282. Cambiare




il video:

https://www.youtube.com/watch?v=L3VhHXg3E9c&list=PLCcXCbTfhZ6_Zt41xnIXmfkIQdJSakHT8&index=5



Estratto dall'intervento di Silvia Molè (in fase di elaborazione)

Quando mi è stato proposto un intervento sul tema “cambiare” la prima immagine scorsa a colori nella mia mente è stata quella  delle zampe rosse ad artiglio, sulle piastrelle rosso mattone, del corridoio della casa di Jonathan Noel e le piume lisce, grigio piombo del piccione. Il suo occhio sinistro, un piccolo disco circolare, marrone con un punto centrale nero, che fissava Jonathan e ne sconvolse la  vita, cambiandola.

 Il piccione è un libro scritto da Patrick Suskind nel 1987 e comincia cosi:

“Quando gli accadde il fatto del piccione, che sconvolse la sua esistenza da un giorno all’altro, Jonathan Noel aveva già più di 50 anni, dietro di sé un intervallo di tempo di vent’anni circa totalmente privo di eventi, e mai avrebbe pensato che potesse ancora accadergli qualcosa di fondamentale, se non, un giorno, la morte. E così gli andava benissimo. Infatti non amava gli eventi, e odiava addirittura quelli che turbavano l’equilibrio interno e sovvertivano l’ordine esterno del quotidiano”.

La storia di Jonathan, sulla quale torno più avanti , condensa nell’arco di 24 ore un salto, un passaggio qui repentino dalla staticità al movimento, in quanto è impossibile pensare al cambiamento senza partire dall’analisi di ciò che può essere considerato statico.

Mi sono quindi anche chiesta  quale fosse a mio avviso il periodo storico che meglio esemplificasse questa contrapposizione, e con un balzo sono passata da Jonathan a quella che considero la più grande rivoluzione in termini di changing mind della storia, la nascita della filosofia nel VII sec. A. C. che vale la pena descrivere brevemente.  In questo periodo alla millenaria interpretazione mitica e religiosa dei fenomeni si sostituisce una emancipazione del pensiero, nei suoi contenuti rivoluzionaria ancora oggi, un pensiero che diventa razionale e scientifico al contempo. Non per nulla i primi filosofi furono anche scienziati, Talete ad esempio,  e come tali ricordati,  e non per caso nacque qui la prima rivoluzionaria forma di democrazia, la democrazia diretta, la cui trattazione meriterebbe un capitolo a parte (consiglio vivamente il testo di Gabriella Poma).

 Assistiamo quindi ad un  kambein (dal greco, piegare, curvare, girare), un cambiamento, una inversione di rotta di straordinarie proporzioni. La filosofia già con la scuola di Mileto segna una curva, opera una rotazione,  il logos si emancipa dal mito .  Se nei millenni precedenti nelle più svariate culture mito, religione, magia e analisi della realtà circostante apparivano ancora, in maggiore o minore misura,  sempre fortemente interconnessi, assistiamo ora a due grandi cambiamenti mentali: un pensiero in qualche forma positivo, che  rifiuta l'implicito automatico legame stabilito dal mito tra fenomeni fisici e agenti divini; e un pensiero  astratto il cui punto di partenza è però l’esperienza, i dati sensibili a nostra disposizione. Il tema fondamentale nella speculazione dei primi filosofi greci (presocratici o presofisti) riguardava infatti la natura e il cosmo, e NON la vita dopo la morte.

Scrive Protagora intorno al 400 A. C. : « L'uomo è la misura di tutte le cose di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono »  « Intorno agli dèi non ho alcuna possibilità di sapere né che sono né che non sono. Molti sono gli ostacoli che impediscono di sapere, sia l'oscurità dell'argomento sia la brevità della vita umana. » .  A Protagora venne affidata la stesura della costituzione democratica della colonia di Turi ed è proprio in questo periodo che compare forse per la prima volta, nell’opera di Erodoto, e in età periclea V sec. a.C.  (secondo lo storico Pierre Hadot) menzione di una attività filosofica. Esiste un legame inscindibile tra relativismo nel senso filosofico del termine e democrazia. In pieno periodo sofistico, nel momento in cui le certezze assolute sbiadiscono, fa ingresso nella storia il concetto di democrazia.

