Il moderno cercatore della pepita … di letame
Da un articolo di Repubblica (1) evinciamo quello che doveva essere il clima ai tempi della febbre dell’oro:
“Era il 16 agosto del 1896, quando l’americano George Washington Carmack, insieme a due amici pellerossa, pescò una pepita d’oro nel Rabbit Creek, un affluente del fiume Klondike, nel territorio canadese dello Yukon vicino al confine con l’Alaska. Da quel momento iniziò la corsa all’oro, consacrata più volte nell’immaginario letterario e cinematografico, consegnandoci il mito dell’uomo che sfida la natura estrema alla ricerca di un riscatto personale e sociale”
Nell’era internet assistiamo a un simile fenomeno, assai meno edificante, laddove la pepita di letame si sostituisce alla vecchia pepita d’oro. La tecnica, generalmente impiegata da hater di vario genere (dagli xenofobi ai razzisti ai maschilisti - si veda anche il fenomeno "pancine" creato a tavolino contro le mamme - agli omofobi fino a fenomeni di vegefobia), ma talora anche da coloro che cercano di difendersi da detti attacchi ricorrendo a medesimi mezzi in una catena infinita dell’irrilevanza, consiste nello scandagliare ossessivamente la rete, alla ricerca di quanto più stupido, indecente, esecrabile o illogico vi sia in circolazione relativamente alla categoria, odiata, di riferimento: le pepite di letame (molto amata è la forma dello screenshot) vengono proposte sulle pagine dei social media con lo scopo di creare una tendenza, ovvero un campione rappresentativo. Non diversamente, del resto, da quanto fanno pure grandi testate giornalistiche: prendi l’immigrato che ruba davvero, sbattilo in prima pagina e fai in modo che se ne traggano conseguenze sugli “immigrati che rubano”. La differenza con le grandi testate, che generalmente pubblicano casi reali nonostante le bufale o le mezze verità non siano rare, è che le pepite di letame in rete spesso non sono verificabili nella loro autenticità e in tempi di magra la pepita di letame diventa pure una pepita di falso letame, vale a dire creata a tavolino. In entrambi i casi si punta a un pubblico che si ritiene acritico e non sufficientemente preparato nel senso di esigere seri studi volti a comprovare il “ trend”. Il fine perseguito è quello di polarizzare le emozioni, creare masse di opinionanti, e quindi aumentare le visualizzazioni e la propria popolarità (non di rado vi sono ricavi di carattere economico), non diversamente da quanto accade nei talk show dove vengono chiamati a interagire personaggi noti per la scarsa sobrietà di linguaggio o assertività. Il pubblico di riferimento, felice di poter affermare, facilmente, la propria superiorità rispetto alla pepita di letame proposta, reagirà con commenti sprezzanti, carichi d’odio, denigratori senza minimamente porsi il quesito del contesto in cui si trova a essere sollecitato. Il burattino utile per un determinato fine, spesso intellettualmente al di sotto pure della pepita di letame stessa.
In “Strumenti per pensare” di Daniel Dennett troviamo scritto: “…quando volete criticare un settore di ricerca, un genere letterario, una disciplina, una forma d’arte … non perdete tempo e non fatene perdere agli altri fissandovi sulle stronzate! Occupatevi delle cose importanti, oppure lasciate perdere …se non siete dei comici il cui scopo principale è far ridere la gente, risparmiateci le prese in giro …”. Vale a dire, anche volendo ammettere che quanto in circolazione, per ogni corrente, sia in gran quantità di deplorevole livello, occupatevi di coloro i quali hanno trattato la materia nel modo più rigoroso. A vincere facile sono capaci tutti.
Di pari passo con la tecnica della pepita di letame quale campione non rappresentativo va pure la fallacia dello straw man, ovvero la sapiente deformazione, attraverso la pepita di letame, del pensiero originario di riferimento.
Lucy F.
(1)