40. C.S. Peirce e LA LOGICA DELL'ABDUZIONE
"quando il bambino era bambino / era l’epoca di queste domande / perché io sono io e perché non sei tu / perché sono qui e perché non sono li / quando comincia il tempo e dove finisce lo spazio… / c’è veramente il mare e gente veramente cattiva… / Quando il bambino era bambino, | su niente aveva un’opinione" (P.Handke, "Il Cielo sopra Berlino")
Ciascuno di noi è solito chiedersi quale sia lo scopo della propria vita: le risposte possono essere molteplici e solo apparentemente in contraddizione tra loro, dico apparentemente in quanto per ciascuno di noi, come per il bimbo nella poesia di P. Handke, si tratta di individuare dei significati nella realtà che ci circonda, per cui ben si potrebbe dire che lo scopo della nostra vita consiste nell’attribuzione di significati a tutto ciò che siamo in grado di percepire. L’attribuzione di un significato presuppone un metodo di ragionamento. C. S. Peirce ne individuo diversi: c’è il “metodo della tenacia”, che equivale al rifiutare tutto ciò che ci è estraneo; l’esperienza però ne dà continuamente smentita e le credenze così fissate non possono mantenersi a lungo. Il “metodo dell’autorità”, da cui nascono le grandi istituzioni storiche, laiche e religiose, in cui è compresa la stessa metafisica, con la sua pretesa di spiegare a priori la realtà. Il suo limite è il dogmatismo, sicché le credenze che ne derivano non possono mantenersi indefinitamente.
The fixation of belief:
http://www.peirce.org/writings/p107.html
L’unico metodo in accordo con la realtà è il “metodo della scienza”, per cui le credenze sono sottoposte alla verifica democratica tra diversi soggetti. Sul piano più strettamente logico abbiamo a disposizione tre strumenti: deduzione, induzione, abduzione.
Riprendendo una metafora baconiana, possiamo paragonare la prima alla tela del ragno, che ricava da sé medesimo la propria ragnatela; la seconda alle formiche che meramente accumulano e consumano; la terza all’ape, che ricava la materia prima (polline) dai fiori e poi con l’intelletto la trasforma in miele. C.S. Peirce esemplificò la differenza tra questi 3 tipi di ragionamento attraverso i noti “sillogismi del fagiolo”. In questa sede desidero concentrare l’attenzione sulla differenza tra deduzione e abduzione sulla base del seguente esempio:
Deduzione: Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo. Quindi, Socrate è mortale.
Se le premesse sono vere, la conclusione segue necessariamente. La deduzione consente di arrivare a conclusioni sempre certe. Questo ragionamento è monotonico, perché anche aggiungendo ulteriori dati, la conclusione non cambia. Ad esempio, possiamo dire che Socrate ha il naso grosso, che è basso, che è stupido, ma la conclusione “Socrate è mortale” non viene minimamente intaccata.
Abduzione: Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è mortale. Quindi, Socrate è un uomo.
Qui le cose cambiano. Dalle premesse non segue necessariamente che Socrate sia un uomo. È solo un’ipotesi. Potrebbe essere un gatto, che è altrettanto mortale. E proprio perché non c’è un legame necessario fra le due premesse e la conclusione, nuove informazioni possono modificare la nostra conclusione. Ad esempio, se aggiungo che “Socrate ha la coda” o che “Socrate va a quattro zampe”, le cose cambiano e inducono a rivedere la mia conclusione.
Questo è chiamato tecnicamente il carattere non-monotonico dei ragionamento ipotetici (abduzione). L’abduzione, secondo Peirce, è quindi l’unica forma di ragionamento suscettibile di accrescere il nostro sapere, ovvero permette di ipotizzare nuove idee, di indovinare, di prevedere. L’abduzione, come l’induzione, non contiene in sé la sua validità logica e deve essere confermata per via empirica. La conferma non potrà mai essere assoluta, bensì solo in termini di probabilità: potremo dire di avere svolto un’abduzione corretta se la regola che abbiamo scelto per spiegare il nostro risultato riceve tali e tante conferme che la probabilità che sia quella giusta equivalga ad una ragionevole certezza (se non vi sono altre regole che spiegano altrettanto bene i fatti osservati). La “verità” (uno dei grandi quesiti della filosofia) quindi si configura come un continuo processo, come la spiegazione migliore sulla base dei dati a nostra disposizione, sempre revidibile ed aggiornabile al comparirne di nuovi.
