286. Dove ci porta la scienza

da “Dove ci porta la scienza” di Alberto Oliverio, pag. 140

(ne consiglio vivamente l’acquisto)

La responsabilità politica della previsione

Una delle funzioni della scienza è quella di prevedere, per quanto possibile, alcuni eventi che riguardano l’ambiente in cui viviamo al fine di razionalizzare risorse e interventi. Entrare in questa dimensione previsionale comporterebbe grandi benefici in termini di vite umane e risorse, ma una simile iniziativa di vasto respiro e di notevole impegno economico richiede ad un tempo una mutazione politica in senso science-oriented, che punti alla realtà dei fatti e si basi su analisi e soluzioni razionali, e una trasformazione di mentalità: una mutazione politica in quanto i politici dovrebbero investire in un programma privo di immediate ricadute positive sulla loro immagine, e di conseguenza, sul loro elettorato, una trasformazione di mentalità in quanto gli esseri umani guardano con maggiore attenzione al presente che al loro futuro (…)

 La nostra mente, anche quando siamo adulti, è infatti portata a valutare meno ciò che è astratto e lontano nel tempo piuttosto che ciò che è concreto e immediato (…) Questa nostra caratteristica ci pone dei limiti in un mondo complesso e dipendente da infiniti fattori (…) Per quanto riguarda le politiche scientifiche, i grandi progetti richiedono una visione d’insieme che trascende i vantaggi locali (…)

Un simile orientamento richiede di riconsiderare il significato di solidarietà anche in termini utilitaristici: in effetti una cultura della previsione e della prevenzione può essere meno costosa rispetto a quegli interventi di solidarietà a posteriori che i governi occidentali sono sempre più indotti a compiere per motivi diversi, tra i quali la pressione dell’opinione pubblica ma anche lo stato di interdipendenza economica tra paesi ricchi e poveri (…) Una delle terapie volte a stabilizzare il sistema passa non tanto o non soltanto attraverso forme di aiuto tradizionale, manche attraverso nuove politiche e nuovi interventi scientifico-tecnologici di cui possano beneficiare i paesi più poveri.

 

da “Dove ci porta la scienza” di Alberto Oliverio, pag. 79-82,

“Una scienza parcellizzata e mediatica”

 – Una delle caratteristiche della scienza moderna è quella di essere sempre più specialistica, cosicchè gli scienziati, soprattutto i più giovani, rischiano di produrre i mattoni di un edificio, ma di ignorarne le caratteristiche d’insieme. Le ultime generazioni di scienziati hanno indubbiamente avuto un tipo di educazione qualitativamente e quantitativamente diversa rispetto ai loro predecessori: sino agli anni Venti o Trenta di questo secolo uno scienziato riceveva una preparazione più vasta; agli inizi della sua carriera scientifica spendeva più tempo in ricerche che riguardavano settori non immediatamente connessi al suo futuro campo di ricerca fondamentale, tendeva a pubblicare risultati di ricerche che generalmente implicavano un approccio più globale – e non estremamente focalizzato a un problema (…)

alla competizione scientifica contribuisce anche un crescente carattere mediatico di quei raggiungimenti che hanno una presa diretta sul pubblico dei non scienziati: la rivista Nature ad esempio ogni mercoledì diffonde un’agenzia con la notizia ritenuta più interessante – e che può colpire l’opinione pubblica – in tal modo sollecitando i quotidiani a parlare di un fatto scientifico che viene ripreso su scala quasi planetaria. In sostanza, la selezione scientifica è dura, la competitività forte e la dimensione mediatica contribuisce a dare rilievo a un particolare raggiungimento ma anche a spostare il livello di dialogo tra gli scienziati e far sì che un raggiungimento, anche se parziale, venga pesantemente caricato di significati, spesso al di là della stessa volontaà degli scienziati che possono perdere il controllo della loro produzione.

Questa perdita di ruolo da parte degli scienziati fa parte (…) dei numerosi cambiamenti di tipo soggettivo e oggettivo che stanno trasformando la comunità scientifica. Tra questi figurano la percezione di una diminuita autonomia – che deriva da una crescente necessità di giustificare le proprie scelte di fronte all’opinione pubblica e alla committenza, vale a dire gli organismi che finanziano la ricerca, un eccessivo livello di specializzazione, che soprattutto per gli scienziati più giovani porta a una alienazione nei riguardi dei problemi reali e della comprensione del proprio ruolo, e infine, l’eccessiva competitività che oggi caratterizza il mondo della scienza (…)

 pag. 58 – 59: USA (…) è difficile almeno al momento giudicare le conseguenze di questa corsa verso la privatizzazione della ricerca, ma è certo che questa atmosfera fortemente competitiva si è anche tradotta in un aumento dei casi di frode scientifica, di falsificazione delle evidenze sperimentali e di comportamenti scorretti (…) La scienza sta diventando sempre più competitiva e si sta trasformando in una forza produttiva che mira a risolvere i problemi del mondo reale attraverso gli investimenti di gruppi privati che individuano in alcune tecnologie della biologia molecolare, dei trapianti d’organo o della biologia della riproduzione un settore in rapido sviluppo. Il settore biotecnologico è perciò diventato uno di quelli di punta (…) il che sancisce lo stretto intreccio che si è venuto a creare tra scienza e tecnologia e il predominio della scienza applicata o applicabile su quella pura.