390. I cacciatori non sono pazzi

Ottimo articolo, estendibile.


di Grugno Clandestino


No, i cacciatori non sono pazzi, non hanno nessuna psicopatologia che possa delinearne i tratti, non hanno nessun profilo che si possa trovare in un manuale diagnostico di psichiatria.
Non appartengono al grande contenitore della Follia che, come quello della Natura, speculare ad esso e contro di esso, ci serve per dare una precisa origine ai comportamenti ed i tratti che ci fanno paura, che ci destabilizzano, a tenerli lontani da noi e tranquillizzarci perché appartengono ad un mondo a noi straniero, sono parte della sragione, dell’insensato, dell’errore.

In realtà, superata la tentazione del distanziamento, vediamo che la violenza esercitata da un cacciatore non ha nulla a che vedere con tratti patologici di personalità deviate, ma con una ben più terrificante e normalizzata violenza sistemica, sostenuta dalla tradizione, perfettamente legale e che riscontra ancora poca riprovazione sociale per essere praticata almeno con vergogna, alimentata dal sistema economico, culturale e dalle leggi a suo servizio.

Non troveremo in un uomo in doppietta che uccide una mamma cinghiale davanti ai suoi cuccioli nessuna patologia specifica che non sia quella del sistema specista in cui siamo immersə e che ci allena a non sviluppare nessuna empatia con gli animali che consumiamo ai nostri pasti, che vediamo esibirsi nei circhi, che acquistiamo per sentirci meno solə, che abbandoniamo quando non si adeguano alle nostre aspettative, che sacrifichiamo per ogni nostro bisogno, anche il meno necessario.
Che fa si che la loro morte valga meno lacrime di quella di un essere umano.

Non c’è nessuna malattia mentale in chi esegue con le proprie mani questi assassinii, se ci fosse differirebbe solo di grado da quella di chi ne mastica e digerisce i corpi una volta che il sangue ha smesso di scorrere, dalla quasi totalità delle persone umane abitanti del nostro mondo.
L’individuo ha le sue responsabilità, ma non è nei manuali diagnostici che vanno cercate.

Patologizzando la violenza sistemica incarnata negli atti degli individui e che ha origine dentro le complesse dinamiche di strutture sociali, si continua a non vedere un nemico già difficile da individuare per intero, si distanziano da noi le norme che ci attraversano e ci producono variabilmente come vittime o carnefici, si perdono di vista gli obiettivi di lotta e le concrete armi dei nostri nemici rendendo le nostre controffensive deboli e inefficaci, e non da ultimo si alimenta lo stigma altrettanto antico e dolente della patologia mentale, che la quasi totalità delle volte non appartiene all’oppressore in buona posizione gerarchica, che ha subito molta più violenza e molto più organizzata e totalizzante di quella che ne ha mai agita, che ha parentela con gli ultimi della terra, con gli spiriti senza cittadinanza nel mondo, con le voci minori, inascoltate, spezzate e spente a forza, con gli animali non umani.