233. Sulla prostituzione

Perché essere contrari alla legalizzazione della prostituzione

Articolo pubblicato su Vercelli Oggi (qui con talune integrazioni)

http://www.vercellioggi.it/dett_news.asp?titolo=COSTANZANA_-_Una_lettrice_%E8_contraria_alla_legalizzazione_della_prostituzione%3A__quot%3BIl_corpo_non_%E8_merce_pari_ad_un_cavolfiore_quot%3B_&id=48148&id_localita=3

Apprendo dai giornali della proposta di una parlamentare PD, a quanto pare mirante a ridurre le statistiche disoccupazionali, ad incrementare le casse dello stato  nonché a sostituire lo stato alla mafia per la gestione del degrado femminile, in sostituzione di adeguati e dignitosi provvedimenti occupazionali. O della volontà di seguire l’Europa sulla scia dei redditi minimi garantiti.

"Per me il primo passo è superare la Legge Merlin - spiega la parlamentare in un'intervista- che ora va sostituita con una legge al passo con i tempi, a partire da un presupposto imprescindibile: una divisione netta tra prostituzione volontaria, che rientra nella sfera della libera e piena disponibilità del proprio corpo, e prostituzione coatta, dietro la quale ci sono le organizzazioni internazionali dedite alla tratta delle donne, specie minori, i cartelli mafiosi, il malaffare". 
"Le prostitute che vogliono esercitare liberamente e vogliono vedere riconosciuta la propria professione devono potersi iscrivere alla Camera di Commercio, avere un albo specifico e una partita Iva - aggiunge Spilabotte - sarebbero impresarie di se stesse e potrebbero beneficiare di tutti i diritti e doveri degli altri lavoratori, dal sistema previdenziale alla pensione. E ovviamente pagherebbero le tasse, contribuendo al sistema erariale nazionale. Si potrebbe ripensare anche alla possibilità, per più donne che lo decidono, di riunirsi in cooperativa ed esercitare tutte in una stessa sede". "Poi - conclude - c'è il capitolo prevenzione:
massicce campagne di sensibilizzazione nelle scuole rivolte ai maschi,  che devono capire che la donna non è un oggetto di possesso e che le diversità vanno rispettate e non violentate. Oltre a misure di sostegno e protezione delle donne che vogliono uscire dal giro, ribellarsi, reintegrarsi"

Innanzitutto sono colpita dal fatto che nel contesto del dibattito non vengano citate le “cifre” per l’Italia. Si parla di un fenomeno o senza conoscerlo o peggio senza volerlo fare conoscere. Le varie statistiche possono portare ad esiti differenti, a seconda dei metodi utilizzati, ma si cominci il dibattito a partire da esse, quali che siano. Una qualsiasi legge non può prendere le mosse   da un “feeling” oppure esigenza elettorale  di un partito né dal resoconto di un talk show, ma dall’analisi di dati attendibili (qualora i seguenti siano vistosamente errati, sarò lieta per una rettifica: dati assunti prevalentemente da  Parsec 2005-2008, in quanto il mio fine non è una sterile polemica ma il raggiungimento di soluzioni condivise):

circa 45.000 prostitute in totale, italiane e straniere, indoor (casa) e outdoor (strada), di queste circa 37.000 straniere, delle quali circa 22.000 in strada e circa 15.000 al chiuso (fattore 0,681 da applicare al valore outdoor per stimare quello indoor),  le restanti sarebbero circa 8000 italiane, quasi tutte al chiuso, considerando che le minorenni dovrebbero essere quasi tutte straniere, si situerebbero sulle 2600 (7% di 37.000), percentuale di prostitute schiavizzate: stimate dal 7% al 15% massimo (praticamente solo straniere).

http://www.lucciole.org/content/view/489/14/ (secondo questa statistica “interna” il 95% sono straniere clandestine).

Sulla schiavitù Panorama rileva invece quanto segue: "secondo le stime elaborate per Panorama da Andrea Di Nicola e da Andrea Cauduro di Transcrime, in Italia il picco del traffico è stato probabilmente raggiunto nel 2005 con l'invasione dall'ex blocco sovietico (ma anche dall'Africa e ora sempre più spesso dalla Cina) di un numero di "schiave" che va da 22 a 44 mila. Queste ragazze infilano nelle loro borsette fino a 500 euro a notte ma passano ai loro sfruttatori gran parte dei circa 125-156 mila euro che guadagnano all'anno. E alimentano un giro di affari tra 2, 2 e 5,6 miliardi all'anno, che finiscono in parte nei forzieri invisibili del crimine organizzato."

