369. Libertà ma senza pollo, replica

 Una replica a Massimo Fini ("l'occidente è libero ma senza pollo")

 

di Barbara Balsamo, docente e attivista antispecista

e Silvia Molè, traduttrice e attivista antispecista

 

 

Abbiamo  letto con interesse e un  legittimo grado di divertimento l'articolo (*) di Massimo Fini "l'occidente è libero ma senza pollo" comparso il 5 luglio 2018 sul Fatto Quotidiano. L'interesse, di carattere sociologico, risiede nella constatazione che non solo sconosciuti utenti dei social media siano privi di adeguate basi culturali per giudicare posizioni filosofiche e movimenti di liberazione tanto complessi e multiformi, ma anche affermati giornalisti che trovano una cassa di risonanza nei maggiori quotidiani nazionali.  Desta particolare sconcerto nonché ilarità innanzitutto il fatto che come "fanatici" vengano designati gli "specisti"" ("un'ulteriore e più oltranzista specificazione, pardon corrente, dei vegani"), ovvero la categoria alla quale Massimo Fini parrebbe rientrare a tutti gli effetti, dimostrando di non aver completamente chiari i termini del dibattito ovvero specismo/antispecismo. Come "ideologa degli specisti" viene indicata la studiosa americana Melanie Joy  la quale, in quanto psicologa, ha posto l'accento (2010) sui meccanismi psicologici (ad esempio la dissociazione di massa, cuore della desensibilizzazione psichica, che permette di sviluppare una sorta di doppia identità quando si violano gli altri) che rimuovono e occultano l'uccisione degli individui delle altre specie,  a fondamento del carnismo, inteso come sistema di credenze condiviso, particolarmente difficile da mettere in discussione in quanto esso - a differenza di altri - lavora attivamente per tenersi nascosto, dandosi per "naturale". Diventare consapevoli dell'intensa sofferenza di miliardi di animali, e della nostra stessa complicità a tale sofferenza, può suscitare emozioni penose, spiega Joy, un grave senso di colpa, da cui la resistenza a vedere e  affrontare il problema in termini di liberazione, e da cui  la deindividualizzazione, il pensare agli animali come astrazioni, o in termini di "arrosto", nonostante oggi siamo consapevoli del fatto trattarsi di esseri senzienti. Quando Massimo Fini parla di "infantilismo" ravvediamo quindi quel tipo di banalizzazione estrema (leone e gazzella) assai frequente sui social media, che tende all'identificazione totale con le caratteristiche etologiche  degli altri animali, salvo poi rivendicare solo per se stessi unicità e  libero arbitrio, salvo poi non poter operare scelte nell'ambito di quelle date, tra cui il non uccidere, che non mettono a rischio la propria sopravvivenza. "Madre Natura ordina/dice che", e sappiamo quanto questo imperativo "coglione" (ispirandoci alla dotta terminologia finiana)  sia pericoloso anche nel contesto delle oppressioni di umani. Esattamente come l'uso eminentemente politico di "intelligenza" e "coscienza" (quest'ultima sostituita 1:1 al concetto di anima) nella costruzione - storicamente e non naturalmente determinata - delle gerarchie. 

 

