382. "Il pensiero eterosessuale", intervista a F. Zappino su M. Wittig e sull'antispecismo

Grazie infinite a Eliana Pieralice per la trascrizione dell’intervista (1)

 

SILVIA MOLE’ DELL’ASSOCIAZIONE ANTISPECISTA PARTE IN CAUSA INTERVISTA

FEDERICO ZAPPINO, FILOSOFO, SCRITTORE E TRADUTTORE SU MONIQUE WITTIG E L’ANTISPECISMO

CONDUCE CRISTIANA PUGLIESE DI RADIO RADICALE      8 SETTEMBRE 2020 

 

Cristiana – Torniamo con le nostre conversazioni con Silvia Molè, che i nostri ascoltatori ben conoscono, membro dell’associazione antispecista radicale Parte In Causa e naturalmente parliamo di antispecismo ma non solo, oggi abbiamo come ospite Federico Zappino, io dico solo che è un filosofo, scrittore, traduttore ma anche autore, oggi parleremo proprio di un suo libro dedicato a Monique Wittig e il suo antispecismo.  Spero di averlo pronunciato bene, saluto entrambi: benvenuti a Radio Radicale e passo la parola alla nostra Silvia Molè

Silvia -  Un saluto a tutte e a tutti innanzitutto… sono molto, molto felice ed onorata di avere oggi con noi Federico Zappino che seguo personalmente da molto, molto tempo, ho diverse sue pubblicazioni.  Federico da un decennio contribuisce alla diffusione del pensiero femminista e queer in Italia.  Ha tradotto opere di EveKosofsky Sedwick (Epistemology of the Closet), Judith Butler (La vita psichica del potere, Fare e disfare il genere, L’alleanza dei corpi, La forza della non violenza) e, da ultimo, di Monique Wittig “Il pensiero eterosessuale”, edizioni Ombre Corte 2019.  Tra le sue opere più recenti ricordo il volume collettaneo “Il genere tra neoliberismo e  neofondamentalismo”  (ombre corte 2016) e il saggio “Comunismo Queer – note per una sovversione dell’eterosessualità” (Meltemi 2019), e di prossima pubblicazione la sua opera dal titolo “Il modo di produzione eterosessuale”.

Ecco, spero di averti presentato in maniera adeguata

Federico – Dire di sì e vi ringrazio!  Buonasera

Silvia – Allora cominciamo subito col chiederti chi era Monique Wittig, una femminista, tra l’altro, che a me sta molto molto a cuore e che cito in continuazione. E vorrei chiederti anche come mai hai deciso di tradurre questa sua fondamentale raccolta che fu pubblicata nel 1992 come silloge, mentre i testi furono scritti tra il 1976 e il 1990

Federico – Credo che il modo migliore per definire la Wittig sia quello di usare le sue parole: Monique Wittig si definiva una lesbica materialista; era fondatrice del movimento di liberazione delle donne in Francia, che è la cosa più importante che bisogna ricordare di lei; era profondamente femminista ed era materialista anche. E la prospettiva lesbica di Wittig riteneva proprio prioritario ampliare una critica femminista del patriarcato con una critica dell’eterosessualità come regime politico, cioè intesa come pre-condizione del patriarcato stesso.

Per Wittig la lotta contro il regime politico eterosessuale è una lotta che prevede un’alleanza tra tutti coloro che derivano oppressione da questo regime politico,  dunque le donne innanzitutto ma anche le lesbiche, i gay e molte altre soggettività di cui Wittig non parla per ragioni di sensibilità storica ma che pure possiamo rinvenire tra le righe delle sue parole.  Questo senza dubbio è uno dei motivi che mi ha indotto a tradurre quest’opera, appunto che tu introducevi così bene, dopo trent’anni dalla sua pubblicazione nonostante alcuni saggi di questa silloge fossero stati già tradotti anche in italiano e di cui ho reso conto nella mia traduzione.  Questo mi sembra sicuramente uno dei motivi più importanti 

Silvia – Bene.  Senti puoi esporre per il nostro pubblico, per quanto difficile, i punti cardine della sua teoria sull’eterosessualità come regime politico?  So anche che proprio a partire da Wittig tu sviluppi la tua teoria del modo di riproduzione eterosessuale