Kambein: Al governo di un re o di una rosa di aristocratici viene sostituito in età periclea un principio democratico: per la prima volta nella storia, ogni cittadino maschio maggiorenne, sottolineo senza limiti di censo,  ha la possibilità di proporre e votare direttamente le leggi nell’assemblea o ecclesia. Allo scopo di favorire l’affluenza dei cittadini meno abbienti, nell’ecclesia di Atene i partecipanti ricevevano un obolo, un gettone di presenza, in grado di poter ripagare il cittadino di una giornata di lavoro persa. L’assemblea di tutti i cittadini ateniesi approvava quindi le leggi. I membri del governo erano generalmente scelti attraverso il sorteggio (sulla base di liste di candidati per ciascun demo)  per evitare il prevalere di favoritismi (solo le cariche militari e finanziarie erano elettive).  La carica di ministro era   annuale, e vigeva il divieto di reiterare una stessa carica o di cumularne piu d una: era una garanzia di salvaguardia della democrazia e di ampia partecipazione. A fine mandato tutti i magistrati dovevano dare conto del loro operato e, prima di avere adempiuto a tale obbligo, non potevano lasciare il paese, né disporre liberamente del loro patrimonio . Le condanne, in caso di corruzione, prevedevano una multa 10 volte piu grande del maltolto. Pericle introduce inoltre per la prima volta nella storia la retribuzione delle cariche pubbliche che rappresenta un evento rivoluzionario, in quanto prima queste potevano essere esercitate solamente dai ceti piu abbienti. Kambein. In Occidente si tornerà a parlare di suffragio universale solo a partire dalla Rivoluzione Francese e in  Italia il primo suffragio universale maschile, senza limiti di censo,  verrà introdotto solo nel 1912. Il primo suffragio femminile viene introdotto solo nel 1945 in Italia.

Ma come si cambia? Perché si cambia? Perché è cambiato Jonathan? Perché si è passati dal mythos al logos?

Rispondere in modo esaustivo a queste domande è forse impossibile, e richiederebbe comunque qualche migliaio di pagine dedicate,  cercherò quindi di fornire solo alcuni spunti di riflessione partendo dal concetto di soggettività ed esperienza.  John Dewey ad esempio agli inizi del ‘900 sostenne che l’esperienza non è mai un dualismo tra il soggetto che esperisce ed un oggetto, ma una interazione tra soggetto e oggetto, tra organismo e ambiente, come dimostra l’evoluzione. Noi siamo in realtà gettati in partenza in una situazione  che predetermina e decide in una certa misura quel che siamo e saremo. Dunque siamo, ontologicamente, in regime di libertà condizionata. Non siamo per così dire totipotenti:

Non esiste a mio avviso un libero arbitrio considerato in termini assoluti, siamo indissolubilmente legati all’ambiente circostante. E  mi pare che il tema della cognizione, del libero arbitrio e del cambiamento siano strettamente intrecciati.

 Oggi spesso si parla anche di cognizione distribuita, come anche di una morale distribuita. Il concetto è che le informazioni, le idee  sono distribuite e conservate non solo nella mente ma anche al suo esterno, esistono forti correlazioni con gli enti esterni capaci di “registrazione memica” (un cielo stellato, un libro, un telefono, un calcolatore, un DVD) . Il contesto influisce sul modo di pensare e il modo di pensare influenza il contesto. Ad esempio l'ambiente culturale in cui nascono i bambini contiene le conoscenze accumulate delle generazioni precedenti. Gli esseri umani non beneficiano solo della propria esperienza, ma di quella dei loro antenati (ereditarietà extragenetica).

