(...) I filosofi delle scuole più diverse propongono che la filosofia prenda le mosse da uno o da un altro stato mentale, in cui peraltro nessuno si trova realmente, tanto meno un principiante in filosofia. Gli uni propongono di cominciare dubitando di tutto e sostengono che esiste solo un'unica cosa di cui non è possibile dubitare, come se dubitare fosse "facile come mentire". Gli altri propongono di cominciare osservando "le prime impressioni dei sensi", dimenticando che i nostri stessi percetti sono il risultato di un'elaborazione conoscitiva. Ma in verità vi è un unico stato mentale da cui è possibile "prendere le mosse", vale a dire proprio quello stato in cui realmente ci si trova nel momento in cui si "prendono le mosse, uno stato in cui si è carichi di un'immensa massa di cognizioni già formate, delle quali non è possibile disfarsi nemmeno volendo; e chi può sapere se, potendo, non ci si renderebbe impossibile ogni conoscenza? Chiamate dubitare lo scrivere su un pezzo di carta che dubitate? Se così fosse, il dubitare non sarebbe cosa seria. Ma non fingete; se la pedanteria non vi ha divorato e non vi ha privato della vostra realtà, dovrete riconoscere che vi è molto di cui non dubitate minimamente. Ora, ciò di cui non dubitate minimamente dovrà essere considerato come infallibile e assoluta verità, e così accade. E qui interviene il signor Finzione: "cosa? Intendete dire che si deve credere ciò che non è vero oppure ciò di cui l'uomo non dubita è ipso vero?". No, ma a meno che un uomo non possa fare una cosa bianca e nera allo stesso tempo, questo stesso uomo deve considerare ciò di cui non dubita come assolutamente vero. Immaginiamo ora p e r i p o t e s i che siete quell'uomo. "ma voi mi dite che esistono una quantità di cose di cui non dubito. Non riesco veramente a persuadermi che non ve ne sia qualcuna su cui possa sbagliarmi". state adducendo una delle vostre finzioni, la quale, quand'anche fosse fondata, servirebbe unicamente a dimostrare che il dubbio ha un LIMEN, vale a dire è chiamato ad essere solo da uno stimolo ben determinato. Vi imbrogliate da solo parlando di "verità" e "falsità" metafisica senza saperne nulla. Avete a che fare solamente con i vostri dubbi e le vostre credenze e con il corso della vita che vi impone nuove credenze e vi dà la forza di dubitare delle vecchie. Ben vengano le parole "verità" e "falsità" se intese da essere definibili in termini di dubbio, credenza e corso dell'esperienza (...) i vostri problemi si semplificherebbero enormemente se, invece di esigere di sapere la "verità", chiedeste semplicemente di conseguire uno stato di credenza immune dal dubbio. La credenza non è un modo transitorio della coscienza; è un abito di pensiero che fondamentalmente dura per un certo tempo ed è per lo piu (o almeno) inconscio; come altri abiti è pienamente soddisfatto di sè (fino a quando non incontra qualche sorpresa che dà inizio alla sua dissoluzione). Il dubbio è di tutt'altro genere. Non è un abito, bensì la mancanza di un abito. Ebbene, per essere qualcosa, la mancanza di un abito non può che comportare una condizione di attività irregolare, che in qualche modo dovrà essere soppiantata da un abito"
(...) (inteso il pragmatismo) Servirà a mostrare che quasi ogni proposizione della ontologia metafisica è chiacchera insensata - essendo ogni parola definita da altre e queste da altre ancora, senza che si approdi mai ad un concetto reale - oppure mere assurdità; sicchè fatta piazza pulita di tanta robaccia, ciò che della filosofia rimane è una serie di problemi suscettibili di indagine mediante i metodi di osservazione propri delle vere scienze; si potrà in tal modo accertarne la verità senza incappare in quella sequela interminabile di equivoci e dispute che ha fatto della più alta delle scienze un puro passatempo per intelletti oziosi, una sorta di sfida agli scacchi, ozioso piacere il suo fine e pedissequa lettura il suo metodo (...)