da "Conoscenza come Dovere", del prof. Lorenzo Magnani (Università di Pavia), 2005 Associated international academic publishers, pag. 141
Versione integrale in lingua inglese:
http://www.cambridge.org/gb/knowledge/isbn/item1174589/?site_locale=en_GB
"(...) ho illustrato che nell'ambientalismo radicale l'ecotage è visto secondo la prospettiva della tradizione delle minoranze, perchè piante e a animali, non protetti e che stanno per essere distrutti, sono 'minoranze'. Inoltre, se l'io è considerato come ecologicamente esteso e, come molti sostengono, fa parte di un io ecologico ampio, che comprende l'intera comunità biologica, allora la difesa delle 'cose' non umane è semplicemente una 'autodifesa' e, conseguentemente, il disobbedire a certe leggi è giustificato.
Un modo di pensare analogo ci può aiutare nel rivedere il nostro modo di affrontare il problema della guerra e della minaccia delle forze militari. Nel caso di alcune guerre contemporanee portate dai paesi occidentali, le forze militari hanno sistematicamente distrutto sfortunati complessi locali di cose, animali ed esseri umani. Mi pare che essi non solo non vengano difesi, ma non siano neppure considerati da una prospettiva morale che li renda depositari di abbastanza valore da non essere distrutti. Paradossalmente, su di essi viene proiettato un valore morale e pedagogico solo d o p o che sono diventati corpi morti e luoghi distrutti: a quanto pare, i corpi morti e i palazzi distrutti possiedono un valore che non è invece disponibile nel caso di persone incolumi e città intatte.
Ciò che voglio dire è che la tradizione dell'etica della guerra non pone sufficiente attenzione concettuale e strategica al problema dell'immunità di coloro che non combattono. Io credo che ciò sia avvenuto a causa di una distorsione del 'rispettare le persone come cose' di cui ho parlato in questo libro. Ironicamente nella guerra gli esseri umani sono moralmente 'rispettati' come persone solo dopo essere diventati oggetti inanimati, cioè quando sono morti, proprio come accade nel caso di certi animali e luoghi che acquisiscono valore quando sono estinti o distrutti. In qualche senso le bombe cosiddette intelligenti sono finalizzate alla minimizzazione di questo bizzarro modo di 'rispettare le persone come cose' mirando solo a target militari e cercando di limitare le perdite umane civili.
Non desidero qui trattare il problema della Guerra Giusta o del 'quando combattere'. Vorrei piuttosto focalizzare l'attenzione su alcuni problemi relativi al 'come combattere' e al motto 'rispettare le persone come cose'. Sappiamo che il principio dell'immunità dei civili afferma che la vita e le proprietà dei civili non dovrebbero essere oggetto di violenza militare, ma sfortunatamente ci sono idee molto conflittuali intorno a cosa può essere qualificato come 'civile' e cosa come 'militare'.Io sostengo che possiamo considerare gli oggetti non protetti - certi oggetti, animali ed esseri umani vulnerabili durante le guerre - delle vere e proprie minoranze, proprio come gli ambientalisti hanno fatto nel caso di piante e animali minacciati. Alla luce del paradossale 'rispettare le persone come cose' il problema del 'come combattere' potrebbe acquisire una nuova valenza morale e portare a rivedere il problema dell'etica della guerra giusta.
Coloro che rifiutano di riconoscere il problema dei danni collaterali, si creano una sorta di rifugio psicologico dagli orrori della guerra e trovano sollievo in questa denegazione; ciò li induce anche a sottovalutare il problema dell'immunità dei civili. Ci si ricollega a questo punto con il problema della cattiva fede, che ha giocato un ruolo centrale in questo capitolo: il rifugio psicologico di cui abbiamo appena parlato corrisponde, in una prospettiva individuale, alla costruzione di un altro sè, meno sensibile agli orrori della guerra. Nelle guerre vengono uccisi degli esseri umani e questo è un pensiero troppo opprimente per alcune persone, che preferiscono quindi giocare il ruolo fittizio della cattiva fede piuttosto che accrescere il proprio grado di consapevolezza riguardo la complessità della situazione della guerra. Si conserva e si salvaguarda così l'ignoranza sul problema dell'immunità dei civili ed è proprio tale ignoranza che a sua volta alimental'angoscia e di conseguenza la cattiva fede.
Inoltre l'ambiguità del rifiuto dell'idea dei potenziali danni collaterali può anche essere incorporata in un'ideologia oggettiva sulla guerra che così finisce per essere oggettivamente disponibile, a portata di mano, perchè fa parte della cultura immagazzinata in dispositivi e in supporti esterni (le altre persone,i libri, i media ecc.) di una collettività sociale. Si può quindi trovare là fuori disponibile e adottare questa strumentazione ideologica esterna e ri-rappresentarla all'interno degli individui per implementare la condizione della cattiva fede. E' del resto un tipico meccanismo della cattiva fede quello di essere intrecciato con delle controparti sociali-culturali oggettive. Va detto che la diffusione all'interno di una collettività culturale, di molte condizioni individuali di cattiva fede fa sì che esse siano ben presto esternalizzate e cristallizzate in racconti ideologici condivisi da una parte della collettività. Ciò testimonia la presenza di un continuo rimando tra realtà interna ed esterna e illustra la genesi del carattere ingannevole delle ideologie a partire dalla cattiva fede.
Le guerre costringono le nostre culture ad affrontare il fatto che si attribuisce un valore e un rispetto più grande a carri armati e ad armi tecnologiche e anche agli interessi economici e alla globale commodification dei bisogni socio-culturali, che non a sistemi viventi e socio-naturali intatti, e ad esseri umani, armati o meno. Ovviamente il problema di costruire e scoprire nuovi modi per garantire la libertà e la prosperità delle nazioni e della collettività, attraverso nuovi tipi di guerre o nuovi metodi non bellici per risolvere i conflitti continua a rimanere aperto"