Piuttosto che pensare alla cognizione come ad un evento isolato che si svolge dentro la testa, la cognizione deve essere vista come un fenomeno distribuito, che va oltre i confini della persona per includere l'ambiente, i manufatti, le interazioni sociali e la cultura".  Non più quindi una sorta homunculus dentro di noi, artefice della nostra soggettività. Non piu un homunculus monarca.  Il SE’ diviene , per usare le parole di Dennet, solo una sorta di Centro di Gravità Narrativa. Non esiste un luogo centrale,  dove tutto converge per essere esaminato da un osservatore privilegiato, ma esiste un certo numero di circuiti, anche a livello cerebrale in stretta interconnessione tra loro, che operano in parallelo.

Il quesito che spesso  viene posto quindi è il seguente: cambiamo in quanto siamo indotti a ciò da un ambiente al quale siamo indissolubilmente legati oppure possiamo porci al di sopra di esso determinando il nostro cambiamento? Esiste davvero l’homunculus dentro di noi?  Il quesito in realtà è posto in modo errato e rappresenta un falsa dicotomia.

Gli uomini si trovano infatti dinanzi ad una serie NON  illimitata di scelte, si tratta infatti di libertà non come possibilità di agire senza impedimenti e costrizioni, ma come possibilita di scegliere tra una rosa definita di possibilità. E qui inserisco volentieri il concetto di essere umano  quale chance seeker, ovvero cacciatore di opportunità, all’interno delle possibilità che ci sono concesse e nelle quali ci imbattiamo. Saper riconoscere e cogliere le opportunità, utilizzarle a proprio vantaggio, cambiando, evolvendo. In questo senso preciso riconosco a noi esseri umani il margine di libero arbitrio.

Possiamo quindi tornare a Jonathan, sottolineando ora come un cambiamento possa essere sia positivo che negativo per l’agente, laddove per positivo intendo generalmente una condizione che favorisca l’esplicarsi di fondamentali capacità umane. La vita di Jonathan viene sconvolta da bambino a causa dell’internamento dei propri genitori in un campo di concentramento e successivamente dall’abbandono repentino della donna che aveva sposato. L’ambiente e le circostanze avevano creato le condizioni per cui si innestasse un meccanismo di difesa e una decisione  consistente nel cercare la maggiore isolamento possibile dal resto del mondo, ormai percepito come nemico. Un evento apparentemente insignificante, una spinta iniziale accidentale, il piccione, innesca però il processo inverso e Jonathan comprende di avere bisogno degli altri:

 “…Perché non vengono? Perché non mi salvano? Perché questo silenzio di morte? dove sono gli altri esseri umani? Mio Dio, dove sono gli altri esseri umani? Non posso vivere senza gli altri esseri umani!..ma nel momento in cui stava per gridare, ebbe una risposta, udì un rumore…lo scroscio della pioggia, allora la stanza riacquistò il suo ordine….”

Riassumendo: Un processo di interazione con l’ambiente quindi, in cui l’agente può comunque scegliere nell’ambito di una rosa definita di possibilità.  Cambiando. Stessa cosa si potrebbe dire per quanto riguarda la nascita della filosofia. Per quanto ci si potrebbe e dovrebbe soffermare a lungo sui molteplici e complessi aspetti socio economico culturali alla sua base, l’ indipendenza dalle spiegazioni mitologiche fu dovuta probabilmente anche al fatto che la struttura politica relativamente semplice delle loro fiorenti città in sviluppo non imponeva  la necessità di governare per mezzo delle superstizioni, come avveniva nei più antichi imperi.

Come blogger di fallacie logiche farò un accenno al cambiamento relativamente alla cosiddetta biased rationality (razionalità distorta), e a come determinate strutture di pensiero cambino o possano cambiare o si evolvano.