 Ebbene, torniamo alla nostra parlamentare, e poniamole alcune domande. Come si decide lo status di “prostituzione volontaria”, è sufficiente che la donna presa in considerazione, italiana o straniera che sia,  dica “si, il sogno della mia vità è svolgere il mestiere di prostituta, voglio fare la prostituta, e non sono costretta”?  o forse dovremmo anche indagare sui motivi per i quali la donna presa in considerazione o la stragrande maggioranza di esse vivano o debbano vivere in tale modo? La nostra parlamentare conosce l’estrazione socio economica di tali donne, ne conosce il livello di istruzione, i titoli scolastici, l’ambiente familiare? Su cosa basa la propria certezza che un numero rilevante (tale da istituire una legge dedicata) di donne preferirebbe esercitare il mestiere di prostituta a quello di avvocato,  stare su un banco di università piuttosto che in un letto 10 o 20 volte al giorno con qualcuno che potrebbe essere suo nonno? E questo del tutto a prescindere dalla criminalità organizzata? Che certo non si lascerebbe spaventare da una partita IVA?  E’ davvero certa che un numero rilevante di queste donne, se poste di fronte ad una alternativa, sceglierebbero il mestiere di vendere il proprio corpo?  Se è vero che il sesso è bello, non lo è certo con chiunque. Ma a diversi uomini piace pensarlo e si crogiolano nello stereotipo.

Ebbene, la nostra parlamentare, volendo accordarle  buona fede, cominci a portare numeri e dati attendibili su tutto questo, e poi volentieri ne riparliamo. Ed escludiamo dal dibattito le escort sul genere Arcore, che mai si direbbero tali e mai contribuirebbero a rimpinzare le casse dello Stato, un po’ come i nonni ai quali si dedicano. Frequentissima è anche l’obiezione seguente (fallacia del ricorso alla tradizione): la prostituzione è sempre esistita, quindi legalizziamola. Anche il furto e l’omicidio sono sempre esistiti, ma li combattiamo, anche la pedofilia è sempre esistita ma la combattiamo, anche il lavoro minorile è sempre esistito ma lo combattiamo, anche la povertà è sempre esistita ma la combattiamo, anche la dipendenza da droghe pesanti è sempre esistita ma la combattiamo. E diffondere l’idea che il sesso a pagamento sia cosa buona e santa, che un corpo sia una merce pari ad un cavolfiore (non stupisce nell’epoca della degenerazione del capitalismo, laddove a regnare è il Dio Mercato), non è cosa che riguardi solo l’ipotetica prostituta “volontaria”, ma il sistema etico di una intera societa. E se guardiamo alla storia (consiglio vivamente i “bassifondi dell’antichità” di Catherine Salles) vedremo bene di quale tipo di estrazione sociale “per tradizione” parliamo. Il fatto poi che esista anche una prostituzione maschile, non cambia di una virgola gli argomenti esposti.

Sono agnostica, ma un po’ di Cristo non farebbe male a nessuno. O forse di semplice buon senso, ricordando che le lotte femminili (a partire da Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft) hanno condotto non solo al voto, non solo all’abolizioni di leggi che prevedevano l’arresto solo per la moglie adultera ma non per l’uomo adultero, non solo alle pari opportunità,  al diritto di proprietà e di istruzione, ma anche alla chiusura dei bordelli, quale forma più indegna di uno stato che vuole dirsi civile. E Cristiano.

Nel 1860, con l’Unità d’Italia tale pratica proseguiva e lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli ai tassi di inflazione. Grosso consenso riscosse il ministro degli interni Nicotera allorquando favori ulteriori sconti per soldati e sottufficiali.

