Molto spesso, nel citare documenti - i cui effetti si sono protratti per secoli - quali Decreti Teodosiani, Summis Desiderantes Affectibus, Malleus Maleficarum, Romanus Pontifex, Dum Diversas, Concilio Lateranense IV, Cum Nimis Absurdum, Caeca et Obdurata, Hebraeorum Gens, Ab Extirpanda e diversi altri della Chiesa Cattolica (lungi dal voler trarre, e non lo traggo, un giudizio storico complessivo negativo su di essa, odio le facili banalizzazioni) mi trovo confrontata con un invito alla "contestualizzazione", che nei casi specifici altro non è che una gravissima forma di relativismo etico, quale alternativa al negazionismo. Su questa base non vi è crimine della storia passata che non possa essere giustificato, in quanto accade assai di rado che si uccida o discrimini o torturi per il puro piacere di farlo, bensi per la difesa di un potere costituito o il mantenimento di un privilegio. Senza contare il fatto che tale tipo di "contestualizzazione" viene da taluni operata anche per il presente (si veda il punto 84 del Menu). Propongo quindi questo magnifico articolo a delucidazione del tema.
IL FOGLIO di venerdì 25 febbraio 2005 pubblica a pagina 2 dell'inserto una risposta di Giorgio Israel alla difesa dell'Inquisizione tentata, con argomenti tanto inconsistenti quanto pericolosi, da Vittorio Messori sul CORRIERE DELLA SERA.
Ecco l'articolo:
"Chiunque mastichi un minimo di storiografia sa che l’analisi storica deve fare riferimento al contesto concettuale, culturale, sociale, economico, politico degli eventi in oggetto. Se uno storico della scienza valutasse la meccanica aristotelica con il metro di quella einsteiniana, e non nel quadro della concezione del mondo in cui era inserita, non sarebbe un serio cultore della disciplina. Tuttavia, quando la questione esaminata è suscettibile anche di una valutazione etica il giudizio deve biforcarsi: perché voler "contestualizzare" anche sul piano etico significa confondere banalmente il relativismo culturale con il relativismo etico, e credere o far credere che dal primo derivi necessariamente il secondo. Al riguardo, una lezione esemplare ci è data dalle celebri conferenze Unesco di Claude Lévi-Strauss sul razzismo (1952 e 1971), in cui egli riuscì a tenere perfettamente dritto il timone fra l’approccio scientifico – che, in antropologia, egli riteneva doversi ispirarsi al relativismo culturale – e l’impegno morale contro il razzismo. Naturalmente è anche lecito assumere delle posizioni di relativismo etico, ma ciò non discende affatto da prescrizioni di rigore storiografico – e, oltretutto, neppure questo deve necessariamente aderire alle prescrizioni del relativismo culturale. Chi non aderisce al relativismo etico sa benissimo contestualizzare storicamente gli eventi senza per ciò "giustificarli" moralmente. Anzi, il relativismo etico è una visione molto più fragile del relativismo culturale, perché deve fare i conti con l’evidente persistenza storica di alcuni principi morali assoluti, per quanto essi siano stati violati nel corso della storia reale: accanto a dittatori e sterminatori si è sempre manifestata la presenza di personaggi che, alla maniera di Socrate, hanno riaffermato i principi fondamentali del rispetto della vita umana e della tolleranza. Queste sono cose ovvie e note non soltanto ad ogni storico degno di questo nome, ma semplicemente ad ogni persona ragionevole. Ma ora, nel nostro orto italiano, dobbiamo constatare che il dibattito che si è svolto di recente sul Corriere della Sera a proposito delle conversioni forzate dei bambini ebrei e delle responsabilità di Papa Pio XII al riguardo, ha avuto la funzione di intorbidare le acque in modo devastante. Esso ha avuto il suo culmine nell’affermazione – titolata a scatola – "Non giudicate Pio XII, era figlio del suo tempo", avanzata con stupefacente leggerezza e senza rendersi conto che così si apriva il vaso di Pandora ed era ormai legittimo riscrivere la frase con una "x" al posto di Pio XII, e quindi diveniva legittimo sostituire la "x" con un nome qualsiasi: Hitler, Stalin, Pol Pot, e quant’altri. In tal modo, si è fornita una parola d’ordine a chi vuol giustificare quel che più gli sta a cuore: "contestualizzare". Di tale parola d’ordine si è appropriato Vittorio Messori, il quale ha offerto, sempre