Le fallacie logiche nel campo della teoria dell’argomentazione sono dei ragionamenti errati, non validi,  modelli  di ragionamento che possono essere facilmente contestati o rifiutati  in quanto irrilevanti, non validi. Quando si dice che una discussione è fallace, in realtá non si intende dire che la conclusione cui si è giunti o si vuole giungere sia falsa o errata  bensi che le argomentazioni a sostegno di essa sono non pertinenti, fuori tema, non valide.. Per esempio, quando durante un dibattito o una discussione una persona sostiene che l'avversario stia deviando l’ attenzione dell’audience attraverso un attacco personale, questa non sta sostenendo che quello che dice il suo avversario sia giusto o errato. Sta indicando soltanto una debolezza del ragionamento da parte dell’ interlocutore, che potrebbe e v e n t u a l m e n t e condurre ad una decisione o ad un risultato errato, se seguito.

Per molto tempo si è avuta una  visione statica   del ragionamento fallace sintetizzabile con  l’acronimo  BEAUI: Bad, erroneous, attractive, universal, incorregible. Intendendo con cio sottolineare il fatto che si tratta di abitudini molto attraenti, seducenti, democratiche nel senso che ne sono colpiti tutti, a prescindere da istruzione, età, competenze di settore. E soprattutto incorreggibili.

John Wood ha cominciato invece a considerarle da un altro punto di vista, un punto di vista dinamico,realista anche,  nell’ottica reasoner before reasoning, vale a dire l’analisi di colui che ragiona viene  prima dell’analisi del  ragionamento. La logica agent-based consiste nel descrivere e nell’analizzare non tanto quanto il reasoner dovrebbe fare o si pensa che faccia, ma quello che effettivamente fa di fronte ad un determinato problema o situazione.

Il reasoner cerca di raggiungere il target che si è prefissato attraverso le risorse che sono  ragionevolmente a sua disposizione. Vale a dire, il reasoner opera in condizioni di economia cognitiva (H. Simon), laddove le limitazioni che incontra sono gereralmente come segue:

  • Informazioni limitate
  • Mancanza di tempo
  • capacità logiche limitate

Su questa base un ragionamento considerato fallace a priori può addirittura essere considerato razionale e vitale in prospettiva evolutiva. Woods parla infatti di rational survival kit.

A  titolo esemplificativo riporta  l’esempio del bambino che per la prima volta tocca, in cucina, una piastra che risulta essere bollente e decide di non toccarne più una in alcun caso. Una generalizzazione indebita (in base a standard predefiniti) che rapportata al target (non scottarmi piu la mano) e alle risorse a disposizione è al contrario un buon esempio di ragionamento pragmatico

 Altro ottimo esempio è stato riportato da Gerd Gigerenzer (2005): “si prenda in considerazione un bambino di 3 anni che dica ‘I gived’ invece di ‘I gave’. Il bambino non può sapere in anticipo quali verbi sono irregolari in quanto i verbi irregolari sono rari e la migliore scommessa del bambino è quella di supporre trattarsi di una forma regolare sino a che essa si riveli falsa. L’errore è “positivo” in quanto se il bambino non facesse tentativi e di tanto in tanto errori, ma cercasse di andare sul sicuro usando esclusivamente le parole già sentite, imparerebbe la lingua molto più lentamente”.

Vale a dire, anche le nostre strutture di pensiero non si modificano in astratto, ma sempre in profonda interazione con l’ambiente circostante. Laddove  comunque sono sempre date delle opportunità che sta allo chance seeker saper cogliere.

Non bisogna però neppure essere troppo ottimisti e mi riferisco qui al concetto, assai statico,  di EPISTEMIC BUBBLE, ovvero quelle bolle cognitive che ci impediscono di cogliere la differenza tra sapere e pensare di sapere e nelle quali tutti e proprio tutti rimaniamo in una certa misura invischiati. Impossibile qui non pensare alla ignoranza Socratica, a Socrate che afferma “sapiente non esiste nessuno” (Platone, Apologia di Socrate).