Federico – Sì, indubbiamente, come dire… Wittig parte dall’idea per cui a determinare l’oppressione delle donne, provo chiaramente a sintetizzare la sua posizione che è molto articolata, però appunto Wittig parte dall’idea per cui a determinare l’oppressione delle donne non è la loro anatomia, non sono presunte caratteristiche né fisiche, né morali, come la debolezza o la passività, ma a determinare l’oppressione delle donne sono gli uomini, è la classe politica antagonista.  E quest’oppressione secondo Wittig produce in senso proprio la differenza sessuale, quindi ribalta interamente il discorso femminista che – come dire – col quale si confronta negli anni in cui scrive questi saggi.  Per Wittig non esiste di conseguenza alcun sesso, ma esiste un sesso oppresso e un sesso oppressore, quindi la categoria di sesso, appunto il maschile o il femminile, è essa stessa un prodotto.  Quindi la differenza sessuale per Wittig è un prodotto ed è “il marchio”, lei lo definisce il “marchio dell’oppressore”.  Wittig dice appunto la categoria di sesso è la categoria che fonda la società in quanto eterosessuale, in quanto tale non concerne l’esistenza individuale, bensì la relazione.  La categoria di sesso presiede infattinaturalmente, dice Wittig, alla relazione che sta alla base della società eterosessuale, quindi la relazione è fondamentale della società in cui viviamo, della società nostra.  Quindi attraverso questa categoria metà della popolazione, dice Wittig, viene eterosessualizzata e sottomessa ad un’economia eterosessuale.  La categoria di sesso, dice ancora Wittig, è il prodotto di una società eterosessuale che impone alle donne il rigido obbligo della riproduzione della specie; inoltre, la categoria di sesso è il prodotto di una società eterosessuale nell’ambito della quale gli uomini si appropriano per sé stessi del lavoro riproduttivo e produttivo delle donne e dei loro corpi; e infine la categoria di sesso è il prodotto di una società eterosessuale che relega metà della popolazione ad un’esistenza, dice Wittig, meramente sessuale.  Proprio perché l’approccio di Wittig è materialista auspica un’abolizione delle categorie delle classi di sesso e questo, dice Wittig, può essere realizzato solo con la distruzione dell’eterosessualità come sistema sociale o per meglio dire come un contratto sociale di cui appunto dice Wittig che si fonda sull’oppressione delle donne da parte degli uomini ma che produce anche la dottrina della differenza tra i sessi per giustificare quest’oppressione.  In quest’affermazione di Wittig io ravviso qualcosa di molto importante perché appunto lei coglie il carattere produttivo di questa oppressione, che non è soltanto circoscritta alle donne, benché lo sia in maniera determinante, ma è reificatrice della produzione dell’oppressione anche di altre soggettività.  D'altronde è proprio dalla produzione del femminile che si origina la produzione dell’altro, del diverso, con cui sono stati via via definiti l’omosessuale, la persona non conforme al genere, molte altre soggettività.  Wittig dice questa cosa: la società eterosessuale non potrebbe funzionare senza questa alterità, senza questa differenza, senza questa diversità.  E non potrebbe farlo sotto nessun punto di vista quindi per Wittig, per tornare anche alla domanda sui motivi per i quali ho tradotto quest’opera, l’oppressione eterosessuale è la pietra angolare per tutte le relazioni gerarchiche e di dominio.

Silvia – Chiarissimo, grazie!  Senti Federico tu sei anche antispecista e anche in questo ambito assistiamo alla naturalizzazione dell’oppressione, il conetto di specie, forse, non è del tutto neutro.  Ecco io vorrei chiederti: vi sono legami con le altre lotte?  Tra l’altro a pag.25 la stessa Wittig afferma “che la creazione delle donne come categoria di sesso è simile all’allevamento degli animali”.

