Riporto la spendida recensione, tratta dal sito www.filosofiprecari.it (di cui vivamente consiglio la frequentazione) sul libro “Il caso e la Necessità” di Jacques Monod (Oscar Mondadori)
“Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto di caso e necessità” (Democrito). Considerate una semplice operazione sul vostro pc: copia-incolla di un programma, o quando masterizzate un cd. Il risultato finale, nonostante le apparenze, non è mai esattamente uguale all’originale. Avvengono degli errori di copiatura del codice binario del programma. Più il progetto che copiate è lungo e complesso, più c’è possibilità che questi errori siano più consistenti. Ebbene, la stessa cosa avviene nel mondo biologico. Il DNA non replica mai se stesso in maniera perfetta. Pensare che la chiave della vita e dell’evoluzione neodarwiniana siano gli errori di replicazione è uno degli spunti più sconvolgenti che vengono dalla lettura de “Il caso e la necessità” di Jacques Monod (Oscar Mondadori). In generale, nel mondo che non sia quantistico, si può dire che nulla è uguale ad un’altra cosa. Nella biologia, i contorni di questa “legge” sono netti. Qui non esiste invarianza perfetta, ma solo di principio: dagli organismi più elementari come i virus o i protobatteri fino ai mammiferi, sono le mutazioni “vincenti” la chiave della vita. Se la prima unità vivente del nostro pianeta si fosse riprodotta uguale a se stessa, non ci sarebbe potuto essere l’uomo. Sul fatto che queste modificazioni avvengano e sul come, Monod è molto chiaro:
queste alterazioni sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un’ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l’unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l’osservazione e l’esperienza. Nulla lascia supporre (o sperare) che si dovranno, o anche solo potranno, rivedere le nostre idee in proposito (p. 105)
Il caso è l’ultimo grande alleato contro ogni forma di antropocentrismo. Tutte le ideologie vitalistiche o animiste (compreso l’ultimo arrivato made in USA, il Disegno Intelligente) tenteranno sempre e comunque di combattere questo spauracchio, il caso, tramite teorie che “guidano” l’evoluzione o, piuttosto, la giustificano come un qualcosa di inerente e innato alle forme viventi; Bergson, per esempio, ma lo stesso Spencer (il darwinista sociale), teorizzavano l’evoluzione come una “rivelazione” degli intendimenti ancora inespressi nella natura. Ma lo shock è proprio questo: l’evoluzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi, in quanto “ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del meccanismo conservatore” (p. 109), un meccanismo che caratterizza la vita. Da tutto ciò, dal grande processo del caso unito all’invarianza delle specie viventi (la replicazione) nasce anche un ulteriore conseguenza: l’impossibilità di risalire alla attuale complessità della biosfera dai principi primi. L’attuale sviluppo delle forme di vita, la loro attuale conformazione è impossibile da prevedere partendo dalle prime cellule nostre antenate. Nessun determinismo, neanche “fisico”, tanto più metafisico.
A proposito del meccanismo conservatore: lo stesso Kant, il fondatore del pensiero moderno, quando parlava di vita scriveva della sua radicale differenza da tutto il resto, del suo tendere verso qualcosa, un fine. E’ quello che Monod chiama “teleonomia”. La caratteristica di “essere dotati di un progetto” (p. 14). Allo stesso tempo, Kant si rendeva conto che la vita, stranamente, andava contro il postulato della scienza moderna, che, necessariamente, doveva fare a meno , nello studio dei fenomeni, di “cause finali” e che anzi, le eliminava. La soluzione di tale aporia per Monod è la seguente: “si tratta dell’idea darwiniana che la comparsa, l’evoluzione e il progressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata della proprietà di invarianza” e quindi, capace di conservare i mille “tentativi ed errori” del laboratorio naturale. Per Monod quindi, prima ci sarebbe la caratteristica dell’invarianza, e poi la subordinata teleonomia, a caratterizzare i viventi.
Esaminando i numeri di mutazioni statistiche in una cultura di batteri (quantificate, in pochi centimetri cubi di acqua possono esserci fino a 1000 esemplari con mutazioni significative) ci sarebbe invece da chiedersi , come Monod, se il vero paradosso non sia l’errore, la mutazione, ma proprio la conservazione della specie e lo stesso principio dell’invarianza! Ma anche questo apparente paradosso è affrontato dallo studioso:
la straordinaria stabilità di certe specie, i miliardi di anni coperti dall’evoluzione, l’invarianza del programma chimico fondamentale della cellula, tutto questo si spiega evidentemente solo con l’estrema coerenza del sistema teleonomico che, nel corso dell’evoluzione, ha dunque contemporaneamente agito da guida e da freno, trattenendo, amplificando, integrando solo una minima frazione delle possibilità che la roulette della Natura gli offriva in numero astronomico. Dal canto suo, il sistema re plicativo, incapace di eliminare le perturbazioni microscopiche di cui è inevitabilmente l’oggetto, è solo in grado di registrarle e presentarle, quasi sempre invano, al filtro teleonomico le cui prestazioni vengono guidate, in ultima istanza, dalla selezione (p. 114).
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