sul Corriere, una contestualizzazione-giustificazione nientemeno che della Santa Inquisizione. Sotto l’occhiello "No agli anacronismi", egli ha propinato l’ormai consueta ammonizione: "Lo storico serio deve evitare qui, come ovunque altrove, il peccato mortale, quello di anacronismo. Il passato, cioè, va valutato secondo le sue categorie, non secondo le nostre". E quali erano le categorie morali, etiche che ispiravano i tribunali della Santa Inquisizione e che rendono possibile oggi comprendere e persino giustificare i loro intenti? Esse si basavano sulla "necessità di proteggere la vita sociale, la cui tranquillità si basava su una fede comune", mossi com’erano quei tribunali "dall’ansia sincera di praticare la più alta delle carità, quella spirituale". Aggiunge Messori che la Chiesa si comportava come le autorità sanitarie odierne, che "considerano loro dovere la tutela della salute dei cittadini". Analogamente, la Chiesa era mossa dal senso di responsabilità di "dover rispondere a Dio della salvezza eterna dei suoi figli": "salvezza messa in pericolo dal più tossico dei veleni: l’eresia". Insomma, come le Asl odierne dispensano il vaccino anti-influenzale, così la Chiesa dispensava il fuoco per salvare l’anima dei suoi figli. Sproporzione di mezzi? Non tanto. Volete mettere una banale influenza col "più tossico dei veleni: l’eresia"? Ed è certamente a causa di questa sproporzione dei mali che, mentre la Asl non ha neppure il potere di inviare a casa nostra i suoi addetti per immobilizzarci e praticarci, volenti o nolenti, la benefica puntura, la Santa Inquisizione aveva invece il diritto di salvare l’anima della gente bruciandola. Simili (s)propositi non meriterebbero una sola parola in più. Ma è interessante dire qualcosa circa gli argomenti storiografici con cui Messori compie questa rivalutazione, pur ammettendo – bontà sua – che non si tratta "di passare dall’esecrazione all’ammirazione". Questi argomenti si riducono al riferimento a una frase di Luigi Firpo, in cui questi affermava che "i processi erano contrassegnati da una grande correttezza formale e da una rete di garanzie inimmaginabili per i tribunali laici dell’epoca". Il carattere al contempo esilarante e scandaloso di una simile affermazione è che in essa sparisce la questione di sostanza: e cioè che quei processi venivano fatti per reprimere manifestazioni di eresia, di appartenenza a un’altra fede religiosa o di stregoneria. Che senso ha parlare di "garanzie" e di "correttezza formale" in un processo il cui oggetto sia l’accusa di stregoneria o di eresia? E non si venga a dire che queste erano le categorie dell’epoca. I signori "contestualizzatori", se avessero una frequentazione con la storia improntata a un minimo di serietà, saprebbero che le frenesie purificatrici dell’Inquisizione in Spagna sono state combattute o almeno frenate da molte autorità e re cristiani, che cercarono in tutti i modi di proteggere i loro cittadini "eretici" e fedeli di altre religioni. Esisteva, eccome, chi aveva la coscienza della criminalità di queste forme di difesa della fede. E poi, quanto alle garanzie, stendiamo un velo pietoso. Anche la celebre contesa teologica medioevale fra il rabbino catalano Nachmanide e il predicatore Pablo Christiani fu organizzata con dovizia di garanzie. Queste consistevano nel fatto che ogni giorno veniva trascinata nella sala una turba di ebrei convertiti a forza, affinché inveissero contro Nachmanide.Cionostante, questi tenne i nervi saldi e la disputa – come mostrano i documenti – finì con una disfatta di Pablo Christiani. La grande correttezza e le inimmaginabili garanzie diedero allora una suprema prova di sé: se Nachmanide non avesse tagliato la corda, sarebbe stato messo a morte. Messori adduce anche come argomento l’esiguità del numero degli uccisi in rapporto ad altri eccidi storici, e se la prende vivacemente con "Il Manifesto" che ha attaccato una trasmissione Rai per aver riabilitato l’Inquisizione, osservando che certe prediche non possono essere accettate quando provengano da chi scriva sotto la testata "quotidiano comunista". E’ l’unico punto su cui ha qualche ragione, ma soltanto nel senso in cui, come dicono i francesi, a lui e al Manifesto occorrerebbe "les renvoyer dos à dos", ovvero considerarli come due