di Domenico Palopoli
Se da una parte il web pullula di teorie strampalate per "spiegare" lo stato di crisi in cui versiamo, assai fantasiose (quindi poco efficaci, per il principio d'economia) quando non fondate su chiari errori fattuali o logici (rettiliani, scie chimiche, signoraggio e così via) noto dall'altra un uso ormai indiscriminato dell'etichetta "complottismo", usata come arma retorica anche contro argomentazioni plausibili, benché non ancora provate da fatti documentati.
Affermare, per esempio, che ci sia un problema di connivenza tra potere politico e bancario ai danni della gran massa della popolazione - non per un qualche "odio" indirizzato contro questa massa, ma come mero effetto dell'azione per interesse personale o di gruppo - portando a favore numerosissimi indizi ma non ancora prove, ché le microspie nei Palazzi non si possono mettere, e facendo notare che storicamente chi ha molto potere tende ad aumentarlo a prescindere dall'interesse di tutti gli altri, porta spesso all'accusa di complottismo, e quindi a chiudere qualsiasi discorso.
Credo che il ricorso al metodo induttivo, ché non riesco a concepire altri motivi puramente teorici a giustificare tale atteggiamento, non si addica che in parte alle analisi sociali perché in queste bisogna considerare, facendo ricorso abduttivamente alla storia oltre che all'indagine psicologica, anche le intenzioni (pubblicamente inespresse) degli attori in scena, altrimenti si dovrebbe quasi sempre accettare lo status quo e il potere per come è dato e subito nella sua comunicazione pubblica.