030. Pentimento e conoscenza

30. Pentimento e Conoscenza: A. Schopenhauer e L. Magnani a confronto

 A.Schopenhauer, “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione”, A.Mondadori Editore, I Meridiani 2003 - Libro quarto – il mondo come volontà - Affermazione e negazione della volontà - Pag. 420/421 -

“L’origine del pentimento non va mai cercata in un cambiamento della volontà (cosa impossibile), ma in un cambiamento della conoscenza. Ciò che, nel mio volere d’una volta, c’è di essenziale e di speciale, io debbo volerlo ancora; poiché io stesso sono quella volontà, che è al di fuori del tempo e del cambiamento. Il mio pentimento non potrà dunque mai cadere su ciò che volli, ma soltanto su ciò che feci; traviato da false nozioni, operai non conformemente alle esigenze della mia volontà. Poi me ne accorgo, perché la mia conoscenza si rettifica: ecco il pentimento. Il quale si estende non soltanto agli errori dovuti alla scarsa prudenza, alla cattiva scelta dei mezzi, all’inadeguatezza del fine propostoci con la nostra volontà vera; ma anche al valore morale degli atti. Posso, ad esempio, avere agito più egoisticamente di quanto si addica al mio carattere, essendo stato indotto in errore da un’idea esagerata dei miei propri bisogni oppure dall’astuzia, dalla falsità, dalla cattiveria degli altri, o infine per aver agito a precipizio, senza riflessione, lasciandomi trascinare non da motivi di cui mi rendessi conto in abstracto, ma da motivi di pura intuizione, dall’impressione del momento e dall’emozione suscitatasi nel mio animo, un’emozione così violenta che mi ha tolto il lume della ragione. Anche in questo caso, però, il ritorno alla riflessione non è che una conoscenza rettificata; il pentimento, che può derivarne, si annunzierà sempre con sforzi tendenti a riparare al meglio gli errori commessi. Bisogna notare tuttavia che, per illudere noi stessi, ci prepariamo talvolta atti apparentemente precipitosi, che, in realtà, sono segretamente premeditati. Non c’è infatti persona che riusciamo a ingannare e lusingare con finezza di artifici, quanto noi medesimi. Talora, invece, accade il contrario: l’eccessiva fiducia negli altri, l’ignoranza del valore relativo dei beni della vita o la fede (successivamente perduta) in qualche dogma astratto, possono indurmi ad agire con meno egoismo d quello che è insito nel mio carattere e prepararmi un pentimento d’altro genere. Il pentimento è dunque sempre una conoscenza più esatta della relazione fra l’azione e il suo fine reale…(…) Ebbene la volontà quando si manifesta nel tempo cioè nelle azioni, trova un ostacolo simile nella conoscenza, che ben di rado le offre dati precisi: in questo caso l’azione non è in pieno accordo con la volontà; di qui il pentimento. Il quale, dunque, ha sempre origine da una conoscenza rettificata, non da un cambiamento, che sarebbe impossibile,della volontà. Il rimorso di coscienza che sussegue ad una colpa, non ha niente a che fare col pentimento. È dolore prodotto dalla coscienza che acquistiamo di noi stessi, della nostra intima natura, della nostra volontà, e dipende proprio dalla certezza di avere ancora e sempre la stessa volontà….” -

"Morality in a technological world: Knowledge as Duty”, di Lorenzo  Magnani (“ Moralità in un mondo tecnologico:  Conoscenza come Dovere”, 2005, Associated International Academic Publishing Company Srl)

Come  L. Magnani credo che il l valore di un’entita possa essere ricalibrata attraverso la conoscenza. Ma come avviene questo processo? Un caso esemplificativo per L. Magnani è rappresentato dalla questione femminile:

