catturare l’emotività e l’empatia, provocare sdegno e vicinanza. Conoscete la differenza tra testimonianza personale e dato statistico? Le testimonianze di questo tipo rimangono nel campo delle testimonianze fintanto che non raggiungono la valenza di campione statisticamente significativo. Senza criterio scientifico, potremmo impiegare giorni, anni, millenni con il tirare fuori una testimonianza ciascuna (però le vostre sono sempre mejo e più vere delle nostre) prima di raggiungere un campione statisticamente significativo. Perciò risparmiateci ‘sta saveriotommasata in chiave pruriginosa delle storielle, se non avete uno straccio di dato che le renda significative all’economia del discorso.
Per capire meglio cosa si intende per favoreggiamento e sfruttamento: http://www.laleggepertutti.it/126942_andare-a-prostitute-e-legale
qui l’articolo originale di femminismo antispecista, con le tabelle
https://femminismoantispecista.noblogs.org/post/2016/09/14/manuale-di-sopravvivenza/
Alcune Fonti citate in questa sede:
il reportage di Presa Diretta: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d56ce6de-4aa5-433b-b286-2998a68bf91d.html
rapporto EU 2014: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2014-0071+0+DOC+XML+V0//IT
Una delle tante testimonianze di ex sex workers “volontarie”: https://simonasforza.wordpress.com/2015/06/05/lettera-aperta-di-una-ex-prostituta/
Scienziati per un mondo senza prostituzione: http://www.trauma-and-prostitution.eu/en/2016/01/08/prostitution-is-incompatible-with-equality-between-men-and-women/#more-165