IL CORPO DELLA MODERNITA'
di Antonio Martone
Se ci soffermiamo su noi stessi, vediamo bene che il nostro corpo è cavo all'interno. In esso, c'è un vuoto simile (o si tratta dello stesso vuoto?) a quello che regna negli spazi interstellari. Per evitare tuttavia che ci si riferisca ad un approccio meramente estetico alla questione, e per mostrare fino in fondo la differenza istituita dalla corporeità rispetto al pensiero logico, e dunque la sua potenza di negatività, ho preferito collegare il corpo ad una categoria antica come la filosofia stessa, e cioè quella di vuoto. Il corpo pertanto diviene corpo-vuoto.La filosofia moderna (Cartesio per la teoria della conoscenza, Hobbes per la politica) hanno avuto un sacro terrore del misterioso corpo desiderante una volta che questo si fosse emancipato dalla teologia dei secoli precedenti. E ne hanno avuta anche dell'essere-in-comune dei corpi, vista la cupidigia di ciascuno e il conseguente quanto inevitabile conflitto anarchico in nome del potere. Il corpo si è manifestato allora come una immensa cavità desiderante e inappagabile. Una voragine misteriosa e incolmabile. Alla fine della teologia aristotelico-tomista, nel momento in cui ha fatto la sua comparsa (già nell’umanesimo e poi nel rinascimento), una individualità non più componibile nel grande disegno della cosmologia e dell’antropologia cristiana, la filosofia moderna si è immediatamente attrezzata per parare il colpo, poiché parecchio problematico appariva ora la modalità di come potesse darsi qualcosa come la conoscenza (Cartesio) o l'ordine politico (Hobbes). E per farlo, ha inteso anzitutto colmare il vuoto che i corpi costituivano. Cartesio con l’Io pensante (res cogitans) e dunque con la razionalità, Hobbes affermando la riduzione ad uno (reductio ad unum) della molteplicità e differenza fra gli uomini, tutti assoggettati all’apparato statale.Dopo di allora, sia nell’uomo singolo, sia nell’intera comunità - ciò che si pretendeva intero e compatto - è rimasta tuttavia una qualche realtà non riducile all’Uno della ragione omologante. Il corpo dell’uomo e la sua voragine interiore – fatta di bene e di male, di volizioni e di desideri – non la si è potuta vincere/superare con la forza della res cogitans (cosa pensante), né con la pur leviatanica forza dello Stato. Rimaneva pur sempre – invincibile e inafferrabile – un residuo irriducibile a qualsiasi ragione. Gìà i romantici della prima metà dell’Ottocento lo avevano capito. Il vuoto dell'animo è un abisso senza fondo - da sempre e per sempre un enigma. Oggi sentiamo il vuoto abissale, consciamente o inconsciamente, con una intensità formidabile - così come non accadeva da millenni. Dopo cinque secoli dall’inizio della modernità, gli elementi che questa voleva sopprimere, si ripresentano ormai davanti a noi con tutta la loro forza. Finalmente liberi dunque? No. Il corpo dell’uomo, oltre la ragione e il senso dello Stato, ha trovato altre forme nate anch’esse - spesso come figlie deformi - dalla ratio e dallo Stato: le tecniche, le mediazioni/accumulazioni finanziarie, le istituzioni transnazionali, modelli chiusi di soggettività, potentissime armi di distruzione di massa etc. etc.Tutto ciò è indubbiamente agghiacciante, ma è anche fonte di grandi possibilità. Riusciremo mai – dopo la ratio moderna, dopo lo Stato nazione - a riannettere alla nostra coscienza, altrimenti monca, la struttura originaria della nostra corporeità senza farla apparire – come è successo ai moderni – una dimensione sic et simpliciter distruttiva?I nostri problemi, in fondo, sono riducibili alle seguenti domande: saremo capaci oggi di riconoscere il vuoto in noi stessi? Come lo affronteremo? Quale "maschera" abbiamo intenzione di conferirgli? E, soprattutto, quale spazio la nostra libertà - minacciata da ogni parte dalla religione del capitale - può sperare per provvedere a tutto ciò? |