179. Metafore e Verità



"La nuova metafora che arricchisce la realtà di nuovi mondi con nuove varietà, generando nuove e non omologate diversità, è ancora una provocazione contro l’omologazione assimilante."

Di
EZIO SAIA

http://criticaimpura.wordpress.com/2012/11/18/contesto-di-comprensione-metafore-e-verita/

Quando parliamo o sentiamo parlare di “gambe del tavolo”, in genere abbiamo sentito e usato così tante volte questo termine che non ne cogliamo più l’aspetto metaforico. Per noi rimane solo il rinvio a qualcosa di fisico, a una certa varietà di forme con funzione di sostegno. La metafora si è consumata ed evoca solo la sua funzione.

Le gambe del tavolo rappresentano una metafora enormemente ricca. Funziona perché mette l’accento sulla caratteristica di sostegno ma arricchisce enormemente l’idea, creando un mondo fantastico con nuovi fantastici individui. Evoca immagini di tavoli che camminano, di tavoli che corrono, di sedie che s’inginocchiano, di gambe esili e robuste, muscolose e pelose e così via.

Con i cartoni animati delle fiabe rivisitate dalla Disney, con i tavoli in movimento che ballano, sorridono, ridono, la metafora ha ripreso vita. Una vita ricca in un mondo straripante di gioiosa fantasia in cui i nuovi individui, grazie ai nuovi mezzi (disegni in movimento liberi da vincoli di realtà) possono essere non solo evocati ma effettivamente rappresentati: vivono di metafora e creano mondi che non ubbidiscono alle leggi del nostro.

Nel cartone animato la casa disegnata non è sostenuta dalla collina disegnata e le pietre possono improvvisamente mettersi a ballare al ritmo di un valzer. La nuova metafora che arricchisce la realtà di nuovi mondi con nuove varietà, generando nuove e non omologate diversità, è ancora una provocazione contro l’omologazione assimilante.

Parliamo di onde della sabbia, di onde nel deserto e ne sentiamo il fascino. Il meccanismo s’innesca perché la metafora non è stata ancora consumata dall’uso. Parte dall’analogia, che è la figura limite della metafora, per oltrepassarla e spalancare un nuovo e misterioso mondo di meraviglie dove tra le onde del mare e quelle di sabbia (figure, queste, ancora interne al rapporto analogico) vengono evocati mondi nuovi con nuovi e favolosi animali come i pesci e le balene della sabbia.

Queste esistenze fantastiche che, mediante evocazione, vengono alla luce, ci trasportano in mondi sconosciuti, orrendi o meravigliosi ma comunque nuovi.

Con questi individui ottenuti applicando le leggi dell’analogia che fanno corrispondere a ogni oggetto del mare di acqua un corrispondente oggetto del mare di sabbia, siamo fuori dall’analogia e dentro la metafora.

L’analogia, figura ben definita perché legata da leggi di similitudine secondo rapporti definiti (si pensi ai criteri di similitudine dei triangoli), è una figura bifronte che da un lato apre al campo dei concetti e dall’altro a quello delle metafore, da un lato al campo del pensiero e dall’altro a quello della fantasia.

Le analogie di similitudine dei triangoli definiscono 1) un rapporto e 2) le procedure per inferire, tramite quel rapporto, da individui noti ad “esistenze” che da ignote divengono note e definite all’interno di teorie entro le quali sono state generate. Quando l’analogia sfuma nella metafora e il meccanismo continua a generare individui definibili solo con l’immaginazione, entriamo nel mondo del fantastico.

Estensione del concetto di metafora ai mondi

La metafora copre un vasto campo: si estende ai romanzi e alle teorie. L’oggetto dell’opera può essere tutt’altro da quello che appare dalle informazioni che vi leggiamo o percepiamo. Anche per il vero della vita il problema è di trovare vie d’espressione che oltrepassino le funzione e le anticipazioni omologanti delle teorie.