facce della stessa medaglia. Quanto all’aspetto prettamente storico, ovvero alla faccenda del numero dei massacrati, sarebbe opportuno approfondire il discorso con serietà e non fare "anacronismi". Confrontare con il comunismo e il nazismo? Ma allora il "peccato mortale" dell’anacronismo si può commettere, quando ciò torni comodo? Sono paragoni assolutamente privi di senso, perché se c’è una caratteristica che fa dello sterminio nazista degli ebrei un evento unico è il ricorso a metodi scientifici ispirati alle forme della moderna organizzazione industriale, e questo è vero anche del Gulag, sia pure nel contesto di una finalità non razziale. La Santa Inquisizione non disponeva di siffatti metodi e mezzi scientifici industriali. E’ però indubbio che ce l’ha messa tutta. Compatibilmente con la lentezza dei processi, che dovevano proiettare un’immagine di "legalità", con il tentativo di estorcere (con la tortura) "confessioni" da esibire all’esterno come argomenti a sostegno del trionfo della fede, e con la macchinosità delle procedure delle esecuzioni, la "performance" è stata di straordinaria efficacia. Ricordiamo alcuni dati – da offrire non tanto a Messori, che riteniamo irrecuperabile – quanto alle numerose persone, cattoliche e non, che ragionano con obiettività e senza pregiudizi. Sono dati relativi alla sola città di Saragozza e dintorni, nel periodo che va dal 1483 al 1502, e si riferiscono soltanto agli ebrei. Dai registri, risultano consegnati al braccio secolare per essere bruciati "in persona", oppure "nelle ossa" – in seguito a morte per svariate cause, a cominciare dalla tortura – oppure "in effigie" in quanto fuggiti (il numero meno consistente), 164 persone, in quanto "eretici giudei" (i propalatori del "più tossico dei veleni"). Furono poi condannati al fuoco, nel solo periodo 1482-1499, altri 73 ebrei in quanto rei "confessi" di eresia. Il numero dei convertiti ("conversos") più blandamente condannati a pene non capitali – per lo più il carcere a vita – ammontano a 116. Lasciamo immaginare a quali risultati può portare la proiezione di questi dati all’intera Spagna e a tutta la popolazione, non soltanto a quella ebraica (e a un periodo più lungo).
Se potessimo rubare una pagina al giornale ci piacerebbe elencare quei nomi uno ad uno: Alonso de Rivera, medico, eretico giudeo, consegnato in persona al rogo il 12 marzo 1488; Gabriel Lençon, fabbricante di candele, eretico facitore di sortilegi, consegnato in persona al rogo il 16 giugno 1501;Mossen Pedro Monfort, vicario generale dell’Arcivescovado, eretico giudeo, consegnato in persona al rogo il 28 aprile 1486; Joan Pedro Sanchez, mercante, eretico giudeo, fuggitivo, consegnato in statua al rogo il 30 giugno 1486; Xbopal Pelayo, sarto, eretico giudeo, defunto, consegnato nelle ossa al rogo il 30 giugno 1485; Marieta moglie di Aznar Perez, strega, consegnata in persona al rogo il 28 gennaio 1500; ecc. ecc. per 353 volte. Ricordare tutti questi nomi sarebbe un modo per risarcirli dell’offesa che dopo cinque secoli viene ancora portata alla loro memoria. Se Messori nutrisse in sé un briciolo di carità cristiana, dovrebbe recarsi in pellegrinaggio in tutti gli archivi di Spagna e d’Europa e dedicare qualche anno a costituire un grande Yad Vashem dei martiri dell’Inquisizione: dico Yad Vashem per analogia, ma non penso affatto agli ebrei soltanto. Sarebbe un risarcimento reso alla storia e alla morale e un modo di impiegare il tempo più degno che non imbrattare giornali rispettabili. E, per l’immediato, una proposta: al bando per un certo periodo, fino a che non si richiuda il vaso di Pandora, la parola "contestualizzare"
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=12914
Aggiungo le seguenti considerazioni personali cui sono giunta attraverso il contributo dei miei interlocutori sul tema:
Ricordiamo che secondo le Scritture i cristiani non sono del mondo (Giovanni 15,18-21), pertanto giustificare certe azioni usando come pretesto la situazione culturale di una determinata epoca equivale a definire non cristiano chi le ha compiute. Soprattutto considerando il fatto che i Vangeli propongono un messaggio senza tempo (universale) di pace e amore,per molti versi originale, e del tutto incompatibile, oggi come allora, con determinati comportamenti.
