371. Educazione sentimentale reazionaria

Qui a seguito due riflessioni sul corso di educazione sentimentale avviato nei licei piemontesi. La prima è del coordinamento  transgender Lombardia, la seconda del blog femminista Il Ricciocorno.
 
Coordinamento  transgender Lombardia

Il Professor Paolo Ercolani ottiene un incarico per un corso di educazione sentimentale dalla Regione Piemonte, voluto in particolare, secondo “Repubblica”, dal consigliere Gabriele Molinari del PD.
Si tratta dello stesso docente che a novembre dello scorso anno scrisse sul blog dell’Espresso “L’urto del pensiero” di cui è autore, che le persone transgender avrebbero una “turba psichica”.
In quell’occasione il Coordinamento scrisse all’Espresso, all’inizio di dicembre del 2017.
Un esponente del PD e la testata L’Espresso, evidentemente, nonostante un manifesto orientamento al rispetto e ai diritti delle minoranze, agiscono nei fatti in modo differente da come dichiarano.
Ne prendiamo atto, e pubblichiamo la nostra richiesta all’Espresso, che non ci ha mai risposto.
 
Buongiorno, vi scrivo in qualità di portavoce del Coordinamento Transgender Lombardia, all’interno del quale si riuniscono rappresentanti di associazioni, attivisti e professionisti transgender impegnati nella difesa e nella promozione del diritto all'identità personale delle persone transessuali e transgender.
Nel blog dell’autore Paolo Ercolani, in data 22 novembre u.s., leggiamo “Sto parlando di quel femminismo estremista che è culminato nella teoria del gender (che ha legittimato la turba psichica di chi ritiene di poter scegliere la propria appartenenza sessuale a prescindere dal dato biologico. Legittima, ma pur sempre turba...).”
Nel 2013 il Manuale Diagnostico Statistico dell’OMS ha – non casualmente – modificato la definizione "disturbo dell'identità di genere" in "disforia di genere" proprio per eliminare la parola disturbo.
Il termine "turba", semmai, è ancor più sprezzante.
Tra tutte le rubriche del DSM questa prevede protocolli che presuppongono che la persona che soffre di questa disforia sia accompagnata in un percorso di cura che si esprime attraverso il raggiungimento della congruenza tra genere percepito e genere biologico: è evidente che non si tratti di una “turba” (diversamente da quanto accade se qualcuno si reca da uno psichiatra convinto di essere un topo: nessun servizio sanitario si prenderà cura di questo soggetto facendo in modo che le sue sembianze diventino quelle di un topo).
La rubrica resta nel DSM per evitare che, in contesti transfobici, si neghino appunto queste cure alle persone transessuali e da tempo è comunque in atto una campagna internazionale per la depatologizzazione della condizione transgender (è quanto accaduto anni fa per l’omosessualità, peraltro).
Quelle parole sono chiaramente manifestazione di disprezzo, a partire dalla parola "turba" che non sta più nel Manuale Diagnostico Statistico sino a quel "chi ritiene di poter scegliere" come a sottolineare un qualche abuso (legittimato dalla cosiddetta “teoria del gender”, che peraltro è un artificio mediatico).
Le linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall'Unar alcuni anni fa, nella parte "Comunicare senza pregiudizi: 10 punti da ricordare", paragrafo "cominciamo dalle basi" riepiloga i concetti di identità. "L’identità di genere è il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita."
Ci pare che l’inciso nell’articolo citato all’inizio "(che ha legittimato la turba psichica di chi ritiene di poter scegliere la propria appartenenza sessuale a prescindere dal dato biologico. Legittima, ma pur sempre turba...)" si discosti da queste linee guida, che si pongono in attuazione di un programma del Consiglio d’Europa.
Il senso intimo, profondo e soggettivo è sinonimo di turba? Secondo noi decisamente no, e quanto scritto per noi è contrario alle linee guida che ogni editore dovrebbe rispettare e offensivo nei confronti delle persone transgender.
Riteniamo doveroso che l’editore prenda una posizione chiara rispetto a ciò che noi riteniamo essere stato un mero errore che può essere sanato con la pubblicazione di una rettifica che evidenzi le distanze delle linee editoriali rispetto a quanto pubblicato nel blog del Prof. Ercolani.
Confidiamo in una vostra risposta e azione,
cordialità,
Avv. Gianmarco Negri Portavoce Coordinamento Transgender Lombardia
(comunicato comparso sulla pagina pubblica FB del coordinamento)
 

ARTICOLO DEL RICCICORNO

Nel 2016 Paolo Ercolani, docente all’Università di Urbino “Carlo Bo”, pubblicava con Marsilio il libro “Contro le donne.”

Ercolani ha raccontato in un’intervista che l’idea di ripercorrere la storia del “più antico pregiudizio” – quello che relega la donna in una posizione di inferiorità inemendabile rispetto agli esseri umani dotati di un pene – nasce dall’ “intenzione di divertire prendendo un po’ in giro il genere femminile“; l’idea originaria, insomma, era scrivere l’ennesimo libro contro le donne, che sarebbe andato a far compagnia a quella mole esorbitante di volumi vergata da “dottori e i biologi… i piacevoli saggisti, i romanzieri dal tocco leggero, i giovani che hanno preso la laurea in lettere; altri che non hanno preso nessuna laurea; altri che non hanno alcun titolo apparente tranne quello di non essere donne” di cui scriveva Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé”.