"Forse le prime 'cose' che hanno ottenuto nuovi diritti morali nella cultura occidentale sono state le donne, un cambiamento che non è stato considerato come benvenuto da tutti.In verità, le idee diffuse in questa direzione da Mary Wollstonecraft nel suo trattato del 1792, A Vindication of the Rights of Women furono inizialmente considerate assurde. Questo tipo di conflitto ideologico è emerso ancora negli ultimi decenni quando i difensori dei diritti animali e gli eticisti ambientali hanno messo in atto un conflitto simile a quello affrontato dalle donne nel diciottesimo secolo: quello di  r e d i f i n i r e  un mezzo come fine. Per raggiungere quel traguardo, alcuni intellettuali e attivisti hanno cercato di ridefinire come varie piante,animali, ecosistemi - anche la stessa terra - possano essere valutati in modo da essere stimati come 'fini' e come agli stessi possano essere concessi i diritti e la protezione che quello status implica. Una conseguenza di questo modo di pensare è che la maggioranza degli esperimenti fatti su animali dovrebbe essere considerata un male: se certe capacità, come il ragionamento o il linguaggio, vengono considerate come le sole in grado di distinguere tra coloro che sono destinatari di considerazione morale e coloro che non lo sono , gli esperimenti dovrebbero essere permessi anche su alcuni tipi di persone,come per esempio gli infanti, i ritardati mentali, egli anziani decrepiti, per esempio.In questo caso l'utilitarismo classico è l'approccio più semplice al problema: la sensibilità, definita come la capacità di provare piacere o dolore come prerequisito per avere interessi, si rivelerebbe un buon criterio alternativo.Secondo questo punto di vista molti animali possono facilmente acquisire status morale: maiali,vitelli e polli possono guadagnare il diritto a più spazio nelle loro gabbie, e le sperimentazioni su animali e il fatto di cibarsi della loro carne possono essere visti come un dogmatismo aberrante della specie dominante (speciesism). Inoltre,che cosa dire di piante, di acqua e aria, e della terra? Gli esseri con una vita più lunga e una coscienza (esseri 'kantiani', direi) sarebbero dunque intrinsecamente più degni di valore morale degli esseri non senzienti e a vita più breve? Non necessariamente. Tutti gli esseri viventi hanno valore, ma com'è allora quel valore? Da cosa deriva? Vari tipi di conoscenza e di ragionamento possono giocare un ruolo centrale nell'assegnazione di nuovi valori agli animali: 1) gli argomenti antropocentrici, che sostengono che il maltrattamento degli animali è collegato a un possibile maltrattamento degli esseri umani (come già sottolineato da Locke) 2) le considerazioni utilitariste sulla 'sensibilità' e l'eguaglianza che ne deriva tra uomini e animali superiori 3) le nozioni ontologiche secondo cui, come creature viventi, gli animali e gli alberi hanno diritti di per sè stessi e così sono degni di rispetto a prescindere dal loro rapporto - positivo o negativo - con gli esseri umani (certamente differenti gradazioni etiche esistono ***), e 4) la consapevolezza biologica dell'interconnessione tra tutti gli organismi ed eventi nella biosfera della Terra".

(***)Il diritto dell'individuo di non essere danneggiato deve essere esteso anche agli animali, in modo tale che l'uccisione di un animale possa avvenire soltanto quando 'ben giustificata': "così i membri dell'industria baleniera, dell'industria cosmetica e dell'industria farmacologica e le reti di cacciatori-importatori-esportatori devono giustificare quello che fanno - uccidere le balene - (...) I diritti degli animali possono a volte essere sopravanzati dagli interessi umani (...) Non di meno l'onere della giustificazione deve riguardare proprio quelli che provocano tale danno in modo da mostrare che non violano i diritti degli individui coinvolti" (Regan,1998).

L’interessantissimo libro di L. Magnani (“Knowledge as duty”) descrive nel dettaglio questi e molti altri processi nel campo etico e cognitivo, sottolineando il fatto quindi che il riconoscimento di nuove entita morali è indissolubilmente legato alla conoscenza.

Conoscenza come Dovere.
 
Mi sembra che Lorenzo Magnani abbia espresso e brillantemente ampliato lo stesso concetto di A. Schopenhauer.

(si veda anche il punto 51 del Menu: L. Magnani aggiorna Kant)