Federico – Sì, fai bene a menzionare questo passo così preciso di Wittig da cui si evince proprio questo carattere produttivo dell’oppressione, e anche dell’idea… ora io non so se Wittig annoverasse anche l’oppressione degli animali sotto la matrice produttiva dell’oppressione eterosessuale oppure se fosse esattamente il contrario, in ogni caso nel libro “Comunismo queer”, che prima citavi, se c’è un ambito al quale estendo il concetto di modo di produzione eterosessuale, per il quale Wittig mi è stata così d’aiuto nel formularlo, è proprio l’antispecismo: così come il modo di produzione eterosessuale produce la differenza sessuale, così la specie è essa stessa il prodotto di un rapporto di forza, cioè un modo di produzione antropocentrico chiaramente.  Ciò non significa che non esistano delle differenze tra gli animali, ma significa sicuramente che tutto ciò che conta come differenza di specie e tra le specie l’ha stabilito l’animale umano, e costruire una differenza significa esercitare una delle formule più subdole di dominio perché fa passare per naturale una forma di dominio che invece è sociale.  In altre parole costruire una differenza significa costruire sempre una diseguaglianza, Wittig in questo senso ci torna ancora utile perché dice “La differenza è il modo in cui i padroni definiscono una situazione storica di dominio”.  Da questa prospettiva io reputo sicuramente che l’alleanza tra l’antispecismo e queer dalla mia prospettiva possa essere assolutamente desiderabile perché entrambe per come le percepisco dalla mia prospettiva situata sono lotte che mirano a sovvertire non soltanto diseguaglianze, ma i presupposti che rendono possibili queste diseguaglianze.  Anche se la sfida più grande per noi, sia gli antispecisti che le queer, consiste nella costruzione di nuovi schemi di intellegibilità dell’eguaglianza, la quale è insidiata da tante cose, ad esempio dallo spettro della parità, dall’uguaglianza formale, dalle forme illusorie di inclusione e questo valetanto per le minoranze di genere, sessuali, vale tanto per le donne e vale anche per gli animali, per i quali non mancano affatto proclamazioni, diciamo così, “ufficiali” di diritti benché la condizione degli animali resti pressoché ovunque di dominio totale.  Quindi l’unica eguaglianza desiderabile, mi viene da dire, è quella che proviene dalla sovversione dei presupposti della diseguaglianza, anche se la forma che quest’eguaglianza può assumere è tutta da immaginare.

Silvia – Ottimo grazie!  Ecco io avrei concluso passo la parola a Cristiana

Cristiana – Allora, solo una rapidissima domanda, una curiosità: tu prima hai detto Federico che la Wittig diceva che l’oppressione delle donne nasce dagli uomini, io volevo sapere se lei ha mai parlato di religione e in che termini

Federico – Sì, chiaramente è ovvio che non si può prescindere dal patriarcato inteso in quel senso molto stretto, dal patriarcato ecclesiastico.  In realtà in Wittig è molto interessante che vedeva  nelle suore degli esempi di resistenza all’eterosessualità, al contratto sociale eterosessuale, la suora è una fuggitiva dalla propria classe, fuggitiva dal proprio destino di moglie e di madre all’interno di una cornice rigidamente eterosessuale, quindi mi sembra interessante che nelle sue opera ci sia questo richiamo alle suore che per molte persone sembra quasi spiazzante mentre invece ci indica, oltre ad illuminare storicamente la condizione delle suore intese in senso proprio come delle lesbiche fuggitive, però anche, appunto, illumina questo gesto di resistenza.  Poi chiaramente parliamo di testi che affondano le loro radici addietro nel tempo, parliamo di testi degli anni ’70 e anni ’80.  Ad oggi non sono sicuro però che la situazione sia così tanto cambiata, credo che ci sono ancora molti spazi nel mondo, anche nel mondo vicino a noi, in cui l’ingiunzione eterosessuale è molto forte quindi forse diventare suora è ancora un modo per resistere a questa cosa, non lo so lo lascio come interrogativo

Cristiana – Bene, continueremo a parlarne e io sarò lieta, e sono sicura che Silvia pensa la stessa cosa, se sarai ancora nostro ospite 

Federico – Ma molto volentieri!

Cristian – Ringraziamo Federico Zappino e naturalmente ringrazio la nostra Silvia Molè

Silvia – Grazie!  Un saluto, grazie Federico

 

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https://www.radioradicale.it/scheda/615215/monique-wittig-e-lantispecismo-intervista-a-federico-zappino