255. Lutto ed Empatia

IL SENSO DEL LUTTO NEGLI ANIMALI



Barbara J.King (un’antropologa che studia cognizione ed emozione negli animali) in un articolo comparso sulle Scienze”, Edizione di settembre 2013 (qui riportato in alcune parti), riporta ulteriori prove (per chi ancora ne avesse bisogno) sul lutto nel mondo degli animali non umani, ammettendo di aver rivisto le proprie scettiche posizioni passate sul tema. All’inizio dell’articolo viene riportato un fatto osservato da Joan Gonzalvo, biologo marino del Tethys Research Institute di Milano: una femmina di tursiope (una specie di delfino) spingeva senza posa un cucciolo appena nato, come se cercasse in tutti i modi di farlo muovere, ma era inutile in quanto il piccolo era morto. Il suo corpo cominciava a corrompersi e di tanto in tanto la madre ripuliva il cadavere da pezzetti di pelle morta. Il secondo giorno fu osservato il medesimo comportamento e la femmina non mangiava normalmente. Il biologo per una forma di rispetto decise di non recuperare il corpo del piccolo: “abbiamo avuto il privilegio di essere testimoni di un chiarissimo esempio di legame tra madre e piccolo nei tursiopi”.


Barbara J. King sottolinea come cetacei, grandi scimmie, elefanti e moltissime altre specie, inclusi animali d’allevamento e quelli da compagnia, possono, a seconda delle circostanze e delle loro personalità individuali provare dolore per la morte di un parente o un amico: “il fatto che una gamma così vasta di specie – alcune delle quali imparentate con l’uomo alla lontana – possa lamentare la perdita dei propri cari suggerisce che le radici della nostra capacità di soffrire per un lutto siano davvero profonde”.


Già Darwin riteneva che dati i legami evolutivi tra l’uomo e gli altri animali molte emozioni dovessero essere simili fra le varie specie. In seguito l’attribuzione di queste emozioni agli animali perse i favori della comunità scientifica. All’inizio del XX secolo regnava il paradigma comportamentista, secondo cui era possibile studiare con rigore solo il comportamento ma non la vita interiore degli animali. Gradualmente però l’accettazione delle emozioni negli animali è riemersa nella comunità scientifica grazie ai resoconti degli studi su mammiferi dal grosso cervello. Jane Goodall riportava ad esempio nel dettaglio il declino e la morte per dolore di Flint, un giovane scimpanzé, a poche settimane dalla morte della madre. In Kenya Cynthia Moss riporta che gli elefanti si prendono cura dei compagni morenti e accarezzano le ossa dei parenti defunti. Significativo il fatto che per talune specie, gli elefanti ad esempio, si sia concluso che essi esibiscono una cosiddetta risposta generalizzata alla morte: si addolorano non solo per la perdita dei parenti stretti ma anche per la morte di individui di altre famiglie, come ha rilevato Jain Douglas-Hamilton che nel 2003 ha seguitle reazioni degli elefanti della riserva nazionale Samburu in Kenya: appena “Eleanor” ebbe un collasso, “Grace”, una matriarca di un’altra famiglia ando immediatamente in soccorso, usando le zanne per aiutarla a rimettersi in piedi. Quando Eleanor cadde di nuovo Grace rimase con lei, continuando a cercare di rialzarla per almeno un’ora. Quando la matriarca morì femmine di cinque famiglie di elefanti mostrarono acuto interesse per il suo corpo: sembravano turbate e davano spinte con la proboscide o con le zampe al cadavere oppure si dondolavano avanti e indietro accanto ad esso. Simili osservazioni anche nelle giraffe. Nel 2010 nella riserva Sosambu in Kenya una femmina diede alla luce un piccolo con un piede deforme: la madre non si allontanava da lui più di 20 metri: nei branchi di giraffe gli individui spesso sincronizzano le proprie attività per esempio pascolando insieme, ma la madre preferiva astenersene per rimanere accanto al piccolo, benché questo mettesse a rischio la sua incolumità. Quando il piccolo morì, 17 femmine, compresa la madre, guardavano fissamente, vigili e inquiete, verso una certa parte della boscaglia, là dove il piccolo era morto. Si avvicinavano al cadavere e poi si ritiravano. Per tutta la giornata successiva numerose giraffe adulte badarono al corpo del piccolo. Simili esperienze vengono riportate in relazione a gatti e anatre mulard: “Harper” non si riprese più dalla perdita dell’amico, un giorno dopo l’altro respinse l’amicizia potenziale di altre anatre preferendo rimanere nei pressi di un piccolo stagno che frequentava con Kohl. Due mesi dopo morì anche lui. Tutte queste osservazioni vengono confermate, tra gli altri, anche dall’ecologo ed etologo Marc Bekoff.

Alla fine dell’articolo vengono sinteticamente esposte le specificità umane nella elaborazione del lutto, le ritualizzazioni. La conclusione mi pare condivisibile (nonostante io riscontri ancora una volta quella disperata ricerca di unicità umana, che ogni altro animale potrebbe rivendicare per se stesso): “il nostro modo di vivere il lutto può essere unico, ma l’umana capacità di soffrirne profondamente è una cosa che condividiamo con altri animali”

 

EMPATIA

(da “Nati per Credere”, Girotto, Pievani, Vallortigara, pag. 121-122)

(…) le ricerche piu recenti hanno fugato questo dubbio documentando, ameno tra le scimmie antropomorfe, numerosi casi di comportamento realmente empatico. Uno dei più noti e commoventi è stato descritto dal primatologo Frans de Waal e riguarda Kuni, un bonobo femmina di uno zoo inglese:

Un giorno Kuni catturò uno storno. Nel timore che potesse far del male all’uccellino stordito, che sembrava illeso, il guardiano la incitò a lasciarlo andare…Kuni lo prese in mano e si arrampicò in cima all’albero più alto…A quel punto, con molta cura, ne dispiegò le ali e gliele distese completamente, reggendo un’ala per mano, prima di lanciarlo con tutta la forza di cui era capace al di là della barriera del suo recinto. Purtroppo cadde poco lontano e atterrò sulla riva del fossato dove Kuni lo sorvegliò a lungo per proteggerlo dalla curiosità di un giovane bonobo.

Casi come questo illustrano la capacità delle scimmie antropomorfe di mettere in atto comportamenti di aiuto diretto verso un individuo specifico (che nel caso di Kuni era addirittura un individuo di un’altra specie).

(…) Contrariamente a quello che diceva Ennio Flaiano degli italiani, cioè che hanno la tendenza a ‘correre in soccorso al vincitore’, gli scimpanzé tendono a consolare chi è stato sconfitto in un conflitto. Per esempio accade spesso che un individuo che non ha partecipato allo scontro tra due altri individui intervenga alla fine per rassicurare l’individuo sconfitto, mettendo un braccio sulle spalle di quest’ultimo…è chiaro però che si tratta di comportamenti volti a ridurre il disagio e la sofferenza altrui. Una ricerca di FRans de Waal e Filippo Aureli ha infatti dimostrato che i tentativi di consolazione vengono indirizzati più spesso nei casi di aggressione violenta che nei casi di aggressione lieve….fino alla vera e propria empatia cognitiva, che consiste nel valutare le ragioni delle emozioni degli altri e che consente di aiutare e consolare chi è nelle difficoltà o nel dolore. Come vedremo ora, sembrano anche possedere sentimenti di reciprocità e di giustizia (…)