363. Credere alle cazzate

"Questo genere di uso della domanda: "Che cos'è la verità?" è l'equivalente intellettuale del gettare la polvere negli occhi del vostro avversario per squagliarvela rapidamente. Quando la discussione si mette bene per noi, in genere siamo ben lieti di dire che abbiamo ottimi motivi per pensare che sia vero quello che crediamo. Solo quando le cose cominciano ad andar male ci capita improvvisamente di chiedere: "Sì, ma che cos'è la verità?!"

Abbiamo acquistato "Credere alle cazzate", di Stephen Law, Ed. Nessun Dogma e proponiamo a seguito una recensione di Marco Trainito, comparsa sul quotidiano di Gela (*)

Il progetto editoriale “Nessun Dogma. Libri per menti libere”, avviato da alcuni anni dall’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti), mira a offrire un catalogo di testi improntati a una visione laica del mondo. Accanto ad alcuni classici, come la monumentale storia dell’ateismo di Fritz Mauthner e il celebre pamphlet ateo del poeta inglese Percy B. Shelley, “Nessun Dogma” pubblica soprattutto opere recenti di studiosi di varia formazione accomunati dall’approccio razionalistico ai problemi trattati, che ruotano solitamente attorno alla filosofia della religione e al nesso tra certe credenze irrazionali tramandate dalla tradizione e l’immagine delle cose che oggi ci offre la scienza.
 
Vorrei soffermarmi qui su uno di questi libri, tradotto nel 2015 con il titolo (aderente all’originale) “Credere alle cazzate. Come non farsi risucchiare in un buco nero intellettuale”.  Pubblicato originariamente nel 2011, ne è autore Stephen Law, un affermato filosofo inglese che insegna all’Heythrop College dell’Università di Londra.  Ne parlo perché, a mio modesto avviso, in un mondo purtroppo ancora utopico, più razionale, scettico e umile, nessuno dovrebbe avere il coraggio di discutere di alcunché – per strada, al bar, sui social network, in un pubblico dibattito, a scuola, ecc. – senza prima aver letto un libro come questo. Per “Nessun dogma”, va notato, ne sono usciti almeno altri due analoghi, anch’essi pubblicati per la prima volta nel 2011, “Perché crediamo in Dio” di J. Anderson Thomson, con prefazione del celebre biologo inglese Richard Dawkins, e “Homo credens” di Michael Shermer, con prefazione del compianto scienziato cognitivo italiano Vittorio Girotto, scomparso prematuramente nel 2016 e coautore, insieme a Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara, di “Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin”, uscito per Codice Edizioni nel 2008 e considerato uno dei migliori testi divulgativi sul tema. 
 
Il libro si ispira evidentemente al fortunato “Stronzate. Un saggio filosofico” (Rizzoli 2005) di Harry G. Frankfurt, che Law cita nell’introduzione per doveroso omaggio, anche se chiarisce che su alcune cose non è d’accordo e si propone di andare oltre. Un altro punto di riferimento imprescindibile è “L’illusione di Dio” (Mondadori 2007) di Dawkins, uscito nel 2006, ormai una pietra miliare del cosiddetto “Nuovo ateismo”, citato diverse volte da Law e discusso nei dettagli soprattutto nel primo capitolo. 
Nel suo lavoro Law illustra sostanzialmente le otto strategie retoriche (una per capitolo) attraverso le quali riusciamo senza accorgercene a farci risucchiare nel buco nero intellettuale di certi sistemi di credenze che, pur non essendo necessariamente delle “cazzate” nei contenuti specifici, lo sono nel modo in cui questi ultimi vengono sostenuti e giustificati. Completano il volume la conclusione e un’interessante appendice narrativa di cui dirò in chiusura.
Quali sono, secondo Law, queste otto strategie subdole con le quali trasformiamo la nostra mente, o quella di qualcuno che magari vogliamo sottoporre a lavaggi del cervello, in una sorta di prigione da cui è quasi impossibile fuggire? Eccole nel preciso ordine in cui sono esposte nel libro.
 
