213. Philarghyrìa



A Bose ho ascoltato oggi i concerti Vesperali, eseguiti dal grande compositore Stefano Battaglia. Alla base di tali composizioni il concetto di autorisonanza o esercizio di autorisonanza, che significa evocare, dire forte dentro di sé il nome di una cosa o di una persona, immaginare un volto, un luogo, e attendere l’effetto, la sensazione che quella parola innesca e riverbera, come un suono o un profumo, attraverso una vibrazione simile a quella che produce il sasso gettato nell’acqua.

 Mentre ascoltavo leggevo “Avarizia” di Enzo Bianchi: Padri della Chiesa e Philarghyria, Crematistica, Capitale.  Philarghyria “significa letteralmente amore per il denaro, già i padri la hanno però intesa come riferita più in generale al rapporto dell’uomo con le cose. Infatti il denaro è un simbolo, è misura e valutazione delle cose, è il regolatore simbolico negli scambi, che rende le cose merci e i rapporti mercato” (….)

“Eppure la tradizione cristiana dei padri giudica il vizio del possedere addirittura contro natura. Scrive, per esempio, Cassiano: ‘l’avarizia non è propria della natura dell’uomo…essa è estranea alla natura umana’. Già Aristotele aveva definito contro natura l’accumulo illimitato dei beni, questo vizio che confonde i mezzi con il fine (***); i padri della Chiesa dal canto loro insegnano che l’avarizia deve essere bandita dalla comunità cristiana. Annota Giovanni Crisostomo: ‘il mio e il tuo, queste parole fredde che introducono nel mondo infinite guerre, erano state eliminate dalla santa chiesa nascente (cf At2,43-45;4,32-35;5,12-16)…i poveri non invidiavano i ricchi, perché non c’erano poveri, essendo tutte le cose comuni…

mio e tuo non sono altro che parole prive di fondamento reale’ (….)

(…) un furto in atto e a ben vedere anche una violenza fatta alla terra stessa, che in nome di questa brama del mai abbastanza è sfruttata e violentata…l’aveva già compreso Alano di Lilla, un teologo del XII secolo, quando affermava: ‘Uomo, ascolta cosa dicono contro di te gli elementi della natura e soprattutto la terra, tua madre. Perché ingiuri tua madre? Perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi tormenti con l’aratro per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti do spontaneamente, senza che tu me le estorca con la violenza?’ Parole che sentiamo contemporanee, che possono essere aggiornate nei nostri tempi di globalizzazione, di impero del dio mercato, di sfruttamento di una terra sempre più esausta”

“ – ‘Ma, dopo che avrò goduto delle ricchezze per tutta la mia vita, alla fine lascerò eredi di tutti i miei beni i poveri e li dichiarerò padroni di essi con lettere e testamenti.’ - Quando ormai non vivrai più tra gli uomini allora li amerai? Quando ti vedrò morto, allora ti chiamerò benefattore del fratello? Grazie tante per la tua prodigalità! Steso nella tomba e dissolto nella terra, sei diventato generoso nelle spese e magnanimo (…) Nessuno commercia dopo la chiusura del mercato, né riceve la corono chi giunge alla fine delle gare, nessuno agisce da uomo valoroso quando la guerra è finita. E dunque neppure dopo la fine della vita vi è possibilità di fare il bene” (Basilio di Cesarea, Omelia VI, contro i ricchi)

 

(***) quello che noi oggi chiamiamo mercato o economia era per Aristotele la crematistica. Secondo Aristotele la ricchezza inseguita dalla crematistica «non ha limiti rispetto al fine e il fine è precisamente la ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni» (Politica, I, 9, 1257 b 29-31). La conseguenza che Aristotele ne trae si inscrive a pieno titolo nell’orizzonte espressivo della cultura greca del metron: «appare necessario che ci sia un limite (peras) a ogni ricchezza» (Politica, I, 9,1257 b 32-33), per evitare il precipitare della comunità in quello che il Politico platonico chiama, con una splendida immagine, «il mare infinito della disuguaglianza» (Politico, 273 e).

 

Nota di Silvia: trovo estremamente significativo come il tema dell’accumulo di ricchezza e di capitale, la scelta tra Dio e mammona (nella sua radice il verbo aderire con fiducia, aman), la povertà in spirito (Basilio di Cesarea: i poveri in spirito sono dunque coloro che non sono diventati poveri per nessun altro motivo se non per l’insegnamento del Signore che ha detto: va’ vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri), la condivisione delle risorse sia un tema quasi ossessivo e continuamente presente in tutta la letteratura cristiana delle origini, parallelamente alla Fede in Dio. Le priorità col tempo sembrano essersi invertite, lasciando ai dissidenti il rigore logico degli inizi.