167. Discorso teologico moderno

Come dovrebbe funzionare il discorso teologico moderno

Vi rendo partecipi di questa bellissima riflessione che il  prof. R. Gianino ha condiviso sul gruppo FB ad esemplificazione di un discorso su fede e teologia a mio parere logicamente coerente e condivisibile  anche dal punto di vista del contenuto:

“Allora mettiamola così. La teologia si occupa del contenuto della fede. La fede è un fatto verificabile, attestabile, testimoniato e comprovato. La teologia si occupa di cosa dice la fede sia vero. E di questo può occuparsene in modo scientifico, evolvendosi, autocriticandosi e mutando persino i propri paradigmi. Naturalmente non si può occupare di dimostrare o verificare o attestare la verità del contenuto della fede. Questo è impossibile per principio perché il contenuto della fede non è un fatto che possa essere provato con criteri di pubblicità e universalità e criticabilità tipici della razionalità moderna non metafisica. Tuttavia anche se non posso determinare CHE quello che io credo sia vero posso determinare CHE COSA io credo. E questa determinazione ha in sè caratteri ermeneutici di autocorrettività, criticabilità e normatività. Per le religioni del libro potrei determinare anche CHE COSA DOVREI CREDERE. La sacralità del testo consisterebbe proprio nell'essere termine di riferimento costante dell'ortodossia della fede. La teologia servirebbe a questo dunque a intepretare il contenuto corretto della fede e non a dimostrare che la fede sia vera o falsa. Per esempio la teologia servirebbe a stabilire che se uno crede in Allah non deve andare ad ammazzare gli infedeli e che la jihad ha un significato spirituale. Sulla base di criteri scientifici (storici, dialettici, letterari, ecc.) posso dimostrare che una certa interpretazione del contenuto della fede oggi è più corretta di un altra. Non posso dimostrare però che la fede sia vera in sé, o sia la verità assoluta, cioè che Allah esista veramente e comandi veramente di fare questo o quello. Posso solo dire che cosa Allah comanda a chi crede in lui POSTO CHE esiste qualcuno che crede in lui.Mi sembra una disciplina seria, utile eticamente e suscettibile di progresso oltre che di interessanti relazioni con altre discipline storiche, letterarie, archeologiche, etiche. Faccio un esempio: riguardo al sacrificio di Abramo la teologia moderna può intepretare, e argomentare, per esempio, che, mettiamo, Dio oggi non vuole un sacrificio umano e che non devi andare ad ammazzare tuo figlio solo perché pensi che Dio te lo abbia comandato. Non sei teologiamente giustificato ad andare ad ammazzare la gente in giro. Un altro esempio: se un giudeo o un romano del I secolo poteva credere nei demoni, tu nel duemila non sei obbligato a crederci per avere fede. Può benissimo essere che la credenza nei demoni non sia così essenziale per il sistema complessivo di una fede che si all'altezza del secondo millennio. I demoni sono un simbolo, e la chiudiamo qui con il naturalismo o il soprannaturalismo. Per aprire un discorso invece sul senso di un discorso simbolico di questo tipo. Lo stesso vale per i miracoli e altri elementi portentosi e meravigliosi.

Potrei pensare pensino di formalizzare una logica fatta apposta per spiegare le relazioni di implicazione tra atteggiamenti di fede teologicamente fondati. Usando un operatore F e premettendolo prima di certi enunciati. Sarebbe una specie di logica modale ovvero una logica intenzionale per cui non vale il principio di estensionalità, ossia che la verità dell'enunciato dipende dalla verità delle singole parti che lo compongono, una logica per cui vi sono alcune parti dell'enunciato che intervengono a determinare solo il senso dell'enunciato e non anche il suo valore di verità. Così quando il teologo afferma "Dio esiste" si dovrebbe leggere non che si sta dicendo che esiste in certo oggetto e che questo stato di cose debba essere vero o falso ma che in realtà si sta dicendo "F(Dio esiste)", cioè "qualcuno crede che Dio esista" indipendentemente che sia o non sia vero e che ci sia o non ci sia una cosa del genere. Da "F(Dio esiste)" posso ricavare delle implicazioni vere anche se non so se dio esiste o no. Per esempio chi crede che dio esista potrebbe obbedire ai suoi comandamenti indipendentemente dal fatto che dio ci sia o non ci sia. Così da "F(Dio esiste)" si potrebbe, premettendo l'asserto "F(Dio ha dato a Mosè i comandamenti), che è vero che "F(Dio comanda di non uccidere)". Questo comandamento si regge, tra le altre cose, sulla fede che dio esiste e non sul fatto che dio esista o no sul serio. La formalizzazione è grossolana e l'esempio non è forse del tutto preciso ma è per fare capire cosa intendo.”