1. GIOCARE LA CARTA DEL MISTERO. È una mossa classica: appena si è messi alle corde con argomentazioni che smascherano l’inconsistenza scientifica di una certa credenza, si tira fuori la carta che fa appello alle numerose questioni che sfuggono alla scienza, mettendo così al riparo la credenza irrazionale sotto il manto del mistero. Se poi si intende trionfare sull’avversario razionalista, si esibisce la ben nota citazione shakespeariana tratta dall’“Amleto”: “Ci sono più cose in terra e in cielo, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.  Questa citazione piace tantissimo, per esempio, a chi ha una  mente pretesca o comunque da aspirante guru.
2. “MA QUADRA!” E IL TROMBONE. La nostra tendenza innata a cercare conferme per le nostre credenze rende difficile capire che qualunque teoria strampalata può essere messa d’accordo con un insieme grande a piacere di fatti noti. Per essere davvero credibili sul piano scientifico, però, non basta far quadrare i conti, cioè far concordare una teoria con dei dati disponibili, ma occorre fare delle previsioni precise e rischiose, la cui smentita può seriamente compromettere la teoria (Law qui si serve esplicitamente del falsificazionismo di Karl Popper). Chi si aggrappa al “Ma quadra!” spesso ricorre anche al trucco che Law chiama “trombone”, dal nome di un antico schioppo dalla bocca svasata. Esso consiste nell’investire l’interlocutore con una scarica di problemi che sono o non pertinenti o inventati. Per esempio, chi difende il creazionismo biologico spesso chiede all’interlocutore darwinista di spiegargli come si è formata la prima molecola organica, ben sapendo che si tratta di un problema ancora insoluto per la scienza (e forse insolubile) e dando a credere che tale “mistero” porti acqua al mulino del mito biblico della creazione della vita sulla terra.
3. RICORSO AL NUCLEARE. Si tratta di un’arma retorica tanto potente quanto intellettualmente disonesta. Per troncare la discussione e mettere al riparo anche la più assurda delle credenze, basta sganciare la bomba filosofica che fa appello allo scetticismo e al relativismo. Se, infatti, si dice (con argomentazioni anche valide)  che tutte le credenze sono incerte, allora si azzera la discussione asserendo che anche le teorie scientifiche contengono un residuo di fede dogmatica in qualcosa (per esempio nella ragione). Analogamente, chi si appella al relativismo salva tutte le credenze assegnando loro una verità relativa inaccessibile ai metodi di verifica provenienti da altri sistemi concettuali. In tal modo esisteranno, per esempio, “verità di fede” e “verità di ragine” non confrontabili (e si noti la disonestà di quest’ultima mossa, soprattutto quando a ricorrervi è chi, per altri versi, sostiene che esiste una sola Verità: la sua).  La medaglia d’oro nella gara tra bombaroli la vince il fedele che conclude una discussione con l’ateo dicendo, per screditarlo: “Beh, anche l’ateismo è una fede”. 
4. SPOSTARE I PALI SEMANTICI. Una buona tecnica per difendere credenze vaghe e infondate è cambiare continuamente il significato dei termini-chiave nel corso della discussione. Un caso classico è la parola “dio”. Quando il credente di una qualche religione rivelata è in difficoltà, può sempre dire che lui non intende la parola nello stesso significato in cui la intende l’interlocutore, il quale magari cerca di rendere il discorso concreto ed empiricamente controllabile. Alla fine di questo gioco linguistico c’è l’esibizione della matta: il credente dice che ciò in cui crede è un’esperienza ineffabile, dimenticandosi di aver in precedenza snocciolato tutta una serie di tratti positivi attribuiti all’oggetto misterioso della sua credenza. 
5. “LO SO E BASTA!”. Non di rado si vede qualcuno rivendicare il diritto di avere un accesso privilegiato a certe conoscenze, cioè di essere in grado di sapere con certezza qualcosa per la quale non è in grado di fornire giustificazioni razionali. È tipico, per esempio, di chi crede nel paranormale e nelle apparizioni di certi personaggi del proprio pantheon. La cosa interessante, qui, è che di solito chi ricorre a questa mossa sa che essa, in altri contesti, è propria di chi nella migliore delle ipotesi è vittima di un’illusione. Per esempio, un cattolico è disposto a convenire che chi crede di ricevere ogni notte la visita degli dèi greci è molto probabilmente  affetto da qualche disfunzione neurologica; ma allora dovrebbe avere almeno il sospetto che dare credito alla mossa “Lo so e basta!” quando si tratta della visione, per esempio, della Madonna non sia molto ragionevole.
6. PSEUDOPROFONDITÀ. È lo stratagemma tipico di guru, santoni e filosofi oracolari. Basta costruire formule linguistiche che mescolano ovvietà e falsità palesi per creare nella mente dell’interlocutore un cortocircuito che lo spinge a sospettare la presenza di verità profondissime. Qui Law cita un esempio proposto dal filosofo americano Daniel Dennett, il quale a tal proposito parla di “deepity” (“profonditudine”): «Amore è solo una parola». È ovvio che la parola amore è solo una parola, ma è banalmente falso che il sentimento relativo sia una parola, eppure sembra che l’enunciato esprima un pensiero profondo. Analogamente, si veda su Youtube una breve intervista al famoso maestro spirituale Osho in cui costui, con la massima gravità, sentenzia che il domani non esiste e che quindi tutto è presente qui ed ora.
7. ACCUMULARE I RACCONTI. Tutti conosciamo la potente persuasività dei racconti aneddotici su certi eventi sorprendenti. Le scienze cognitive oggi studiano le ragioni strutturali ed evolutive che spiegano la  grande vulnerabilità della mente umana di fronte alla forza probatoria delle cosiddette testimonianze, cui non a caso ricorrono massicciamente imbonitori e ciarlatani di ogni risma. Da un punto di vista logico, però, nessun racconto sui fantasmi, sui rapimenti degli alieni, sui miracoli ecc. prova alcunché, eppure in molti difenderebbero fino alla morte credenze sull’anima, sugli extraterrestri e su certe divinità quasi esclusivamente basate su storie di tal fatta passate di bocca in bocca.
8. PREMERE I PULSANTI. Come ultima strategia Law prende in considerazione quelle tecniche di pressione psicologica che servono per inculcare certe credenze e che, se usate sistematicamente secondo protocolli collaudati, portano al lavaggio del cervello. Sono tecniche molto popolari presso certe sette religiose e i regimi totalitari (non a caso Law cita qui l’Orwell di “1984”) e sono accomunate dal fatto di essere del tutto insensibili alla verità, perché ciò che conta è che quello che viene inculcato venga creduto come vero. Esse sono cinque: l’isolamento del soggetto, il suo controllo, l’induzione di un senso di incertezza su tutto il resto, la ripetizione e la manipolazione emotiva.
 
