063. Lasciar fiorire tutte le vite



Propongo sul tema dell' antispecismo questo eccezionale articolo di Antonio Vigilante, saggista e insegnante di Filosofia, comparso sulla rivista Diogene Magazine, numero marzo-maggio 2011
www.diogenemagazine.eu
 
LASCIAR FIORIRE TUTTE LE VITE

"Le due posizioni più note nel dibattito sui diritti degli esseri non umani sono quelle dei filosofi Peter Singer e Tom Regan. Il primo, nell'ambito di un utilitarismo della preferenza (secondo il quale è bene ciò che soddisfa le preferenze di tutti gli individui coinvolti in una scelta morale), afferma che non è possibile non tener conto della capacità di soffrire di molti esseri viventi non umani. Gli animali hanno diritti perchè capaci di soffrire esattamente come gli esseri umani, anche se non dotati delle stesse capacità razionali;negarlo, e trattare gli animali come cose, vuol dire abdicare alla ragione in favore del pregiudizio.

Regan ha elaborato invece una teoria generale dei diritti morali degli animali, che considera dotati di diritti, e quindi meritevoli di rispetto: tutti gli esseri viventi  hanno un valore intrinseco, e non meramente strumentale. La prima parte del suo saggio "I diritti animali" (1983) è dedicata a mostrare che gli animali sono esseri non solo capaci di soffrire, ma in grado di esprimere preferenze, di osservare il mondo da un proprio punto di vista, di avere una vita buona o non buona; che sono, in altri termini, soggetti, e non meri strumenti. Entrambe le posizioni comportano qualche difficoltà. L'etica di Singer, ad esempio, considerando fondamentale la capacità di avvertire dolore, non riesce a giustificare il valore di quelle forme di vita che di tale capacità sono prive. In questo modo, si salvaguardano gli essere senzienti, ma resta escluso il mondo vegetale.

Il criterio è in fin dei conti ancora antropocentrico, poichè la sofferenza è una delle realtà più significative della vita umana, e non è difficile provare empatia anche nei confronti di un animale, se ci si accorge che sta soffrendo (non a caso la realtà dei macelli è ben celata ai consumatori). Non molto diverso è il procedimento di Regan, il cui sforzo è teso a dimostrare che anche gli animali sono soggetti di vita, dotati delle stesse qualità (autocoscienza, capacità di avere interessi e preferenze, proiezione verso il futuro) in base alle quali riconosciamo il valore intrinseco di ogni appartenente alla specie umana. Ciò che accomuna le tesi di Singer e di Regan è il ricorso a un procedimento analogico, che fa leva sulla somiglianza dell'animale con l'uomo, con la conseguenza di non riuscire a sostenere il valore morale di una vita caratterizzata da una radicale differenza dall'umano. Un approccio ai diritti umani che può essere interessante proprio per la considerazione della differenza è quello che la filosofa Martha Nussbaum ha tentato applicando le categorie del pensiero socioeconomico di Amartya Sen. L'economista e premio Nobel riflette sul concetto di capacità, intesa come le opportunità che si hanno di operare scelte riguardanti la propria vita, la possibilità reale che i soggetti hanno di perseguire l'ideale di una vita degna di essere vissuta. Non occorre una considerazione particolarmente approfondita della realtà mondiale attuale per rendersi conto che esiste un divario fortissimo tra pochi paesi ricchi, che possono offrire ai loro cittadini ampie possibilità di scegliere la vita che preferiscono (non senza, occorre tuttavia notare, notevolissime differenze tra classi sociali), e paesi poveri, i cui cittadini sono obbligati a un'esistenza mutilata, spesso non degna di un essere umano. Nelle diverse aree del mondo cambia anche, in verità, l'ideale di una vita degna di essere vissuta, poichè cambiano le concezioni filosofiche, gli usi, le tradizioni. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma principi universali senza tener conto delle differenze culturali, ed è questo probabilmente il suo limite principale. Anche per questo l'approccio di Sen si rivela importante. Riprendendolo, Nussbaum redige una lista di capacità fondamentali che ogni governo dovrebbe garantire ai propri cittadini, e che vanno dalla vita alla salute al gioco al controllo dell'ambiente.