Secondo una  recente indagine di tipo giornalistico (***) vi sarebbe un diverso incremento dei numeri e, soprattutto, un  cambio di tipologia della prostituzione in Italia che vedrebbe come un fattore determinante  la crisi economica, a riconferma di quanto duttile sia il concetto di “volontarietà”. Molte giovani donne italiane entrano nel “mercato” della prostituzione semplicemente perché non hanno altre alternative. E’ impressionante il numero delle giovani madri di famiglia, spesso separate, che per sbarcare il lunario si mettono in vendita su internet. Nella maggioranza dei casi ricevono direttamente nei loro appartamenti ma sta crescendo il numero delle “strutture specializzate” che mettono a disposizione, a pagamento o a percentuale, dei monolocali dove potersi prostituire. Di solito sono palazzine di livello medio-alto con una buona ma discreta sorveglianza. La maggioranza di queste “nuove prostitute” lavora in modo indipendente, cioè non ha un protettore come spesso avviene nella prostituzione di strada. La conclusione dell’articolo è sconcertante, nel senso che non è chiaro come attraverso l’apertura di partite iva si possa ad esempio combattere la prostituzione minorile. Si tenga inoltre presente che in Germania e nella stragrande maggioranza dei paesi europei vigono i redditi minimi garantiti, laddove il concetto di volontarietà forse assume un colorito diverso e il discorso  potrebbe ONESTAMENTE  procedere su altra base. Forse. Infatti pare che  in Germania la cosa non funzioni (*)

L’unico modello che funziona è oggi in Europa quello SVEDESE, che condivido totalmente:

http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/esteri/prostituzione-svezia/prostituzione-svezia/prostituzione-svezia.html

 A conclusione consiglio  VIVAMENTE la lettura di questo illuminante articolo sul tema:

L'ordine neoliberista, il tabù della vittima e l'occultamento delle ingiustizie

“Per la rubrica opinioni, riporto la traduzione di Maria Rossi, che ringrazio,  di alcuni brani del recente libro della giovane femminista e anarchica svedese Kajsa Ekis Ekman (nella foto), tradotto in francese col titolo "L’être et la marchandise. Prostitution, maternité de substitution et dissociation de soi."

E' un punto di vista originale il suo e che richiama l'attenzione sulle insidie di una errata e tendenziosa lettura della parola  "vittima" come di persona passiva, oggetto e non soggetto, che ha reso questa parola - di tutt'altro significato - un vero e proprio tabù.

 In una società basata sul paradigma neoliberista che promuove sempre più profonde disuguaglianze di classe, di genere, di etnia, ecc.. , proteso a conservare tenacemente l'ordine sociale basato sul privilegio di pochi -  si tende sempre più ad occultare le ingiustizie strutturali, assolvendo gli oppressori e finendo per ridurre persino le oppressioni più crudeli a libera scelta di soggettività atomizzate. Scomparsa la vittima, scomparso l'aggressore, scomparsa l'ingiustizia, fino ad arrivare a risvolti estremamente inquietanti.

La vittima e il soggetto

Al centro del mito del lavoro sessuale, c'è  un'espressione affascinante: la venditrice di sesso non è una vittima, ma una personalità forte che sa quel che fa. Quando una persona cerca di dimostrare quanto sia dannosa la prostituzione, viene investita da una prorompente risposta: le sex workers sono persone forti e attive, non vittime!

[...] E' sempre più frequente la celebrazione del soggetto forte e attivo contrapposto alla vittima debole e passiva.

[...] Con questa opposizione tra vittima e soggetto, il discorso favorevole al lavoro sessuale cerca di  creare la propria rappresentazione della situazione. Questa rappresentazione presume che, fino ad oggi, la società abbia considerato le prostitute vittime senza difesa, mentre attualmente si sia cominciato ad ascoltare le stesse venditrici di sesso e a scoprire che esse sono, al contrario, forti individualità che hanno scelto liberamente di vendere sesso. Questa concezione è ripetuta così spesso, oggi, da essere diventata una verità in certi ambienti, cancellando per ciò stesso l'obbligo di discutere di questioni come queste: chi pensa che le prostitute siano delle vittime, cos'è una vittima e che cosa differenzia una donna forte da una debole?

Sopprimere la nozione di vittima

Definire le prostitute persone forti è un'idea che si è  parecchio radicalizzata nel dibattito internazionale sul lavoro sessuale. Jo Doezema, che appartiene al gruppo di pressione "Network of Sex Work Projects", ritiene che dovremmo sopprimere totalmente l'idea della vulnerabilità del soggetto [...]

Piano inclinato: l'indipendenza

All'inizio, il discorso favorevole al lavoro sessuale era piuttosto moderato. Ciò che ha posto fortemente in luce Östergren parlando esclusivamente, a proposito di prostituzione, di adulti consenzienti; la nozione di <> escludeva allora i bambini o le vittime della tratta a scopo di prostituzione. Analogamente, Maria Abrahamsson scriveva sul giornale Svenska Dagbladet:

Davvero, non comprendo come si possano mettere sullo stesso piano le persone che vendono liberamente sesso e quelle infelici che, a causa della povertà o delle ridotte capacità intellettuali, cadono nelle grinfie di chi le sfrutta cinicamente.

