078. Il dna dei Bin Laden


 3 maggio

 
La notizia della cattura di Osama Bin Laden è un grande evento e un grande successo per l’amministrazione  Obama, cui va tutta la mia stima.
 
Ciononostante ritengo che sia sempre doverosa la completezza e correttezza delle informazioni nei confronti del cittadino. Molti comunicati parlano laconicamente di una prova del DNA, condotta sulla base del confronto con il DNA di una sorella morta a Boston e di cui non è stato reso noto il nome,  dalla quale risulterebbe un 99,9% di certezza riguardo all’identitá della persona catturata. Da diverse fonti (*) risulta che Osama Bin Laden avesse oltre 50 fratellastri (vivi, morti? la stragrande maggioranza in linea paterna), e che fosse l’unico figlio di primo letto. Per cui sarebbe piú corretto parlare, basandosi esclusivamente su tale prova, di un’altissima probabilitá che si tratti di un fratello. Grazie quindi anche alle altre prove, sapremo trattarsi al 99,9% di Bin Laden.
 
(*)
 
Non si tratta quindi di complottismo, ma di una necessaria e imprescindibile verifica dei dati a nostra disposizione, anche e soprattutto quelli provenienti da “fonte autorevole”. E pur senza voler mettere minimamente in discussione la veridicitá dell’evento. Un invito al critical thinking, sempre.
 
4 maggio
 
un interessante link sul tema:
 
 
Sempre in data odierna leggo il seguente articolo  di uno dei miei giornalisti preferiti, Mario Calabresi (La Stampa è il giornale italiano a mio avviso piú sobrio e democratico):
 
 
Articolo del tutto condivisibile, tranne a mio avviso per quanto segue:
 
“Si potrebbe immediatamente obiettare che proprio dalla Casa Bianca venne diffusa nel mondo la bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e ricordare come Colin Powell lo sostenne all’Onu mostrando la famosa fialetta. Dovremmo però ricordare anche il discredito che colpì Bush, Cheney e Powell quando si scoprì che non era vero, e come oggi la reputazione dei tre sia a pezzi, tanto che l’ex Presidente è forse l’unico a non essere invitato da nessuna parte a tenere lezioni e discorsi. Quei discorsi che a Bill Clinton fruttano milioni di dollari l’anno”
 
Ora, la conseguenza prima di dette menzogne non è stata una tenue gogna mediatica (nessun invito a tenere discorsi…), da cui l’impressione di un “just world” (si veda la bias relativa) bensí il bombardamento di una nazione fatta precipitare in una guerra civile che ancora oggi non ha termine, con migliaia di vittime, anche civili ovviamente. Laddove le conseguenze per i promotori della menzogna dovrebbero essere di tipo penale. Quindi, errato indubbiamente il complottismo “a priori” (“tanto quelli mentono sempre”) ma del tutto giustificata e sensata la richiesta di un minimo di rendiconto.
 
 Sulla Stampa di oggi troviamo anche un’intervista alla grandissima filosofa Franca d’Agostini, dal cui ultimo libro ho preso spunto per la creazione di questo sito e che con molto piacere riporto:
 
 La filosofa D'Agostini
"Anche l'assenza genera miti e simbologie"
MAURIZIO ASSALTO
 
Opportuna o inopportuna la scelta degli americani di nascondere al mondo le immagini di Bin Laden morto? Lo chiediamo a Franca D’Agostini, docente di Filosofia della Scienza al Politecnico di Torino.
 
Secondo lei gli Usa hanno agito in modo previdente?
«In verità non conosciamo con esattezza tutte le ragioni delle autorità militari americane nel togliere al corpo del nemico ucciso il diritto (o l’onta) dell’immagine. La sepoltura in alto mare, senza lo sguardo rivolto alla Mecca, può essere interpretata come un ultimo gesto di disprezzo, un ultimo atto aggressivo. Oppure come un gesto di appropriazione: Osama bin Laden catturato e ucciso è diventato in certo modo “nostro”, un occidentale, uno di noi, e abbiamo discrezione sul rito della sua morte».
 
Lei per quale interpretazione propende?
«Direi che, più probabilmente, l’intenzione era evitare e fermare fin dall’inizio il mito, togliere l’aura al simbolo. Ma in quest’ultimo caso non è detto che la strategia funzioni».
 
Perché?
«Perché il valore mitico delle immagini non è mai prevedibile. Il mito si nutre di tracce, registrazioni, ricordi, ma non sappiamo come. L’assenza di tracce è capace di coinvolgere grandi forze simboliche, specie per quel che riguarda la morte: è l’assenza del corpo di Gesù Cristo, in fin dei conti, ad aver creato il paradigma di ogni morte mitica».
 
Ma sul piano simbolico, che cosa rappresentano le immagini dei nemici, o degli amici, morti ammazzati?
«Nell’immagine i morti non sembrano mai veramente morti. Mussolini con gli occhi sbarrati, Che Guevara fragile e addormentato. Se sono impressionanti, se sembrano davvero morti, è perché non sono più umani, non sono più quel che erano: ma se ancora li riconosciamo, allora vediamo solo un corpo in quiete. Parafrasando Hegel si direbbe: l’immagine è essa stessa già morta, la vita delle immagini consiste nel non aver vita».