Yukio Mishima (1925-70), "Lezioni spirituali per giovani samurai" (1968-69)
L'ETICHETTA
Si dice che il kendō inizi e finisca con un inchino, ma dopo il primo inchino, l'unico obiettivo è colpire l'avversario. Questo simboleggia egregiamente la realtà dell'universo virile. Prima del combattimento è necessario osservare una determinata etichetta che rappresenta la premessa dello stesso combattimento. Ma cosa è più importante, l'etichetta o il combattimento? Secondo i principi del kendō prevale la cortesia, l'etichetta. Per quale motivo? Fin dai tempi più antichi, come appare chiaro nei tornei dei cavalieri, è l’etichetta a regolare le contese nell'universo virile. Nell'etichetta è naturalmente insito un codice morale, che si esprime anche nelle norme sportive. Una disciplina sportiva praticata senza il rispetto per le norme non è più tale, diviene qualcosa di spregevole: violarne il codice conduce alla disfatta.
Le buone maniere non presuppongono tuttavia ubbidienza all'altrui volontà. Sebbene l'etichetta sia per un uomo una premessa essenziale, cui deve assolutamente assoggettarsi, si è diffusa ai giorni nostri la strana credenza che un atteggiamento sincero e spontaneo possa giungere più direttamente all'animo di chi ascolta. Soprattutto colui che è ambizioso è invece tenuto a rispettare l'etichetta, più di chiunque altro; se lo farà, potrà persino esibirsi danzando nudo mentre beve il sake, essendosi ormai conquistata la fiducia dell'interlocutore che giudicherà la sua danza come un atto estremamente spontaneo e rassicurante. Questa tattica non funzionerebbe affatto se egli fosse solito comportarsi con sregolatezza. È per questo che esiste un'etichetta, capace di mantenere la dignità dell’uomo, ed è solo lasciando trasparire da essa la naturalezza, l'immediata spontaneità della natura umana, che si accresce il proprio potere sul prossimo.
Il modo, ad esempio, in cui attualmente ci si esprime per telefono è semplicemente stupefacente: persino nella scelta delle parole si è diffusa in Giappone un'assoluta mancanza di delicatezza verso i sentimenti altrui. Il linguaggio è, in tutte le sue sfumature, l'asse portante dell'etichetta e, immaginando che l'etichetta sia una porta, un linguaggio appropriato e meticolosamente adattato all’interlocutore assolve le funzione dell'olio con cui si ungono le serrature. Ma nei tempi moderni esse cigolano troppo, poiché nessuno si preoccupa ormai di oliarle.
È assolutamente errato supporre che gli altri possano comprendere i nostri sentimenti profondi. L'animo umano conserva sempre una parte ignota anche all'amico più intimo e più a lungo frequentato. Le parole sono il ponte che ci unisce agli altri esseri umani, ma deve essere un ponte completo, provvisto di parapetto e di gibōshu. Tutto ciò è fornito dall'etichetta. E proprio per questo l’esercito è saldamente diretto da una rigida etichetta, ne è pervaso, ma l'etichetta non giova soltanto all'esercizio della vita militare: un comportamento dettato da una buona educazione contribuisce a esaltare la virilità negli uomini.
Se nelle nostre azioni non fossimo mai tesi verso un obiettivo di conquista, non avremmo alcuna necessità di comportarci secondo l'etichetta. O se ci ribellassimo alla società e decidessimo d'isolarci completamente rifiutando ogni rapporto con gli altri esseri umani, sarebbero persino superflui i ringraziamenti e i saluti. Invece gli studenti che partecipano a dimostrazioni politiche e si oppongono al governo, benché si ribellino al potere, esigono nei rapporti reciproci un rigoroso rispetto delle differenze gerarchiche tra studenti di classi superiori e inferiori. Apprendono infatti spontaneamente che, ovunque agisce il desiderio di potere, s'impone un'etichetta, un codice di comportamento, seguendo il quale si accresce la propria autorità.
Lo schieramento dei riformisti non è dunque diverso da quello dei conservatori nell'esigere con assoluto rigore il rispetto di determinate norme di comportamento. Persino illustri scienziati che sono soliti criticare ferocemente il governo, impongono nei laboratori un severo rispetto di certe norme cerimoniali agli allievi. I loro assistenti di certo non sospettano a qual punto la trascuratezza nel preparare il tè per i superiori possa influire negativamente sulla carriera. Si può dedurre da questo che il mondo virile ha molte affinità con lo sport. Ci si disputa la vittoria seguendo determinate regole, che servono a velare il latente, radicale antagonismo tra i partecipanti. [...]
Per quanto mi riguarda, ho la ferma certezza che la bellezza virile sia esaltata proprio dall'autocontrollo e dalle norme di comportamento, così come è piacevole un uomo elegantemente abbigliato con un kimono da cerimonia perfettamente inamidato. Un anno, al culmine dell'estate, mi recai al Ryu kan, una famosa palestra di arti marziali di Kumamoto, dove mi esercitai al kendō con alcuni giovani. Conservo un indelebile ricordo di uno di loro, un giovane dell'ultimo corso che, grondante di sudore, s'inginocchiò con il busto perfettamente eretto verso un piccolo altare e con voce squillante comandò agli altri: « Saluto! ». Suscitò in me un’impressione di freschezza, come se in quell'istante si fosse lacerata la cortina di paura che mi opprimeva. Mi parve che quello fosse un esempio perfetto di come un cerimoniale possa rendere affascinanti i giovani, molto più affascinanti di coloro che vivono in un modo sregolato e confuso.
Yukio Mishima (1925-70), "Lezioni spirituali per giovani samurai" (1968-69), Feltrinelli, Milano 2006, pp. 19-22