Qui, alcune persone hanno il diritto di essere qualificate vittime, ma solo se sono passive o stupide. Per contro, le persone attive e consapevoli della propria scelta non possono, a quanto pare, subire un simile affronto. La tratta a fini di sfruttamento sessuale e la prostituzione infantile sono utilizzate come ricettacoli, come pattumiere di tutto ciò che spaventa nella prostituzione - di ciò che tutti possono rifiutare senza difficoltà: la coercizione, la povertà e la labilità mentale. Una volta che ci sia sbarazzati di tutto questo, si potrà discutere di una prostituzione nazionale normalizzata, senza spazzatura, composta esclusivamente da imprenditrici del sesso indipendenti.

La tratta degli esseri umani

Tuttavia, nei Paesi dove l'idea della legalizzazione della prostituzione si è materializzata, i confini tra la prostituzione degli adulti, quella dei bambini e quella delle vittime della tratta hanno cominciato  a diventare porosi. Una volta affermata l'idea di una prostituzione ben gestita, si può anche pulire la pattumiera, affinché la tratta a scopo di prostituzione sembri un mito. La sociologa Laura Augustìn, legata al gruppo di pressione "Network of Sex Work Projects" , ha impiegato questo tipo di detersivo. Ha scritto diversi libri che descrivono la tratta degli esseri umani come un mito mediatico. Collabora anche al quotidiano The Guardian, ove pubblica articoli su questo argomento, in alternanza con altri su donne forti che <> di portare il burqa. Tuttavia, Augustìn insiste soprattutto sull'idea che sia necessario smettere di parlare della tratta degli esseri umani, perché ciò significa <> le persone. Conseguentemente, ella ribattezza le vittime della tratta a scopo di prostituzione <>, ritenendo che la donna che ha vissuto la tratta  sia stata, in fondo, fortunata:

Lavora nei club, nei bordelli, nei bar e negli appartamenti multiculturali dove si parlano molte lingue. [...] Per quelle che vendono servizi sessuali, gli ambienti nei quali vivono sono luoghi di lavoro dove molte ore sono consacrate all'incontro con altre persone che esercitano la stessa attività, alla conversazione,  alle bevute con le colleghe, così come con i clienti e con gli altri impiegati dei locali come i cuochi, i camerieri, i commessi,  i portieri, alcuni dei quali dimorano lì, mentre altri vi si trovano per lavoro. Trascorrere la maggior parte del tempo in tali ambienti è un'esperienza che crea soggetti cosmopoliti, almeno nel caso in cui le persone siano capaci di adattarvisi. Per definizione, ciò genera una relazione particolare con l'ambiente. Questi cosmopoliti ritengono che il mondo appartenga a loro, che non  sia che un luogo  da abitare.

L'immagine della vittima della tratta a fini di prostituzione è dunque quella di una persona che banchetta con i benestanti, frequenta i locali notturni in diverse metropoli e forse dà, occasionalmente, una toccatina  ai clienti dietro il bancone del bar. E' felice e    un'impressione di agiatezza. E' interessante notare che non figura da nessuna parte nella descrizione di questo ambiente <> in che cosa consista in realtà questo <>.

I bambini

Abbiamo imboccato una strada nella quale anche i bambini sono percepiti sempre di meno come vittime. In un contributo all'antologia Global Sex Workers, Heather Montgomery, un'antropologa sociale, si  applica  a problematizzare l'immagine dei bambini presentati solo come vittime della prostituzione. Ella ha effettuato delle ricerche in un villaggio tailandese e pensa di aver scoperto qualcosa   che contrasta con  l'immagine dei bambini sfruttati. Montgomery comincia con il constatare che si tratta di un villaggio povero <>, che sorge vicino a una località turistica. In questo villaggio vivono 65 bambine di età inferiore ai 15 anni, almeno 40 delle quali <>.  Mentre i media affermano spesso che la prostituzione infantile è <>, Montgomery vuole offrire un'altra interpretazione di queste bambine: esse sarebbero soggetti attivi e razionali.