A differenza dei diritti, che hanno una formulazione fissa, valida per ogni cultura, la lista delle capacità fondamentali è suscettibile d'integrazioni locali, così come può cambiare il loro ordine. Tra le capacità che Martha Nussbaum ritiene fondamentali c'è anche quella d'interagire con le altre specie, siano esse animali o vegetali, e di vivere in rapporto con il mondo naturale: ciò comporta il dovere dei governi di difendere l'ambiente naturale e la diversità biologica, anche se essi restano in fin dei conti degli strumenti per offrire all'uomo una vita significativa. La particolarità dell'approccio delle capacità, vale a dire la sua apertura alla diversità, consente però anche di tentare una fondazione dell'etica interspecifica. E' quanto Nussbaum ha provato a fare in "Le nuove frontiere della giustizia". L'idea di fondo è che si debba riconoscere ad ogni essere vivente il diritto di vivere una vita soddisfacente, fiorendo secondo le proprie possibilità. L'immagine del fiorire, ricorrente in Nussbaum, indica questa possibilità di uno sviluppo autonomo reso possibile da non intervento umano. La lista delle capacità fondamentali può dunque essere estesa al mondo animale, per avere il quadro delle possibilità animali che l'uomo è tenuto a rispettare ed elaborare in questo modo l'idea di una vita buona animale. Come gli umani, gli animali avranno dunque il diritto di vivere la propria vita fino alla fine, il diritto alla salute e alla integrità fisica, il diritto di fare esperienze piacevoli, di avere una vita affettiva, e così via. Queste affermazioni di principio, che danno vita a un'etica interspecifica apparentemente rigorosa nella difesa della vita animale, si scontrano però con una serie di distinguo che ne limitano fortemente la portata. Il diritto degli animali alla vita, ad esempio, può essere violato tutte le volte che 'vi è un motivo plausibile per uccidere'.E' evidente che è impossibile, anche per il più rigoroso seguace del principio della non uccisione estesa al mondo animale, evitare di sopprimere una vita.

Lo stesso Albert Schweizer, teorico del rispetto per la vita, si trovò di fronte alla necessità di dover uccidere dei pesci per nutrire dei piccoli pellicani cui erano state tagliate le ali. Chiunque si prenda cura delle piante si trova di fronte alla necessità non solo di uccidere dei parassiti, ma anche di estirpare le altre piante - squalificate come erbacce - che infestano i vasi che contengono le specie vegetali preferite per motivi prevalentemente estetici. Proprio perchè è impossibile, a quanto pare, sottrarsi alla necessità di uccidere vite non umane, diventa necessario chiarire quando ciò è lecito e quando no. Un buon criterio può far ricorso appunto alle capacità, e può essere il seguente: è lecito uccidere una vita non umana quando tale soppressione è indispensabile per realizzare una capacità umana fondamentale; in tutti gli altri casi l'uccisione non è lecita. Il problema è, in questo caso, quello di circoscrivere le capacità umane fondamentali, in modo da evitare abusi. Può essere lecito sopprimere una vita non umana se ciò è indispensabile all'uomo per mantenersi in vita o in salute, ma non evidentemente per gioco, pur essendo il gioco una delle capacità umane fondamentali.

Un secondo criterio può essere quello della sofferenza: ogni volta che ci si trovi di fronte alla necessità di uccidere, ed è possibile scegliere, è doveroso scegliere di sacrificare la vita incapace di sofferenza. In questo modo, pur essendo lecito uccidere esseri viventi per nutrirsi (l'alternativa è il suicidio per inedia), è doveroso nutrirsi di vegetali, non perchè le vite dei vegetali siano prive di valore, ma perchè incapaci di sofferenza.

