Immunizzazione cognitiva / Epistemic Bubble
La seguente riflessione rappresenta una libera e parziale sintesi dell’Abstract “Cognitive Bubbles and Firewalls: Epistemic Immunizations in Human Reasoning” (L. Magnani, T. Bertolotti).
Differenti campi in cui si trova ad operare il ragionamento umano sono caratterizzati da quella che potrebbe essere definita immunizzazione cognitiva. Una recente monografia ha esplorato un’area, prevalentemente patologica, nella quale ha luogo uno sdoppiamento tra conoscenza effettiva e sensazione (feeling) di conoscere (Burton, 2008). Questa indagine può essere estesa anche ad aspetti più comuni della cognizione umana.
A questo scopo si può ricorrere al concetto di Epistemic Bubble, come suggerito da J. Woods, che la definisce quale inevitabile stato della razionalità umana in prima persona (“the inescapable state of first-person human rationality”).
Già il filosofo americano C.S. Peirce aveva sottolineato come la formazione di una credenza (intesa in senso neutro) poggi su un fattore emotivo che non può essere ignorato: l’irritazione del dubbio. Tale irritazione si presenta ogni qualvolta noi necessitiamo di conoscere qualcosa non ancora noto o cerchiamo di dare un senso a segni ancora privi di significato. Essa ci induce ad avanzare ipotesi nonché credere ad esse in un ampio spettro di situazioni, dalla sorpresa nel sentire un fruscio nel cespuglio al cercare di indovinare cosa abbia causato i lividi sul volto del vicino di casa. Secondo Peirce si tratta di un’attività inferenziale, operante attraverso segni, il cui esito, la credenza, ha come scopo essenziale quello di placare l’irritazione di cui sopra. Questa prospettiva è stata ulteriormente sviluppata dai logici J. Woods e D. Gabbay, sostenitori della necessità di una agent-based logic (si veda il punto 102 del Menu). Essi hanno sottolineato come la cognizione umana sia essenzialmente una problem-solving activity, laddove una credenza si configura come ciò che soddisfa un target cognitivo.
La questione principale risiede nel fatto che un agente cognitivo tende a considerare ogni credenza quale conoscenza. Ovviamente l’assunto filosofico di base è che conoscenza e credenza non condividono il medesimo status epistemico: anche una credenza vera differisce dalla conoscenza in quanto la conoscenza presuppone la possibilità di corredare le proprie affermazioni con ragioni sufficienti e rilevanti: “ One knows that P only if one has at one’s disposal a case of requisite strength to make for P “ (Woods, 2005).
Tale distinzione appare perfettamente chiara dalla prospettiva di un terzo, ma è immateriale nella prospettiva in prima persona. L’intuizione di Peirce fu infatti che che la conoscenza non è assolutamente necessaria per placare l’irritazione cognitiva. J. Woods parla di “fugivity of truth”: “truth is a fugitive property. That is, one can never attain it without thinking that one has done so; but thinking that one has attained it is not attaining it”. Magnani illustra come la seguente inferenza fallace sia in realtà un tipo innato di abduzione:
- Premise 1: If I know target P then my irritation about P is relieved
- Premise 2: My irritation about P is relieved
- Conclusion: I know target P
Sapere e pensare di sapere possono essere difficilmente scinti l’uno dall’altro, ma essi non sono chiaramente la stessa cosa. Questo conduce alla formulazione della tesi della Epistemic Bubble:
“When in an epistemic bubble, cognitive agents always resolve the tension between their thinking that they know P and their knowing P in favour of knowing that P (…) A cognitive agent X occupies an epistemic bubble precisely when he is unable to command the distinction between his thinking that he kwnow P and his knowing P” (Woods, 2005)
Woods sottolinea come questa sia una limitazione tipica degli esseri umani e non una questione di essere più o meno intelligenti. La cognitive bubble è chiaramente una conseguenza del fatto che il nostro sistema cognitivo si trova ad operare con informazioni limitate, mancanza di tempo e limitate capacità logiche. Un’altra conseguenza di tali limitazioni è rappresentata da quella che Simon chiama docility, vale a dire la tendenza a dipendere da consigli, suggerimenti e informazione ottenuta attraverso i canali sociali come base prevalente per la scelta. Grazie alla docilità in questa accezione gli esseri umani possono ridurre l’importanza dell’esperienza di prima mano sulla base della considerazione che le influenze sociali generalmente ci offrono consigli per il nostro bene e che l’informazione sulla quale si basano tali consigli sia molto migliore dell’informazione che potremmo conseguire in modo indipendente.