Pensiamo al sentimento della scoperta di nuovi mondi. Pensiamo, ad esempio, alla scoperta dell’America. Come potremmo descrivere i sentimenti di paura, di sorpresa e di meraviglia che dovettero provare gli individui che esplorarono il nuovo continente e gli analoghi sentimenti che provarono i conquistati? Quelli che per loro erano enigmi, novità paurose o meravigliose per noi sono sapere acquisito e organizzato. Come videro quei nuovi uomini, quegli animali, quelle armi e quelle civiltà? Noi sappiamo come le videro dai loro racconti e dalle informazioni successivamente acquisite che abbiamo ormai metabolizzato come informazioni. Così sono stati consumati per sempre quei sentimenti di stupore, di meraviglia, di paura in relazione a quella vicenda di scoperta: fanno parte del nostro patrimonio culturale, non ci possono più coinvolgere e tenere con il fiato sospeso perché la verginità dell’incognito non può essere recuperata con una loro rinarrazione. Questa, con i suoi eventi, ci giunge completa di tutte quelle anticipazioni culturali che ci impediscono di riprovarle nella loro genuina novità perché si è instaurato un processo di anticipazione che sbiadisce i genuini e primitivi sentimenti.

In fondo un romanzo di fantascienza che narri la scoperta e l’esplorazione di un mondo-pianeta nuovo perché sconosciuto e imprevedibile può risuscitare quei sentimenti di paura, sorpresa e meraviglia che una ennesima rinarrarazione della scoperta del continente americano non può far risuonare. In questo caso, siamo di fronte a una metafora totale con astronavi al posto delle navi e così via. Possiamo affermare che un simile romanzo fantastico sarebbe in fondo una narrazione più vera della narrazione storica? O per lo meno una narrazione più vera dei sentimenti, con informazioni inventate e quindi incapaci di anticipazioni? Come potrebbe essere, infatti, altrimenti raccontato nella sua genuinità ciò che come tale non può più essere raccontato e neppure percepito da noi lettori come tale? Come narrare la scoperta dell’America come verità?

Potremmo allora dire che quel romanzo fantastico ha per oggetto la scoperta dell’America? Evidentemente no. L’oggetto è la scoperta e l’esplorazione di quel nuovo mondo? Lo è ma è anche la scoperta di ogni mondo nuovo e di quello specifico mondo: è nello stesso tempo metafora e realtà, immaginazione e realtà. E’ la ri-creazione di sentimenti di meraviglia, sorpresa, paura, ossia la ri-creazione di una universalità di sentimenti concretizzata in una singolare concatenazione di eventi?

Con queste premesse si è almeno colti dal sospetto che l’ambito della metafora sia molto esteso. Metafora non è solo un termine, o un’immagine o una proposizione ma un sistema, una narrazione, un’architettura (problema del mondo). Le metafore bucano quella che noi chiamiamo realtà sensibile e la oltrepassano, creando mondi, oggetti e architetture. Oggetti, mondi, architetture che hanno in se stessi strutturalmente la possibilità di una percezione inesauribile (problema dell’interpretazione). Nella metafora coesistono strutturalmente informazione e creazione (problema della struttura).

Verità e metafora

Se l’apertura del nuovo mondo si limita a ripristinare delle sensazioni generate dalla novità e consumate dalle anticipazioni, allora si verificherà che a una seconda rilettura le anticipazioni create dalla prima consumeranno le ricreate emozioni.

Il romanzo-epopea di Asimov Cronache della Galassia, ebbe un enorme successo anche fra i non appassionati di fantascienza. Ispirato dalla Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano del Gibbon, narrava l’agonia di un impero galattico e derivava gran parte del suo fascino dal suo rivivere la decadenza dell’impero romano senza le anticipazioni culturali che ne avrebbero sciupato le emozioni.