Tuttavia, queste bambine rifiutano categoricamente di essere considerate vittime. [...] Le bambine che ho imparato a conoscere provavano << il sentimento di avere un potere di decisione e di controllo>> e, togliergli questo, significherebbe negare il loro modo intelligente di utilizzare il poco controllo che possiedono effettivamente. La ricerca di bambini vittime di sevizie cancella talvolta il riconoscimento della loro capacità di agire.

Montgomery critica le persone che pretendono che tutte le bambine prostituite siano <>. Ella afferma che, anche se le bambine non amano la prostituzione, hanno sviluppato dei modi per gestirla  nella maniera migliore:

Nessuna bambina apprezzava il fatto di essere una prostituta, ma tutte avevano sviluppato delle strategie che consentivano loro di comprenderla e di accettarla. Avevano trovato un sistema etico. Così la vendita del loro corpo non influenzava il loro sentimento personale di umanità e di integrità.

La prostituzione non influenza, dunque, le bambine tailandesi nel modo che si potrebbe credere, spiega Montgomery. Il segreto sta nel non paragonarle alle bambine occidentali [...] In Thailandia, sostiene la studiosa, il rapporto tra sessualità ed identità non è forte come in Occidente. E' la ragione per la quale noi non possiamo essere sicuri che il danno causato alle bambine di questo Paese sia altrettanto grave di quello che colpisce le bambine occidentali. Che le bambine abbiano molti modi di sfuggire alla loro identità di prostitute, parlando degli acquirenti del sesso come dei loro <> e non menzionando la prostituzione, ma dicendo di <> o di < >, dimostra per Montgomery che la prostituzione non costituisce un elemento centrale della loro costruzione identitaria. Non si può dunque affermare con certezza che essa altera la loro identità. L'altro elemento positivo, secondo lei, è il fatto che le bambine più grandi diventino madame (magnaccia) delle più giovani [...]

Pare che non ci sia modo per una bambina prostituita tailandese di comportarsi in maniera tale  da impedire a Montgomery di vedere in lei un soggetto attivo.

L'essere invulnerabile

Perché questo timore della vittima? Perché è così importante affermare che le prostitute non sono in alcun caso delle vittime?

Come tutti i sistemi che accettano le diseguaglianze, l'ordine neoliberista detesta le vittime. Parlare di un essere umano senza difese, di un essere vulnerabile, presuppone in effetti che sia necessario instaurare una società giusta e afferma  il bisogno di una protezione sociale. Rendere tabu la nozione di vittima è un passo necessario alla legittimazione della barriera che separa le classi sociali e i sessi. Questo processo è costituito da due fasi.

In primo luogo, bisogna affermare che la vittima è, per definizione, una persona debole, passiva ed impotente. Poiché le persone vulnerabili sono, nonostante tutto, combattive e sviluppano numerose strategie per dominare la situazione, <> che l'idea che ci è fatti della vittima è sbagliata. La persona vulnerabile non è passiva, al contrario! Quindi, ci dicono, bisogna abolire la nozione di vittima. Di conseguenza, noi dobbiamo accettare l'ordine sociale - la prostituzione, la società divisa in classi, le diseguaglianze - se non vogliamo etichettare le persone come esseri passivi e impotenti.

C'è qualcosa di bizzarro in questa definizione della vittima. Secondo il Glossario dell'Accademia svedese, una vittima è <  un bersaglio per qualcun altro o per qualcos'altro>> o che <>. Ciò significa, quindi, che una persona è vittima di qualcuno o di qualcosa.  Ma nulla qua si dice del carattere della vittima - si tratta soltanto di ciò  che una persona subisce da parte di qualcuno, qualcuno che la picchia, la stupra, è violento o la sfrutta in un modo o nell'altro.

Tuttavia, la definizione neoliberista della vittima  fa riferimento ormai al fatto che  essa sia un tratto del carattere. Essere vittima significa essere una persona debole. Noi siamo o vittime passive o soggetti attivi. Non si può essere contemporaneamente l'una e l'altro.

[...] In fondo, se non ci sono vittime, non ci possono essere neppure aggressori. Così, in un modo al contempo molto comodo e inavvertibile, coloro che non vengono mai menzionati - gli uomini- vengono discolpati. Negli scritti di Augustìn, Dodillet e Montgomery, gli uomini sono come ombre sul muro, come figuranti, che appaiono di sfuggita, ma che, miracolosamente, vedono finalmente legittimati tutti i loro desideri. Mentre ci si concentra sulle donne e sui bambini - che sono studiati, intervistati, computati e descritti -, nello stesso tempo non si rivolge alcuna domanda agli uomini. Nemmeno la più importante di tutte: perché fate questo?