Ora, facendo finta che la Chiesa non si ponga come un istituto di ispirazione divina e si ritenga uguale a qualsiasi altra forma di potere, si deve prendere seriamente in considerazione quanti argomentano affermando che nessuno solleva obiezioni di carattere etico riguardo a faraoni o imperatori romani ad esempio. Ci ho pensato anche io. Ritengo che la valutazione di un sistema politico/giuridico possa anche ricorrere al confronto con gli altri del tempo oppure con la situazione precedente. Mi spiego: per quanto riguarda l'Inquisizione ad essere contestata non è tanto la pena di morte o la tortura (che tutte le società del tempo per reati quali l'omicidio e simili adottavano e nonostante Gesu' dica "scagli la prima pietra chi...") ma la pena di morte e la tortura riguardo all' introduzione di un NUOVO tipo di reato, quello di fantasia (Summis Desiderantes Affectibus, sulla stregoneria: è assai difficile addurre prove a sostegno del fatto che non si stia complottando con il demonio) e quello di opinione (eresie, per le quali era parimenti prevista la pena di morte), che MAI prima era stato reso istituzione. Da qui il regresso (si pensi solo alla civiltà greca, la cui tolleranza permise il fiorire della filosofia, ovvero di centinaia di diverse correnti di pensiero, laddove il capovolgimento di questo spirito, grazie al quale sorse il primo sistema democratico (si veda il punto 44 del Menu) della storia, è simboleggiato proprio dall' index librorum prohibitorum, che rappresenta l'introduzione nella storia della censura quale istituzione). Senza contare il fatto che ad esempio gli eccidi di Caligola vengano da tutti giudicati eticamente riprovevoli rappresentando un regresso della società romana del tempo in fatto di valore e dignità umana. E che nessuno giustifichi le persecuzioni dei primi cristiani, condannati a morte, anche se dovrebbe valere la medesima logica: l'impero romano in fin dei conti doveva salvaguardare il proprio potere e la propria identità culturale da quanti la minacciavano.
A proposito dell'articolo di Giorgio Israel, in sé praticamente perfetto, vorrei portare un esempio storico preciso che costituisce un sostegno ulteriore alla sua tesi (in ogni tempo sono esistite persone in grado di percepire i valori universali della dignità umana). Non entrerò nei dettaglio, ma invito chi ne avesse voglia a documentarsi sul dibattito interno ai riformati seguito alla condanna al rogo di Michele Serveto (1553), con Castellion che la disapprovava in nome della tolleranza e sulla base di testi di famosi intellettuali cristiani ("De haereticis an sint persequendi", 1554) e Calvino che, dopo averla favorita di fatto, ne difendeva la la liceità di diritto ("Defensio ortodoxae fidei", 1554).
« Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con... la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con scritti bisognava refutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando un uomo, ma facendosi bruciare per essa » - Sebastiano Castellione (Saint-Martin-du-Frêne, 1515 – Basilea, 1563), teologo francese, tra i primi e più importanti sostenitori della tolleranza religiosa.
Ancora oggi taluni "constestualizzano" l'atroce morte di Giordano Bruno (che al contrario di Galileo***non volle abiurare), nonostante persino un Pontefice nel 2000 abbia espresso un certo "rammarico".
Un "argomento" talora portato avanti è quello del "garantismo". I processi alle streghe sarebbero stati necessari per prevenire i linciaggi. Ebbene, procediamo per analogia: al fine di evitare linciaggi del Ku Klux Klan introduciamo il reato di negritudine, affinchè i neri possano essere impiccati legalmente anzichè su strada in modo disordinato. Ancora una volta si confonde volutamente tra vittime e carnefici, in quanto ad essere contemplati in una tipologia di reato dovrebbero essere gli artefici del linciaggio e non le vittime di esso, che assai difficilmente del resto potevano addurre prove per il fatto di non essere possedute dal demonio....A riprova della fondatezza del discorso di Israel, anche nel caso delle streghe (=in ogni epoca vi furono menti in grado di percepire e comprendere la barbarie) cito volentieri Johann Wier (1515-1588) il quale contestò la pena di morte per le streghe, e pubblicò anche alcuni commenti di autorevoli lettori: il teologo Anton Hovaeus,(+1568) elogiando l'autore, sottolineava come la caccia alle streghe non avesse giustificazione teologica; il medico Balduinus Ronsseus (1525-1596) rilevava come le donne accusate fossero in realtà malate di nervi, Johann Ewich (1525-1588) deprecava che giudici e teologi facessero confusione tra eresia e stregoneria, mentre un altro medico, Carolus Gallus (1530-1616), confermava come il fenomeno della stregoneria avesse origini psichiche o alimentari e l'umanista Theodor Zwinger (1533-1588) sottolineava l'importanza della libera diffusione della cultura e del rinnovamento delle scienze al fine di debellare superstizioni e pregiudizi.
Per quanto riguarda invece il negazionismo e il revisionismo riporto volentieri il seguente brano tratto dalla prefazione alla "Storia dell'Inquisizione" (C. Havas):
***Abiura di Galileo Galilei /Letta il 22 giugno 1633
Io Galileo, fìg.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S.a Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off.o, per aver io, dopo d'essermi stato con precetto dall'istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo, ne in voce ne in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova; Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.
Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.
Così Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.
Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.
Io, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria.
(nel seguente link il testo della condanna del Sant'Uffizio):
http://www.minerva.unito.it/Storia/GalileoTesti/GalileoSentenzaOriginale.htm