La questione principale risiede nel fatto che un agente cognitivo tende a considerare ogni credenza quale conoscenza. Ovviamente l’assunto filosofico di base è che conoscenza e credenza non condividono il medesimo status epistemico: anche una credenza vera differisce dalla conoscenza in quanto la conoscenza presuppone la possibilità di corredare le proprie affermazioni con ragioni sufficienti e rilevanti. In questo senso sii parla del carattere fuggitivo della verità: è impossibile ottenere conoscenza senza pensare di averla ottenuta, ma ottenerla e pensare di averla ottenuta sono cose differenti. Un problema è costituito dal fatto che per placare il disagio creato da un dubbio, non è necessaria conoscenza, è sufficiente una credenza.

  • se conosco P non sono piu tormentato dal dubbio
  • non sono piu tormantato dal dubbio
  • quindi io conosco p

Sapere e pensare di sapere possono essere difficilmente scinti l’uno dall’altro, ma essi non sono chiaramente la stessa cosa. Questo conduce alla formulazione della tesi della Epistemic Bubble:

All’interno di una epistemic bubble l’agente cognitivo risolve sempre la tensione tra il suo pensare di conoscere x e il conoscere x a favore del conoscere x. La bolla cognitiva si forma quando non si riesce a distinguere tra il pensare di conoscere e il conoscere.

Sottolineo come questa sia una limitazione tipica degli esseri umani e non una questione di essere più o meno intelligenti. La cognitive bubble è chiaramente una conseguenza del fatto che il nostro sistema cognitivo si trova ad operare con informazioni limitate, mancanza di tempo e limitate capacità logiche

E VENGO al DUBBIO: al cambiamento inteso come cambiamento della mentalità ed evolversi della conoscenza

A mio avviso le pagine più splendide riguardanti il cambiamento inteso nel senso di evolversi della conoscenza sono quelle riguardanti il “fissarsi della credenza” di C. S. Peirce . ), Peirce considera sia la vita che la scienza come un complesso di abitudini che tendono a conservarsi e che periodicamente vanno incontro a momenti di crisi. Spesso la crisi e quindi il cambiamento nasce da un dubbio, ma il motore della ricerca non è  il dubbio teorico,  il dubbio a comando, astrazione di filosofi intellettualisti, ma il dubbio vero, che nasce dalla crisi di una credenza precedente nella quale il nostro pensiero si trovava già immerso. 

Dubitare non significa scrivere su un pezzo di carta io dubito. La ricerca nasce all'interno delle problematiche concrete che sorgono dentro l'agire, nella pratica, ed è l'arco di pensiero che serve per passare dalla credenza precedente, messa in dubbio, a quella successiva che acquieta il dubbio e permette di agire. Il dubbio , quello vero, quello non creato a tavolino, crea un forte disagio, l’ “irritazione del dubbio”,(spiegaz. Magnani, filosofia violenza) un forte turbamento interiore, uno stato mentale che non desideriamo, dal quale cerchiamo di uscire e che rifuggiamo proprio a causa della perdita di sicurezza data dall’abbondono di una credenza. Il dubbio ci pone infatti in una dinamica di affannosa ricerca (Peirce usa il termine lotta per enfatizzare il carattere violento di questa condizione) per conseguire un nuovo stato di credenza e di quiete. Questo meccanismo viene paragonato da Peirce allo scatto di un nervo che reagisce ad una stimolazione tramite un movimento per poi ritornare allo stato di rilassamento iniziale.