La frase << è un soggetto, non una vittima>> non è di moda soltanto nel dibattito sulla prostituzione. Noi la sentiamo ripetere in numerose occasioni, si propaga nell'atmosfera come i ciuffi di peli del tarassaco e mette radici dappertutto. Nel discorso  concernente le persone che si trovano in una condizione di vulnerabilità, viene incessantemente replicata l'espressione: sono soggetti, non vittime....

[...] Dobbiamo confrontarci quasi tutti i giorni con una retorica che dipinge la condizione della vittima come qualcosa che ha a che fare con il suo comportamento. La si giudica e la si esorta a non essere vittima! E' orribile essere una vittima! La nozione di vittima è   intesa come un'identità, alla quale è associata una moltitudine di caratteri detestabili che si dovrebbero rifuggire. La dottrina dell'essere invulnerabile diventa così un imperativo categorico che definisce la condizione dell'individuo liberale e responsabile. Per definizione,  qualsiasi cosa facciamo, dobbiamo vederci come esseri forti ed attivi. I disoccupati e le disoccupate, gli ammalati, i rifugiati- nessuno deve essere percepito o considerato vittima!

[...] L'opposizione tra soggetto e vittima è al contempo asimmetrica e sbagliata [...] Con ogni evidenza, il contrario di "soggetto" non è "vittima", ma "oggetto". E il contrario di "vittima" non è "soggetto", ma "aggressore". In effetti, l'opposizione soggetto-vittima esprime l'idea che la vittima sia un oggetto. Di conseguenza, la persona che diventa una vittima non è più un essere umano che pensa, nutre dei sentimenti ed agisce. Questa falsa opposizione rivela un abissale disprezzo per qualsiasi forma di debolezza. "

Kajsa Ekis Ekman"

http://consumabili.blogspot.it/2013/06/lordine-neoliberista-il-tabu-della.html?spref=fb
Fonte originale:
http://sisyphe.org/imprimer.php3?id_article=4415
 

Desidero ancora rispondere ad alcune obiezioni frequentemente poste: è compito di una legge indagare sull’estrazione sociale di un individuo? Può esistere in taluni casi il diritto di vendere volontariamente il proprio corpo? Con la legalizzazione daremmo un colpo mortale alla mafia? C'entra qualcosa il '68? Ma ci sono giá tanti lavori degradanti, allora aboliamo anche quelli! 

1)    Sul “non credo sia compito di una legge andare ad indagare le credenze o volontà di una persona, conoscerne l'ambiente familiare, l'estrazione sociale..”. A me sembra fondamentale eccome, si veda tutto il tema riguardante l’estrazione socioeconomica e scolastica della popolazione carceraria (ancora tabu per certi versi, in quanto ne fuoriesce la criminalizzazione della povertà e del degrado. I reati commessi dai colletti bianchi di rado conducono in prigione, vuoi per la depenalizzazione di alcuni reati vuoi per la migliore difesa). Non è con l’aumento delle pene che si diminuisce il crimine,  e uno dei compiti fondamentali degli istituti carcerari è il reinserimento e la creazione di opportunità. Quindi l’argomento talora qualificato come capzioso è un fondamento della moderna civiltà. Ricordo inoltre che le leggi non nascono in astratto in un iperuranio di qualche saggio filosofo, ma dalle concrete esigenze o problemi di una data società.