La violenza e la crudeltà con cui i i grandi classici del pensiero si scagliano contro le donne, però, hanno profondamente turbato il nostro filosofo, il quale ha avuto un’epifania: ci deve essere un legame fra secoli e secoli di diffuse ed errate convinzioni sul secondo sesso e le “ricadute terribili e spesso drammatiche sul piano della vita concreta e quotidiana di tantissime donne” (cito da Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio di Paolo Ercolani, Marsilio, 2016).

Così il suo libro frivolo e faceto si è trasformato in una denuncia del pregiudizio misogino “tanto assurdo quanto indegno di ogni creatura pensante“, nella speranza è che l’opera possa contribuire a distruggere “una miserevole e immotivata ingiustizia contro il genere femminile”.

Ma Paolo Ercolani evidentemente sentiva di dover fare di più: dalla collaborazione con il Consiglio regionale piemontese è nato quindi il progetto dell’educazione sentimentale contro la violenza di genere, un progetto che a partire da quest’anno coinvolgerà i licei di tutta la regione: «Portare l’educazione sentimentale nelle scuole permette di fornire ai ragazzi conoscenze e strumenti che gli consentano di diventare degli adulti in grado di vivere un’affettività equilibrata», ha dichiarato il filosofo all’Espresso.

A questo punto noi donne dovremmo applaudire e ringraziare commosse.

E invece io sono qui a chiedere a Paolo Ercolani di fare un passo indietro, perché la sua idea di ergersi a paladino della battaglia culturale alla violenza contro le donne proprio non mi piace.

Per quanto apprezzi la buona volontà e l’entusiasmo, Paolo Ercolani non mi sembra per nulla preparato per un compito tanto arduo.

Lo affermo perché il 25 novembre dello scorso anno, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Paolo Ercolani si è scagliato dal suo blog contro il femminismo contemporaneo, a suo dire “degenerato in una formazione radicale, intransigente ed intellettualmente elitaria, il cui fanatismo si è accresciuto di pari passo con l’ininfluenza politica e sociale (anzitutto presso le donne stesse, che non se ne sentono rappresentate).” Il culmine di questa pericolosa ideologia sarebbe rappresentato dalla “teoria del gender”- colpevole di aver “legittimato la turba psichica di chi ritiene di poter scegliere la propria appartenenza sessuale a prescindere dal dato biologico” – cui si aggiungerebbe la “maledizione del maschio in quanto tale, il suo dover comunque tacere sulle questioni che riguardano il femminile, e naturalmente la superiorità morale della donna. Che in quanto vittima designata del dominio maschile, è depositaria sempre e comunque della ragione.

Le “ottuse invasate” rappresentanti di questa degenerazione del pensiero femminista, continua Ercolani, sarebbero le attrici o aspiranti tali che, dopo aver denunciato alla televisione di aver subito molestie da registi e produttori, vengono fatte assurgere a modello delle donne che hanno subìto violenza sessuale dal maschio predatore e criminale”.

Ercolani confonde gli studi di genere con lo spauracchio inventato dal Vaticano e propagandato in Italia dai pittoreschi esponenti del Family Day, dimostrando di non avere contezza alcuna né dei primi né delle reali ragioni che stanno dietro ad un’invenzione retorica reazionaria, creata allo scopo di screditare il lavoro di disvelamento dei rapporti di potere che si nascondono dietro ai modelli culturali e agli stereotipi basati sul genere.

Inoltre, se l’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente annunciato che l’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of Diseases poiché “è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender“, Ercolani parla a sporoposito di “turbe psichiche”.

A proposito dell’ininfluenza politica e sociale del femminismo delle “attrici o aspiranti tali”, saremmo curiose di sapere come Ercolani avrà accolto la copertina del Time che ha celebrato le “silence breakers”come persona dell’anno; “Le azioni galvanizzanti delle donne in copertina (…) insieme a quelle centinaia di altre [donne] come di molti uomini, ha scatenato uno dei più veloci cambiamenti culturali dagli anni ‘60 ad oggi”, ha dichiarato Edward Felsenthal, direttore di Time, in merito alla scelta di dedicare la copertina alle “voci che hanno lanciato un movimento”: #metoo, un movimento che ha coinvolto milioni di donne in tutto il mondo.

Prima di concludere, vorrei citare un ultima controversa affermazione di Paolo Ercolani. Parlando del suo progetto di “educazione sentimentale”, ci informa che, a suo avviso, «L’educazione sessuale è ormai anacronistica, nonostante si discuta da quarant’anni sul suo inserimento nell’offerta formativa: i ragazzi ormai sono quasi più esperti di noi sulla meccanica del sesso» Peccato che l’aumento esponenziale della diffusione di malattie sessualmente trasmissibili soprattutto tra i giovanissimi sia motivo di allarme in tutta Europa da diversi anni. Il preservativo è l’unico anticoncezionale che protegge da tutte le infezioni, dall’Hiv a quelle batteriche che possono dare sterilità, ma gli italiani – Ercolani compreso – non se ne preoccupano: in Europa siamo quelli che spendono meno per i condom e le vendite calano inesorabilmente.

Se Paolo Ercolani sa poco di studi di genere, sa poco anche dei ragazzi con cui dovrebbe parlarne.

Mi spiacerebbe se Ercolani giungesse alla conclusione che il rifiuto di approvare la sua iniziativa trova fondamento nella “maledizione del maschio in quanto tale”: non è il suo pene che mi disturba, quanto piuttosto le sue anacronistiche idee, viziate da quei pregiudizi sulle donne che un simile progetto dovrebbe combattere e quindi poco idonee a “spiegare ai più giovani i cambiamenti nelle relazioni tra i sessi“.

https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2018/08/28/lezioni-damore/