Detto questo, il termine specismo (inteso come discriminazione degli altri animali, reificazione di essi) - saltando importanti e anche antichissimi precedenti storici riguardanti la critica all'oppressione degli individui delle altre specie - viene utilizzato già nel 1970 da Richard Ryder. Le riflessioni su specismo e antispecismo vengono riprese da autori come Peter Singer (1975)  e Tom Regan (1983)  fino ad arrivare  al nuovo,  multiforme e ricchissimo panorama contemporaneo, che si muove in ottica interdisciplinare, con Steven Best (2014) e molti altri (Gary Francione, Will Kymlicka ...), sottolineando come anche l'Italia vanti una produzione filosofica antispecista ricchissima, dove spiccano Marco Maurizi, Massimo Filippi, Benedetta Piazzesi, Roberto Marchesini e molti altri ruotanti attorno alla rivista di critica antispecista Liberazioni ). Particolarmente importante è la corrente dell'antispecismo politico, che intende fuoriuscire da un approccio di carattere "meramente" morale per introdurre l'oppressione degli individui delle altre specie in una dimensione politica che evidenzi anche gli odierni meccanismi di sfruttamento economico di stampo capitalista alla base e dello sfruttamento di animali umani e di animali non umani, ragion per cui la lotta non può che avere lo stesso obiettivo. Stiamo parlando della differenza tra antispecismo metafisico (che trasforma lo specismo in  realtà oggettiva posta sopra la storia)  e storico, secondo cui  lo specismo inteso come pregiudizio o  habitus mentale "non può essere posto alla base dello sfruttamento animale, poiché nella misura in cui si può parlare dello specismo esso è una conseguenza, più che una causa di esso. In altri termini, non è affatto vero che noi sfruttiamo gli animali perché li consideriamo inferiori, piuttosto li consideriamo inferiori perché li sfruttiamo" (Maurizi, Al di là della Natura). Evidenti qui le analogie con il pensiero di Colette Guillaumin vertenti su razzismo e su schiavitù. E' la valenza economica che gli animali rappresentano per l'uomo ad ostacolare la loro liberazione, il pregidizio è "solo" il meccanismo che si innesta a giustificazione dello sfruttamento economico (non sono bianchi, non sono intelligenti come noi, non provano le stesse emozioni, non hanno l'anima, non sono coscienti). Lo specismo storico quindi "include il dominio dell'uomo sull'animale-uomo,  per l'antispecismo metafisico lo specismo indica solo la lotta dell'uomo contro il restante mondo animale, come se l'uomo non avesse dovuto anche addomesticare sé per poter addomesticare gli animali" (Maurizi).


Sulla base di questa premessa si potrà facilmente intuire come l'impostazione di base di Massimo Fini banalmente poggi sul diritto del più forte " ...anche nel caso degli esseri umani, anche intraspecifica", sul fatalismo della violenza, sull'oppressione sistemica  intesa come naturalmente inevitabile, come insita nella natura umana e non storicamente determinata. Mentre l'antispecismo politico vede la violenza dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sugli altri animali come storicamente determinata, e quindi ribaltabile. L'impianto di pensiero di Massimo Fini è utile a giustificare ogni genere di oppressione,  data appunto come naturale, l'impianto antispecista è utile a sovvertirlo. Desta non poca ilarità la menzione di "culture superiori" che hanno condotto guerre contro popoli considerati inferiori o diversi. Ovvero la stessa guerra perpetua che  conduciamo contro gli altri animali in nome di una presunta superiorità, che ha molto a che vedere con un testo sacro e molto meno con un testo scientifico. Aggiungiamo, un costume o una tradizione sono tali fino a quando non ledono la vita altrui. Nel momento in cui il mio costume prevede di porre termine alla tua vita, possiamo parlare di guerra, di omicidio, di pena di morte, più difficilmente di costume nel senso indicato da Fini, il quale conclude con un attacco al #metoo, a dimostrazione  del fatto che le oppressioni hanno radici comuni (mirabile in questo contesto "the sexual politics of meat" di Carol J. Adams).


Nell'articolo di Fini viene citata la lettera aperta dei macellai francesi al ministro dell'interno francese, che nella filosofia antispecista e nella relativa prassi di liberazione vedono lesi i propri interessi economici, e qui ci riallacciamo a quanto esposto sopra, ovvero alla radice dello sfruttamento. I fatti non sono quelli che riporta il signor Fini, che dipinge grottescamente i macellai francesi facendoli passare per povere vittime in preda a dei violenti psicopatici. Piuttosto, in un paese, la Francia, dove il dibattito pubblico è il più possibile veritiero, la questione della liberazione animale è sentita e presa sul serio perché se ne sono comprese le premesse basilari, cosa che non possiamo dire per l’Italia. A fronte di un dibattito politico articolato si rimette in discussione anche l’intero impianto economico, come si fa in democrazia.


L’ antispecismo è un movimento politico a tutti gli effetti, certamente giovane ma radicale e nonviolento per un mondo migliore di pace e libertà e la fine delle oppressioni per tutti i soggetti di qualunque specie. 


Siamo quindi pienamente concordi con Steven Best (Liberazione Totale): "è ogni giorno più evidente che i movimenti di liberazione degli umani, degli animali, della terra sono inseparabili l'uno dall'altro: nessuno (esseri umani, animali ed ecosistemi dinamici) potrà essere libero fintantoché non saranno liberi tutti gli altri (dallo sfruttamento e dall'intervento dell'uomo)"


(*) https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/loccidente-e-libero-ma-niente-pollo/

https://infosannio.wordpress.com/2018/07/05/massimo-fini-liberta-ma-senza-pollo/