2)    Ben più importante la seguente domanda: “consideriamo accettabile far pagare per il sesso”? Vendere il proprio corpo può essere talora considerato un diritto o anche eticamente accettabile? Ammettiamo per un attimo che possa essere considerato tale, ma a DETERMINATE condizioni (raramente valgono le dicotomie si/no a prescindere) che contemplano la libera scelta e le pari opportunità. Le condizioni di cui parlo sono fondamentali sulla base della STORIA della prostituzione, che non vede scelte basate sul libero arbitrio ma sul degrado. Innegabilmente e anche sulla base delle odierne statistiche. Vogliamo quindi fare una legge per quell’esiguo numero (mitico è l’espressione migliore, si veda link di cui sopra) di “imprenditrici di se stesse”? per una Minetti o Ruby che mai si dichiarerebbero tali…(in effetti mi paiono più delle mantenute che delle prostitute)? va bene, ma al CONTEMPO chiariamo come vogliamo impedire che si crei una schiera ancora maggiore di prostitute/i per necessita. Non è il sesso ad essere in causa, MA la necessita o costrizione (non solo fisica) di usarlo per sostentarsi a non essere dignitoso ai sensi della nostra costituzione (Art. 41). Come anche il mendicare, per cui anche si potrebbe obbligare ad aprire una partita Iva.  Oggi ho provocatoriamente postato quanto segue: “Cari Genitori, le vostre preoccupazioni potrebbero finire a breve. Nel peggiore dei casi i vostri figli potranno aprire una bella partita IVA, andare a battere quindi con l'orgoglio del cittadino contribuente, e se proprio non avete generato dei cessi qualche cliente lo avranno sempre. Fine del welfare dei nonni e inizio di un nuovo american dream. Ovviamente vale anche per voi stessi, se non siete troppo choosy.”
Il mio giudizio personale relativamente alla questione etica è radicalmente negativo, in quanto detta attività non pregiudica solamente la dignità e lo sviluppo psicofisico di chi la esercita, ma anche di coloro che ne usufruiscono, educando ad una forma di violenza – da cui i paragoni con altre forme di violenza -  vale a dire educando a  considerare un corpo altrui MERA merce di scambio, e non per caso nel mondo greco le prostitute erano di regola schiave, operando false dicotomie tra donne sante e donne puttane, quindi sdoppiamenti aberranti per l’integrità dell’immagine e la funzione della donna nella società.


3) Si chiarisca nel dettaglio come. La maggioranza delle prositute pare, secondo statistiche, essere straniera, clandestina. Si intende concedere un permesso di soggiorno e poi una partita Iva? Oppure rispedire (si può già fare!) tutte a casa e incentivare il numero di prostitute "imprenditrici" italiane che toglierebbero spazio alle mafie estere e nostrane...spostando i proventi dalle mafie allo Stato?

4)
Certamente NO, infatti non bisogna confondere ad arte tra libertà di disporrre liberamente del proprio corpo, di avere "pari opportunità" (obbligo di verginita e illibatezza ad esempio)  in campo sessuale, e la mercificazione del corpo ,  che è al contrario sinonimo  di costrizione e/o degrado, e che proprio dal Berlusconismo non a caso è stata sdoganata, come ha ben sottolineato la psicologa Amanda Signorelli:  http://www.giornalettismo.com/archives/1001847/la-figuraccia-della-gelmini-a-ballaro-diventa-virale/


5) l'argomento delirante del "pomodoro" o "catena di montaggio": si ricordi che la raccolta dei pomodori e il lavoro il fabbrica sono mestieri importantissimi e di grande dignitá, di per sé. Diverse le questioni sui salari o condizioni di lavoro (es. job rotation e simili)



(***) http://www.rightsreporter.org/prostituzione-in-italia-la-crisi-ha-aggravato-il-fenomeno-inchiesta/

(*) http://www.ilpost.it/2013/06/02/legalizzare-la-prostituzione-funziona/

sugli esiti in Olanda:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/olanda-dietrofront-sulle-luci-rosse/2201103

 

Qui a seguito alcuni cenni storici sulla prostituzione nell’antichità, che verranno integrati poco a poco. I primi riguardano il mondo greco e romano e sono liberamente tratti dal testo “I Bassifondi dell’Antichità” di Catherine Salles, Rizzoli Editore.

(…) Fondate in nome dell’interesse pubblico, le case di piacere di Atene rimangono sotto il controllo dello Stato. In  realtà sono sottoposte a una tassa speciale, il pornikon, che, come tutte le altre tasse ateniesi, è concesso ogni anno dalla bulè a esattori che si occupano di raccogliere questa imposta speciale. E, da buon prosseneta, lo Stato ateniese s’incarica anche di proteggere, in una certa misura, gli interessi delle prostitute (n.d.r.  di regola  schiave) , o meglio dei tenutari delle case di piacere (…) nello stesso modo  sono perseguiti con grande severità e puniti con la morte i procacciatori clandestini, quelli che non si sono messi in regola con la polizia, perché sfuggono al controllo dei prezzi previsto dalla legge, e inoltre non pagano l’imposta sulla prostituzione (…) le donne di queste case pubbliche sono designate con il termine pornè il che, etimologicamente significa venduta o in vendita, e non allude al loro mestiere degradante, ma al fatto che, trattandosi in grande maggioranza di schiave, esse sono state vendute su un mercato (…)