  La credenza  si fissa fondamentalmente in 4 modi:

  1. La 'tenacia’ di chi si rifiuta di mettere in discussione le proprie idee, evitare situazioni che facciano vacillare la credenza. Ferma volontà di rimanere ancorati ad una credenza; (staticita)
  2.  l'autorità che a differenza della tenacia si produce non solo a livello individuale ma anche a livello collettivo, una qualche figura autoritaria ne impone l’accettazione; (staticita)
  3.  il metodo a priori o metafisico che procede in base al puro ragionamento e presuppone un certo dinamismo nonostante come i ragni ricavi  da se medesimo la tela (riprendendo una metafora baconiana). Secondo Peirce è il metodo piu rispettabile, rispetto ai precedenti, la credenza è assunta come veritiera in quanto in accordo con la ragione. Ma questo metodo considera la ricerca qualcosa si simile allo sviluppo del gusto; ma il gusto sfortunatamente è sempre piu o meno una questione di moda.
  4. metodo scientifico , in grado di fissare una credenza legittimamente veritirera, in grado di fondare le inferenze legittime su di un realismo che presuppone l’esistenza di una permanenza esterna di oggetti reali, i quali sono conoscibili e verificabili. In questo senso essa è  capace di riconoscere i propri errori e di correggere a poco a poco se stesso. la scienza avanza mediante un processo autocorrettivo che lambisce asintoticamente la verità, senza mai raggiungerla. Essa consiste dunque in un’impresa collettiva mediante cui la comunità dei ricercatori e degli scienziati cerca di acquisire progressivamente nuove credenze. Ma questo metodo puo essere applicato a qualsiasi campo dello scibile umano, laddove a variare non è la necessità della verifica ma il metodo per essa, uguale che si tratti di politica, economia, storia.

In questo contesto acquista però rilevanza anche la nozione di serendipidita, si pensi al piccione (ovvero la scoperta casuale di fatti importanti mentre si stava cercando altro)  come possiamo notare attraverso l’esempio del piccione, con il quale ho cominciato, sia  attraverso ad esempio gli ippopotami, con i quali intendo concludere,  di  Albert Schweitzer,  un autore a me molto caro per il fatto di aver incluso nelle proprie riflessioni  anche gli altri esseri viventi:

«La sera del terzo giorno, al tramonto, proprio mentre passavamo in mezzo a un branco di ippopotami, mi balzò d’improvviso in mente, senza che me l’aspettassi, l’espressione “rispetto per la vita”. Avevo rintracciato l’idea in cui erano contenute insieme l’affermazione della vita e l’etica.» (A. Schweitzer)

Albert Schweizer si reca in Africa, come medico,  per aiutare le popolazioni locali, le particolari circostanze di questa esperienza lo inducono però a CAMBIARE  nel senso di  allargare ulteriormente  lo spettro della sua concezione etica.  Si noti come la moderna etologia abbia operato un notevole cambiamento nel senso di far fuoriuscire gli animali non umani dallo status di esseri dotati unicamente di istinto, attribuendo loro capacità complesse come altruismo (es. studio sui topi del 2011), trasmissione culturale (balene, nuove tecniche di caccia), differenze di comportamento all’interno della stessa specie (soggettività).

Concludo con una citazione:

Circa 50 anni fa Magoroh Maruyama ha coniato il concetto di " deviation-amplifying mutual causal process ", che è molto importante per quanto riguarda lo chance-seeker. Il concetto implica che l'esito di un processo è avviato da una  "spinta" insignificante o accidentale ed è quindi costruito sulle  sue successive amplificazioni, divergendo  rispetto alla condizione iniziale. Un esempio, la corrosione della roccia:

Una piccola crepa in una roccia raccoglie un po 'di acqua. L'acqua si congela e rende la crepa più grande. Una crepa più grande raccoglie più acqua, il che rende il crepa ancora più grande. Una quantità sufficiente di acqua quindi rende possibile per alcuni piccoli organismi di vivere in essa. L’accumulo di sostanza organica rende quindi possibile per un albero  cominciare a crescere nella crepa. Le radici dell'albero renderanno la crepa ancora più grande. Il feedback ambientale è tale che le deviazioni (in forma di eventi non previsti / inattesi) non contrastano il lavoro dell'agente. Al contrario, essi diventano una fondamentale fonte di positiva reciproca interazione, proprio come nel caso dello chance seeking, dove da un evento accidentale come il piccione si avvia un processo decisionale che fa parte della condizione iniziale di ignoranza e incertezza.