300. Tanto rumore per un orso

Alcune vicende assurgono a simbolo, come è giusto che sia. La triste vicenda dell’orsa Daniza ha portato alla luce anche lo sbigottimento (quando non forte irritazione) di molti di fronte alla risonanza che essa ha avuto. Si chiedono “tanto rumore per un orso?” “dopotutto non era un esemplare a rischio estinzione!” “la specie prima dell’individuo!” (se lo dicessimo relativamente agli umani verremmo però tacciati di aberrazione nazista). Partiamo da un dato di fatto, l’imperativo kantiano “agisci in modo da trattare l’uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo “ si è di fatto ampliato, fino ad includere altre specie animali (legislazione in materia di benessere animale, aumento delle scelte vegetariane o vegane, associazioni dedicate, possibilità dell’obiezione di coscienza). La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità, quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, su come la moderna etologia ci costringa a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra,  e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status? Semplice: tutto questo mira a creare confusione e livellamento tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico. Questa tecnica viene impiegata anche per ridicolizzare  temi di carattere politico del tutto degni di essere presi in considerazione (Gladio non fu una bufala e la politica nazionale e internazionale difficilmente può essere analizzata in bianco e nero esclusivamente sulla base delle dichiarazioni ufficiali degli enti preposti). Quando vi imbattete in uno di questi siti cercate quindi di verificare innanzitutto quale sia il loro "core-business" e quale interesse abbiano a riportare solamente una parte limitata della realtà (inganno per omissione).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente.


mento (quando non forte irritazione) di molti di fronte alla risonanza che essa ha avuto. Si chiedono “tanto rumore per un orso?” “dopotutto non era un esemplare a rischio estinzione!” “la specie prima dell’individuo!” (se lo dicessimo relativamente agli umani verremmo però tacciati di aberrazione nazista). Partiamo da un dato di fatto, l’imperativo kantiano “‘agisci in modo da trattare l’uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo’ “ si è di fatto ampliato, fino ad includere altre specie animali (legislazione in materia di benessere animale, aumento delle scelte vegetariane o vegane, associazioni dedicate, possibilità dell’obiezione di coscienza nelle università).

 La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, anche gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, ovvero come la moderna etologia ci costringe a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso anche un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status FB? Semplice: tutto questo mira a creare confusione tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, emozioni, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente.

 

 La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, anche gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, ovvero come la moderna etologia ci costringe a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso anche un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status FB? Semplice: tutto questo mira a creare confusione tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, emozioni, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente

 La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, anche gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, ovvero come la moderna etologia ci costringe a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso anche un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status FB? Semplice: tutto questo mira a creare confusione tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, emozioni, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente aberranti.

 

 La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, anche gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, ovvero come la moderna etologia ci costringe a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso anche un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status FB? Semplice: tutto questo mira a creare confusione tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, emozioni, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente aberranti.

 

 La storia vede il progressivo ampliamento dei diritti, non da ultimo a partire da considerazioni di carattere scientifico (si pensi che le donne hanno raggiunto il diritto di voto, proprietà e istruzione, pari opportunità quasi 2000 anni dopo Cristo, gli omosessuali si vedono progressivamente riconosciuti dei diritti, anche gli aborigeni furono spesso considerati inferiori, come tutti coloro che venivano ridotti in schiavitù).

Di fronte a questo dato di fatto (avendo in mente anche Darwin, che ci impedisce salti ontologici) ci si può quindi chiedere: è giusto che questo principio venga ampliato? Se si, in quale misura? Se si, in base a cosa? Chi segue da vicino , leggendone i testi, gli esiti della moderna etologia sa bene quanto ormai sia difficile ( spesso rischiando il ridicolo) cominciare un qualsiasi trattato filosofico con il famoso “solo noi”. Molto interessante sul tema il numero di giugno di “Mente & Cervello”: l’intelligenza degli altri, ovvero come la moderna etologia ci costringe a rivedere il nostro rapporto con gli altri animali.

Il quesito per una sorta di brainstorming in questa sede potrebbe essere quindi il seguente: quali caratteristiche deve possedere un essere vivente per essere considerato degno di tutela?

Ritengo qui doveroso anche un accenno a siti di pseudo-debunking: vengono ad esempio riportati casi, minuziosamente analizzati ... di persone che credono che un pesciolino rosso possa dare la vita per salvare la nostra e simili. Perché perdere tanto tempo a commentare simili status FB? Semplice: tutto questo mira a creare confusione tra chiacchiericcio insensato da social e gli esiti della moderna etologia, laddove moralità, trasmissione culturale, emozioni, forme molto elaborate di linguaggio, complesse forme di intelligenza non sono più argomento tabù ma oggetto di approfondimento scientifico).

Relativamente ai diritti degli animali taluni argomentano sostenendo che il diritto sia una categoria umana, valida solo tra consimili, in quanto compresa e accettata solo dai consimili, quindi non estendibile: 1) trovo singolare che i sostenitori di tale “teoria” non abbiano nulla da obiettare relativamente al diritto di poter macellare, cacciare o sfruttare per i piu diversi scopi esseri di altre specie, vale a dire, il diritto “in negativo” viene applicato eccome, senza riserve, nonostante gli altri esseri non siano in grado di identificare nome del legislatore e numero di pratica. Lo si fece anche con determinati aborigeni. 2) di fatto l’estensione dei diritti nella nostra legislazione si basa su criteri diversi (capacità di provare dolore fisico e psichico ad esempio), altrimenti alcune categorie di disabili o i bambini dovrebbero esserne completamente escluse. E dovrebbe essere possibile affogare un gatto in una lavatrice per il semplice fatto che esso non comprenda e non aderisca formalmente al nostro codice penale e civile. Indubbiamente il tema dell’estensione dei diritti ad altre specie è molto complesso (si tratta spesso di individuare i confini relativi a necessità connesse con la sopravvivenza della nostra specie), ma semplificazioni e banalizzazioni strumentali come quella riportata sopra risultano logicamente ed eticamente aberranti.