052. Luogo comune e senso comune

Il concetto di luogo comune è strettamente correlato a quello di senso comune, che non ha un significato univoco ed è quindi soggetto a valutazioni diverse.

Se gli si attribuisce un significato conoscitivo (intendendolo come un bagaglio di conoscenze, giudizi, convinzioni e principi largamente condivisi anche da chi non ha particolari competenze) può essere valutato in modi opposti.

 Da una parte, il fatto che certe convinzioni e principi appaiano condivisi dalla stragrande maggioranza degli uomini può essere visto come una garanzia della loro validità, quale risultato delle esperienze di vita dei nostri padri e quindi quale preziosa eredità culturale da non dover sottoporre a verifica alcuna – credenza e certezza sono i caratteri salienti del senso comune.

 Dall’altra, appare chiaro trattarsi di atteggiamento in generale fallace, in quanto il semplice fatto che la maggior parte della gente faccia X non lo rende corretto, morale, giustificato o ragionevole. Ora, poichè sarebbe impensabile cominciare a dubitare di tutto, intendo operare una distinzione tra senso comune e luogo comune nei seguenti termini: il senso comune rappresenta, solitamente, i cosiddetti valori, vale a dire dei principi molto generali, universalmente riconosciuti come validi, quali solidarietà, fratellanza, giustizia, che effettivamente nascono sia dall’esperienza sia dalla considerazione razionale che l’uomo senza di essi, quale animale sociale, sarebbe condannato all’estinzione, in quanto trattasi dei pilastri della vita in comune.

Con luogo comune intendo invece un’opinione su un tema molto più concreto e circoscritto, la cui diffusione, ricorrenza o familiarità ne determinano l’ovvietà o l’immediata riconoscibilità. Nel contesto della nostra vita socio-politica è quindi importartante soffermarsi sulla manipolazione del luogo comune, o sulla sua creazione ad hoc al fine di creare consenso e quindi elettorato. Nella propaganda politica, ma anche nel messaggio pubblicitario, è fondamentale che l’elettore si riconosca nel messaggio lanciato, che lo slogan rispecchi il suo modo di pensare o quello che egli già dà automaticamente per assodato. Un esempio di luogo comune spesso ricorrente è la paura per lo straniero, per la diversa cultura, come tale volta a minare i propri interessi: “ci rubano il lavoro”.

Quindi, nulla di più semplice, al fine di ottenere consenso, che sfruttare tale paura e concentrarla in brevi slogan ai limiti del razzismo. Laddove i dati delle Camere del Commercio dimostrano sia alte percentuali di liberi imprenditori offerenti a propria volta lavoro, sia lavoratori impiegati in settori ormai disdegnati dagli autoctoni, sia una situazione per cui gli stranieri in Italia contribuiscono per il 9,2% alla creazione del Prodotto interno lordo a livello nazionale. Vi sono poi luoghi comuni creati ad hoc, a fini elettorali. Spesso vengono in tal senso manipolate statistiche e deformate le rappresentazioni mediatiche: un caso tipico è rappresentato dal tema criminalità: “ormai non si può piu camminare in città tranquilli”, “il cittadino non si sente piu sicuro”, laddove i numeri in realtà spesso subiscono variazioni minime o sono comunque di difficile interpretazione per la complessità di questi fenomeni. Singoli casi di cronaca gonfiati mediaticamente a simbolo di pericolo dilagante e diffuso cui porre mano attraverso programmi politici “forti” che creeranno quindi sicurezza attraverso l’inasprimento delle pene. Attente analisi che vanno al di là del luogo comune renderanno evidente come la diminuzione della criminalità sia, in genere, direttamente proporzionale al miglioramento delle condizioni socioeconomiche di un dato ambiente e che l’effetto deterrente dell’aumento della pena non è stato minimamente dimostrato.

Il luogo comune rappresenta quindi una scorciatoia cognitiva, nel senso che esso non viene sottoposto a verifica e risulta spesso immune anche all’evidenza. Rappresenta l’opposto del metodo di indagine razionale che nasce dall’osservazione obiettiva di fatti documentati provenienti da fonti note, utilizzati per costruire ipotesi che devono poi resistere a ogni tentativo di falsificazione mediante altre osservazioni, analogamente al metodo scientifico.

Un punto importante è poi rappresentato dal quesito: perchè tendiamo così facilmente ad essere vittime del luogo comune? I motivi sono molteplici e strettamente correlati: accanto a un’inefficiente e fallimentare istruzione scolastica, che dovrebbe fornire i metodi di discernimento e nozioni culturali di base, troviamo anche una situazione di tipo emozionale per cui la condivisione di un luogo comune crea sodalizio, comunanza, partecipazione ad un gruppo. Invalidare un luogo comune significherebbe qui, oltre che a dover disporre di notevoli informazioni e capacità argomentative, anche mettere a rischio la simpatia e il sostegno del “gruppo”. A ciò si aggiunga una sorta di immunizzazione cognitiva nei confronti di tutto ciò che può mettere a repentaglio un insieme di opinioni che si è radicato nel tempo, venendo a costituire la base del nostro agire o pensare quotidiano. I luoghi comuni sono quindi più difficili da smantellare della più iniqua delibera, e più pericolosi. Contro una norma, una delibera, un decreto possiamo mobilitarci con strumenti di pressione, di comunicazione, di azione legale ampiamente testati. E vincere o perdere a seconda delle risorse impegnate e degli appoggi acquisiti. Ma contro i luoghi comuni siamo spesso indifesi, anche per la loro sfuggevolezza, per la loro mutevolezza, per la loro diffusione, magari inconscia, anche nelle menti apparentemente più illuminate.

Soluzioni? Diffusione della conoscenza, che è dovere prima ancora che diritto, a tutti i livelli. È mio parere personale che la massima forma di ignoranza non sia costituita dalla carenza di sapere ma dalla mancata diffusione o distribuzione di questo. Laddove ciascuno, nel suo piccolo, è chiamato a dare un contributo