Nella Conclusione di questo libro davvero brillante e accessibile a tutti, Law specifica il modello mostrando come le otto strategie si combinino variamente in un gruppo di credenze tipiche. Esse, infatti, non si presentano mai da sole, e per risultare veramente efficaci hanno bisogno, di volta in volta, di coalizzarsi. E così vediamo come l’omeopatia si serva di 1 e 7; le teorie del complotto di 1, 2 e 7; il rapimento degli alieni di 1, 5 e 7; le chiacchiere sull’auto-aiuto (come avere successo, come fare soldi, ecc.) di 2, 6 e 7; i poteri paranormali e le visite degli angeli di 1, 3, 5 e 7; le profezie di Nostradamus di 2, 6 e 7; le teorie generali di carattere politico ed economico di 2, 7 e 8; una certa teologia raffinata di 1, 3, 4, 5 e 6; la credenza dell’amica evangelica di 1, 5, 7 e 8.
Si noti, di passaggio, come la strategia 7 sia quasi onnipresente; un fatto, questo, che racconta molto sulla particolare storia evolutiva del nostro cervello chiacchierone, tendenzialmente animista e affamato di storie con agenti di ogni tipo.
 
L’Appendice letteraria, infine, è un vero pezzo di bravura. Ispirandosi a un classico della letteratura inglese, le “Lettere di Berlicche” (1942) dello scrittore C. S. Lewis, Law immagina una parodia epistolare dal titolo “Le lettere di Berlocche”. Qui, un’anziana guru chiamata Agatha Berlocche scrive sette lettere a un giovane guru, suo nipote Vermiglione, per istruirlo sul modo di irretire una giovane donna insoddisfatta di trentadue anni e trasformarla in una fanatica adepta del loro improbabile culto religioso applicando puntigliosamente e sistematicamente le tecniche di manipolazione illustrate nel testo. Nel libro di Lewis è un vecchio diavolo, Berlicche, che attraverso trentuno lettere cerca di istruire il giovane nipote, il diavolo Malacoda, sul modo di dannare un giovane essere umano, allontanandolo dal dio cristiano. E come qui l’imprevisto – la conversione del giovane “paziente” al cristianesimo – manda all’aria il piano dei diavoli, analogamente nella parodia di Law è l’imprevista apparizione di un fratello della “paziente”, uno scettico che la inizia al pensiero critico, a far fallire il progetto dei guru del culto del dio Glub.

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