Complementare a tuo nonno in cariola
“(…) Questa caratterizzazione dei sessi a volte è eufemisticamente descritta con: «Le donne e gli uomini si completano a vicenda». Sono diversi ma uguali. Ciascuno è bravo a modo suo, semplicemente non nelle stesse cose. È un’idea che attraversa alcuni testi religiosi, ma che era popolare anche nell’Illuminismo, quando gli intellettuali europei erano alle prese con la definizione del ruolo della donna nella società. Jean-Jacques Rousseau, filosofo del XVIII secolo, era uno dei molti intellettuali – maschi e femmine – che argomentavano contro la parità dei sessi, sulla base del fatto che uomini e donne differiscono dal punto di vista fisico e mentale, ognuno progettato per il proprio ambiente. La nozione di complementarità prosperò nell’epoca vittoriana fino a essere incarnata nell’immagine della casalinga di periferia della classe media degli anni Cinquanta. La donna adempiva al suo ruolo naturale di moglie e madre, mentre il marito interpretava il ruolo di capofamiglia. Secondo Ruben Gur, i suoi risultati rafforzano l’idea che le donne siano complementari agli uomini. «Sono colpito dalla complementarietà dei sessi» risponde, quando gli chiedo di parlarmi dei risultati della sua ricerca sul cervello. «Sembra quasi che ciò che è più forte in un sesso, nell’altro è più debole, e qualunque aspetto diverso troviamo in un sesso, nell’altro troveremo un effetto complementare. Biologicamente, siamo costruiti per completarci a vicenda.»
HANNO UNA MISSIONE SPECIALE
«Questo è un problema dei secoli XVIII e XIX. Non dovremmo esprimerci così. Non so perché lo facciamo ancora» si lamenta Gina Rippon, docente di neuroimaging dei processi cognitivi presso l’Aston University di Birmingham. Il suo ufficio lungo e stretto, all’interno dell’edificio che orgogliosamente sostiene essere uno dei più grandi edifici indipendenti in mattoni in Europa, è disseminato di libri sulle neuroscienze e sul genere. Sullo scaffale ci sono dei modelli piccolissimi di cervelli e una tazza di caffè bianca a forma di teschio. Gina Rippon appartiene a un piccolo ma crescente numero di neuroscienziati, psicologi ed esperti di genere, sparsi in tutto il mondo, che stanno disperatamente cercando di contrastare le asserzioni secondo le quali i cervelli mostrano significative differenze tra i sessi. Nel XXI secolo, sta ancora combattendo la battaglia di Helen Hamilton Gardener. Rippon ha iniziato a interessarsi al sesso e al genere all’Università di Warwick, dove per venticinque anni ha tenuto corsi su donne e salute mentale. Più donne che uomini tendono a soffrire di depressione o ad avere disturbi dell’alimentazione; Rippon ha scoperto che, di volta in volta, questi disturbi venivano considerati ingeniti, come se essere femmine le rendesse più vulnerabili. Lei era invece convinta che tali problemi mentali avessero forti motivazioni sociali. Iniziò a essere affascinata da come le spiegazioni biologiche fossero usate impropriamente, in particolare quando si trattava di donne. (…) Nonostante le promesse di questa nuova tecnologia, le immagini che ne derivavano non erano sempre belle. Soprattutto per le donne. «Nel 2008, eseguii un controllo per capire come si stava procedendo con questa nuova tecnica di imaging cerebrale e con le differenze di genere. Fui inorridita» dice Rippon. Gli studi, compresi alcuni eseguiti da Ruben Gur presso l’Università della Pennsylvania, rilevavano differenze tra i sessi nel cervello rispetto a qualsiasi azione: compiti verbali e spaziali, ascoltare qualcuno che legge, reagire allo stress psicologico, provare emozioni, mangiare cioccolato, guardare foto erotiche e persino annusare. Uno di questi studi sosteneva che il cervello degli uomini omosessuali aveva più aspetti in comune con quello delle donne eterosessuali piuttosto che con quello degli uomini eterosessuali. «Mi sono fatta coinvolgere perché lo trovavo orribile. Pensai che queste ricerche venivano usate esattamente come in passato, quando si affermava che le donne non dovevano andare all’università altrimenti il loro sistema riproduttivo ne avrebbe risentito» mi dice. Rippon non è stata l’unica a insospettirsi davanti a questi studi. Le immagini della risonanza magnetica funzionale possono essere facilmente distorte dal rumore e dai falsi positivi. La risoluzione migliore che può raggiungere è circa un millimetro cubo. Con molti apparecchi si ottiene una risoluzione notevolmente inferiore. Può sembrare un volume esiguo, ma in realtà è considerevole quando si tratta di un organo denso come il cervello. Un solo millimetro cubo può contenere circa centomila cellule e un miliardo di connessioni. (…) La maggior parte degli esperimenti e degli studi non rivela differenze tra i sessi, afferma Rippon. Ma questi studi non vengono pubblicati. «È come un iceberg. Al di sopra del livello dell’acqua c’è la parte più piccola e più visibile: è facile che gli studi che si trovano in quest’area vengano pubblicati. Ma poi c’è un’enorme quantità di studi che rimane sotto il livello dell’acqua. Sono gli studi che non hanno rilevato differenze.» Le persone finiscono per vedere solo la punta dell’iceberg, ovvero gli studi che rinforzano l’idea che esistano differenze tra i sessi. Ruben e Raquel Gur hanno contribuito a una considerevole porzione dei lavori che si trovano nella parte visibile dell’iceberg, afferma Rippon: «Hanno una missione speciale». Nel suo libro Maschi = Femmine. Contro i pregiudizi sulla differenza tra i sessi, del 2010, la psicologa Cordelia Fine conia il termine neurosessismo per descrivere quegli studi scientifici che si basano su stereotipi di genere, anche quando questi stereotipi non hanno fondamento nella realtà. Lo studio di Ruben Gur del 2014 sulle differenze sessuali nella materia bianca di uomini e donne, sostiene Gina Rippon, è tra quelli che meritano di essere definiti estremamente neurosessisti. (…)”
Angela Saini