Peirce individuò quattro metodi per il formarsi della credenza: tenacia, autorità, metafisica, scienza. Il metodo della tenacia sembrerebbe calzare alla perfezione con il concetto di embubblement:
"l'istintiva avversione per uno stato di indecisione, accentuata da un vago timore del dubbio, fa sì che gli uomini si aggrappino spasmodicamente alle vedute che si sono già formati. L'uomo ha l'impressione che mantenendo la sua credenza senza tentennare, sarà pienamente soddisfatto. Nè si può negare che una fede salda e inamovibile sia una gran pace per lo spirito. Essa può dare origine a inconvenienti, come quando un uomo continuasse a credere che il fuoco non lo bruci...ma l'uomo che adotta questo metodo non ammetterà che i suoi inconvenienti sono maggiori dei suoi vantaggi...sarebbe un'impertinenza egoistica obiettargli che il suo procedimento è irrazionale, giacchè questo equivarrebbe semplicemente a dire che il suo metodo di stabilire credenze non è il nostro. Egli non si propone di esser razionale, e difatti spesso parlerà con disprezzo della debole e ingannevole ragione umana. Perciò lasciatelo pensare come gli piace" (Peirce, 1877)
In questo senso la Bubble Thesis non è necessariamente un difetto quanto piuttosto un’architettura neuro-cognitiva volta a promuovere il nostro welfare. Un meccanismo di protezione.
Gli autori sottolineano come si possa anche parlare di common embubblement, in quanto se è vero che ogni bubble è differente dalle altre è anche vero che molte bubbles presentano caratteri in comune, che vengono rinforzati dal loro grado di diffusione. Pensiamo alle questioni relative all’esistenza o meno di Dio, ma anche alle differenze tra culti e confessioni, o alle ideologie, alle questioni etiche o anche politiche come l’energia nucleare, la sperimentazione animale, la genetica. In questi contesti un argomento viene accettato solamente rispetto alle sue conclusioni, solamente nella misura in cui già si crede ad esse: in questo senso il confronto dialettico tra diverse epistemic bubbles si configura come un’escalation di irritazione.
Gli autori propongono il seguente schema:
- Agent x and his peers occupy an epistemic bubble B1 with respect to matter P
Within the epistemic bubble, agent x knows that P1, as his feeling of knowing is activated by belief p1
Agent x is unable to command the distinction between his knowing that P1 an his thinking of knowing that P1.
- Agent y and his peers occupy an epistemic bubble B2 with respect to matter P
Within the epistemic bubble, agent y knows that P2, as his feeling of knowing is activated by belief p2
Agent y is unable to command the distinction between his knowing that P2 an his thinking of knowing that P2.
- According to our initial definition, an agent knows P if and only if he can provide a case of requisite strength to make for P.
From group x’s defining epistemic bubble B1, any case supporting B2 cannot be accepted as endowed with the requisite strength to sustain P2
From group y’s defining epistemic bubble B2, any case supporting B1 cannot be accepted as endowed with the requisite strength to sustain B1.
Gli autori proseguono con l’identificazione, su analoghe basi, delle moral bubbles. Testo originale come da link sottostante.
http://csjarchive.cogsci.rpi.edu/Proceedings/2011/papers/0786/paper0786.pdf
(si veda anche il punto 129 del Menu: Embubblement and Violence)