Un altro problema non facile è quello della sterilizzazione. Essa appare ad un primo sguardo come una evidente violazione del diritto all'integrità fisica. Tuttavia Nussbaum afferma che la castrazione dei maschi di alcune specie (cavalli, cani) 'sembra (sulla base di una lunga esperienza' compatibile con la fioritura della vita di questi animali', mentre la castrazione di un uomo è sempre una punizione crudele e inaccettabile. Si fa qui evidente il carattere ancora antropocentrico dell'analisi di Nussbaum. Per quanto sia sicuramente da considerarsi una gravissima violazione dei diritti umani la sterilizzazione forzata (come quella cui sono stati costretti i rom in Svizzera dal 1934 al 1975), è possibile per un essere umano vivere una vita buona anche senza figli, benchè molti considerino la possibilità di avere figli (ricorrendo alle tecniche di fecondazione artificiale) un diritto da rivendicare. Ma si può dire lo stesso per un animale? Si può dire la stessa cosa dei salmoni, che risalgono fiumi per riprodursi nel luogo in cui loro stessi sono nati, e che dopo la deposizione delle uova muoiono di sfinimento? Si può dire che i maschi delle api che muoiono subito dopo essersi accoppiati con la regina non hanno avuto una buona vita? Che pensare del maschio della mantide, che viene divorato dopo l'accoppiamento? Sono infiniti gli esempi di comportamenti animali che fanno pensare alla riproduzione non come a uno dei tanti fatti della vita, ma come cosa particolarmente solenne, per la quale si può anche morire. Se gli umani muoiono (o morivano) per i cosidddetti ideali, gli animali muoiono spesso per riprodursi. Stando così le cose, sterilizzare un animale è forse peggio che ucciderlo: è un pò come lobotomizzare un pensatore o un rivoluzionario, togliendogli così anche il diritto di morire per le proprie idee.

L'approccio delle capacità ha due meriti principali. Il primo è quello di superare l'ottica utilitaristica, in base alla quale (almeno per l'utilitarismo classico, mentre diversa è la posizione di Singer) bisogna giungere alla conclusione che l'uccisione di un animale non costituisce un danno reale per lui, se la morte non avviene in modo doloroso. Una conclusione paradossale alla quale si sfugge se invece si afferma che ogni essere vivente ha il diritto di vivere una vita soddisfacente e di realizzare, almeno in parte, le sue capacità. In questo caso la morte prematura di un animale costituisce un'indubbia violazione dei suoi diritti, così come l'allevamento, soprattutto quello intensivo e industriale, comporta un'inaccettabile limitazione delle capacità degli animali, ridotti a semplici strumenti al servizio dell'alimentazione umana.

Il secondo merito è quello di permettere il passaggio da un animalismo emancipazionista, che cerca di estendere anche agli animali i diritti umani, a un 'animalismo differenzialista', che considera cioè le differenze tra umani e non umani e la loro specificità. Ma si tratta di un discorso ancora in gran parte da fare. In Martha Nussbaum non c'è soltanto una contraddizione a tratti notevole tra un certo massimalismo teorico e la prudenza anche eccessiva delle richieste concrete (macellazione non dolorosa, allevamento e sperimentazione rispettosi della vita animale); c'è soprattutto una lista interspecifica delle capacità che appare modellata su un ideale di vita buona umano, esteso agli animali per analogia.

Non si può che condividere l'ideale di Nussbaum, che è quello di ' vivere decentemente insieme, in un mondo in cui molte specie tentano di fiorire', ma bisogna chiedersi se esso sia compatibile con gli allevamenti, sia pure maggiormente rispettosi della dignità animale (si può parlare decente convivenza tra soggetti, se uno rinchiude e uccide l'altro?), interrogarsi a fondo, con l'aiuto della scienza, su ciò che significa fiorire per ogni specie animale e vegetale e trarre coraggiosamente le conclusioni riguardo ai limiti imposti alla prassi umana di sfruttamento da quel 'sì alla vita', che ogni essere vivente testimonia costantemente, persino quando sacrifica la propria esistenza a fini riproduttivi".

(a completamento, Punti Nr. 59 e 150  del Menu)