299. Fallacia Inversa

Su Le Scienze (luglio 2014) viene riportato il caso del ricercatore statunitense Russel Poldrack, il quale sottolinea una questione che scuote alle fondamenta alcune interpretazioni dei dati ottenuti nelle neuroscienze. In questo contesto impossibile non pensare a Cordelia Fine (si veda il N. 196).

L’articolo comincia portando il seguente esempio:

“Se piove, Mario apre l’ombrello: gliel’ho visto fare mille volte. Un giorno Mario apre l’ombrello e io deduco che fuori piova. E’ un’operazione lecita? A volte funziona. Ma Mario potrebbe aver aperto l’ombrello perché grandina oppure per asciugarlo oppure per ballare il tip tap. Quindi se la prima frase contiene un’inferenza diretta che discende dall’osservazione, la seconda si basa su un’inferenza inversa, con relativa (possibile) fallacia. Per anni le neuroscienze sono cascate in questo errore. E hanno proposto varie e improbabili associazioni tra sentimenti e azioni solo per aver ottenuto immagini simili in esperimenti diversi (…)  Per esempio ci si sono studi che dicono che una certa parte di cervello chiamata cingolo anteriore si attiva quando si hanno situazioni di conflitto. Ma questo non significa che se vedo attivarsi il cingolo anteriore allora devo dedurre che l’individuo stia necessariamente sperimentando situazioni di conflitto."

Russel Poldrack afferma che dall’inferenza inversa spesso derivano affermazioni assai poco scientifiche di grande successo, come quella secondo la quale ci si innamora del proprio smartphone perché quando lo sentiamo squillare si attivano aree che qualcuno, un giorno, ha definito “dell’amore”. O quella che ha messo in relazione sentimenti di empatia e ansia con i comportamenti elettorali delle persone.

Nella sua intervista, rilasciata a Silvia Boncivelli, Poldrack afferma di non essere stato il primo a pensare che si stava sbagliando. Già una decina di anni fa si stava cominciando a parlare di inferenza inversa, ma mai in pubblico, mentre uscivano ricerche su ricerche piene di fallacie logiche. Ma 10 o 15 anni fa vi era anche una forte tendenza a quella che viene definita blobology, la “disciplina” di scienziati che fanno studi, studi qualsiasi e poi ci ricamano sopra grandi storie di fantasia.

Poldrack è responsabile di progetti come Cognitive Atlas e Open fMRI, progetti che prevedono lo scambio e il confronto tra scienziati, affinchè tutti possano replicare e verificare i risultati di tutti. Sono entrambi finanziati con soldi pubblici. Il primo è un progetto collaborativo che punta a sviluppare una base comune per le scienze cognitive. Nel secondo caso si tratta invece di un open data, cioè di una banca dati in cui chiunque può condividere e prendere dati, da usare per le proprie ricerche.