Tramite l’introduzione di una fantastica e improbabile “psicostoria”, l’autore riusciva ad innestare un’aura di inesorabilità del procedere nel processo di dissoluzione del fantastico e immenso impero galattico. Il romanzo, che non era solo una ricollocazione metaforica di una dissoluzione, ma anche la riproposizione di una rinascita culturale e politica, ricreava in scala galattica anche l’epopea delle repubbliche marinare e delle città-stato. Ma ciò che colpiva era il respiro di vertiginosa immensità, l’idea di distanze abissali, fra “centro” e “periferia” che evocavano quelle sensazioni di estensione sconfinata che doveva provare un cittadino dell’impero romano quando pensava ai lontani, sconosciuti confini. Aure di immensità e di vertigine che, almeno per una parte dei lettori, si affievolivano o addirittura scomparivano a una successiva rilettura.

Che significa tutto ciò? Che il consumarsi delle emozioni in anticipazioni ci fornisce un significato più profondo di ciò che comunemente viene chiamata “letteratura di consumo”? Forse sì. Non un senso alternativo ma un allargamento verso un significato più primitivo del termine “consumo” che non è però oggetto di questo breve saggio.

La Arendt e la metafora

La Arendt vede la metafora come ponte fra il mondo dei pensieri e il mondo sensibile, tra l’interno invisibile e l’esterno visibile. Con la metafora il mondo greco ha potuto esprimere l’invisibilità dei sentimenti, del pensiero, della filosofia. Così le parole “anima” e “idea” di Platone, nate rispettivamente dalle parole “psiche” e “modello” inteso come sagoma dell’artigiano, si basano sulle seguenti analogie:

1) Come il soffio vitale è in rapporto col corpo che abbandona, così si reputerà che l’anima sia in rapporto col corpo vivente.

2) Come l’immagine mentale dell’artigiano dirige la sua mano nel corso della fabbricazione e costituisce la misura della riuscita o dell’insuccesso dell’oggetto, allo stesso modo tutti gli elementi dati materialmente e sensibilmente nel mondo delle apparenze si riferiscono a uno schema invisibile, situato nel cielo delle idee, e sono valutati in rapporto ad esso.

L’organo privilegiato nella civiltà greca è la vista. Da questo privilegiare nasce tutta quella concettualità che porta alla “luce della mente”, “allo sguardo della mente”, all’intuizione intellettuale in analogia alle percezione e all’intuizione sensibile. Si vedono con l’occhio della mente gli oggetti della mente così come si vedono con gli occhi sensibili gli oggetti sensibili.

La concezione della Arendt s’inserisce nella sua ampia riflessione circa la facoltà della mente, esaminatenel trattato La Vita Della Mente. L’invisibile attività del pensiero viene portata all’apparenza e resa pubblica con il linguaggio. Con questa impostazione diviene chiara l’importanza della metafora linguistica come ponte fra l’invisibilità del dentro e la visibilità del fuori. Ci sono due mondi e la metafora li unisce.

Importantissima, per la Arendt, l’opera di Omero che, densa di metafore conoscitive, crea la base linguistica per la civiltà occidentale. Con lui si arricchiscono non solo il linguaggio poetico ma anche quello della filosofia. Senza Omero non ci sarebbe stato quello straordinario fiorire della civiltà greca. Omero, che le ha dato un linguaggio capace di parlare del mondo e dell’anima, è il grande padre della civiltà greca e occidentale. La filosofia andò a scuola da Omero.

Per la Arendt le metafore non conoscitive, il cui valore è puramente letterario, sono prive d’interesse: “Nel discorrere comune”, afferma,“è usato un gran numero di espressioni figurate che assomigliano a metafore senza esercitarne la funzione autentica.

Questa decisa posizione che riduce a orpelli le metafore letterarie non è condivisibile. Forse la Arendt non comprese che la funzione della metafora non fu solo quella di creare, con le parole del “fuori”, il mondo del “dentro” ma anche quella di oltrepassare il mondo sensibile per esplorare gli infiniti mondi della fantasia compensativa e progettuale. Non mondi di puro divertimento ma strade per toccare la verità col linguaggio del nemico: di quell’Essere Immortale che ci vive culturalmente nel linguaggio informatico e di cui noi, singoli mortali, siamo le propaggini malate.