Eubulo, La Veglia, e Filemone, Gli Adelfi, in Ateneo, op cit. XIII 568 e 569: “questi uccelli dal canto armonioso, che servono da richiamo per prendere il vostro denaro, queste puledrine di Afrodite ben addestrate, disposte tutte nude in fila, sedute su fini tessuti…puoi ottenere da loro, a poco prezzo, un piacere senza pericoli…aspettano tutte nude, per non ingannarti: osservale bene nei particolari. Non ti senti molto in forma? C’è qualcosa che ti affligge? Su, allora! La loro porta è spalancata. Il loro prezzo? Un obolo. Affrettati ad entrare. Niente moine o scempiaggini: la ragazza non si tira indietro, ma fa immediatamente quello che vuoi, e nella maniera che vuoi. Quando hai finito, te ne vai. Puoi dirle di andare al diavolo, lei non è niente per te!

Piacere facile, poco costoso, ecco una definizione che tutto sommato potrebbe applicarsi ad altre epoche, al altre civiltà (…) vita miserabile o lussuosa, tutto si svolge a Roma press’a poco come in Grecia. Certe lupe hanno una sola prospettiva: rimanere ad offrirsi davanti alle loro stamberghe puzzolenti, frequentate da una clientela ambigua. Conoscono soltanto gli incontri rapidi, in cui si ritrovano tutte le miserie di Roma (…) E poi vi sono quelle che hanno superato questo stadio, per caso, grazie alla loro bellezza o alle loro relazioni. Esse approfittano allora del passeggero fulgore della loro giovinezza per farsi un gruzzolo. Schiave o affrancate, i Romani ricchi, gli stranieri, tutti quelli che hanno i mezzi di prenderle a nolo per un periodo più o meno lungo le ricercano. In realtà è il sistema che già i Greci praticavano. I Romani, prima di tutto giuristi, vi hanno aggiunto certe garanzie, quelle che accompagnano ogni contratto di vendita o di affitto. Musiciste, cantanti o danzatrici, esse vengono a domicilio e costituiscono il più grazioso ornamento dei banchetti, che i Romani cominciano a organizzare secondo la moda greca (….)

I conservatori romani stessi sono d’accordo con i Greci nel pensare che la ricerca dei piaceri fisici sia indispensabile in una società; con altrettanta naturalezza dei Greci, i Romani fanno della prostituzione una componente essenziale dell’ordine sociale. In maggioranza, essi avrebbero potuto dire come Sant’Agostino: bandisci le prostitute dalla società, e ridurrai la società nel caos, per la lussuria insoddisfatta.

Da Cicerone, Per Celio, 48 (ndr. uno dei piu mirabili ricorsi alla tradizione): In verità, se c’è qualcuno capace di pensare che si dovrebbe addirittura interdire alla gioventù la frequentazione delle prostitute, certamente si tratta di un rigorista, il quale però non è in disaccordo soltanto con la licenza del nostro secolo, ma anche con la morale e la tolleranza dei nostri antenati. Esiste forse un’epoca in cui questa condotta sia stata biasimata, e si sia giudicato illegale ciò che è legale ai giorni nostri?

Come in Grecia, a Roma i mestieri del piacere sono strettamente legati al problema quotidiano della sussistenza. La prostituzione passa, quasi obbligatoriamente, attraverso la schiavitù, e i bambini, è evidente, ne sono le prime vittime.

Da Eubulo, Il gobbo, in Ateneo, op. cit. XIII, 571: Corinna: dimmi mamma, tutti quelli che mi noleggeranno somiglieranno a Eucrito, con il quale sono andata a letto ieri?  Crobila: Non tutti. Certi sono più belli, altri sono già uomini fatti. E ce ne sono anche alcuni che non son belli da vedere. Corinna: e anche con quelli dovrò andare a letto? Crobila: Certamente figlia mia (…)

E le piccole prostitute devono imparare anche l’indifferenza.

La compagnia di una bella adolescente  è per molti segno esteriore di ricchezza; la sua bellezza, la sua educazione (ndr. vedi etere, o prostitute di “lusso”) sono indicazioni chiare del tenore di vita dell’uomo che essa accompagna (…) li seguono nei banchetti e in quelle grandi manifestazioni collettive che sono le Panatenee.

 

 

 

L’iter legislativo della “Merlin”

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