Dal Manifesto di Psòmega (Bonfantini, L’inventiva, 2006) possiamo leggere:
Spostamento significa pensiero non lineare, modalità non logico-deduttiva di procedere con il logos della semiosi e quindi logicamente. Vale la pena di insistere sul fatto che “spostamento” è proprio la traduzione in italiano volgare e corrente di “abduzione”, che è un calco latino, e che secondo etimologia vuol dire “condurre” (ducere) “lontano da” (ab), allontanamento e quindi anche spostamento.
In quest’ottica si può a mio avviso anche ben comprendere la frase di A. Einstein:
L’immaginazione è più importante della conoscenza (parallelo liberamente ripreso da un brano di M. Besozzi).
Al vertice del pensiero scientifico e di qualsiasi altro processo cognitivo sta l’ipotesi, ovvero la teoria: “l’immaginazione” nelle parole di Einstein, o “l’abduzione” nelle parole di Peirce. È questo il fatto veramente innovativo sul piano della conoscenza. L’esperimento viene concepito per verificare la teoria.
Esperimenti che portano a risultati in accordo con la teoria ne aumentano la verosimiglianza (probabilità), anche se non ne potranno mai asserire la veridicità (verità). Esperimenti che portano ad osservazioni e conseguenze che non sono spiegabili con la teoria, sono in grado di confutarla (falsificarla). Il “ricercatore” si muove sempre nello stesso modo: può trattarsi del fisico teorico che formula un’ipotesi sulla struttura della materia, del medico che formula un’ipotesi sulla malattia del paziente, del detective che formula un’ipotesi sul responsabile del delitto, dello storico o paleontologo. Si formula, appunto,un’ipotesi, e se ne deducono delle conseguenze da sottoporre a verifica (empirica). Soprattutto, non è vero che il ricercatore non abbia un pregiudizio. Anzi paradossalmente lo deve avere. Perché è proprio l’immaginazione ad innescare il ciclo del modello abduttivo, motore della conoscenza. Ed è l’accettazione “democratica” della verifica empirica che consente di accettare (provvisoriamente) o di rifiutare l’ipotesi. Generando una conoscenza mai certa, ma sempre creativa, aperta a nuove ipotesi, a nuove deduzioni, a nuove verifiche sperimentali, e per questo in grado di evolvere.
Thomas Huxley, il celebre biologo inglese della seconda metà dell’Ottocento, battezzò questo metodo di lavoro logico “profezia retrospettiva”. Si tratta infatti di indagare nel rapporto tra causa ed effetto di un fenomeno, procedendo a ritroso, cercando cioè di abdurre, da ciò che si vede, ciò che può averlo determinato. Ben si può capire l’importanza che qui acquista l’attenzione per il dettaglio: il riconoscimento preciso e intelligente e la presa in considerazione delle più piccole differenze è il vero fattore essenziale in tutte le diagnosi corrette (J. Bell).
D’altra parte, come sottolineato più volte nel campo scientifico, anche il più acuto senso di osservazione, accompagnato dalla memoria e dall’immaginazione, richiede per giungere allo scopo una mente preparata dal punto di vista culturale e pronta ad associare in modo coerente gli elementi disponibili. Sosteneva infatti Bell: Ci sono una miriade di segni eloquenti e istruttivi, ma che richiedono un occhio preparato per essere individuati. Questo significa che per una corretta abduzione in un campo specifico è ovviamente necessario disporre di conoscenze adeguate da cui attingere.
Ritengo doveroso riportare anche alcune critiche mosse al metodo abduttivo, o meglio alcuni argomenti che potrebbero farlo considerare solo un’inferenza invalida o una forma di ragionamento viziata da fallacia (si veda anche G. Tuzet al riguardo).
Abbiamo ad esempio quella che talora viene definita “obiezione dei maiali”. Tutti greci (a) sono mortali (b), tutti gli uomini (c) sono mortali, (b) dunque tutti i greci (a) sono uomini (c). Ma se (a) stesse per maiali ne conseguirebbe che tutti i maiali sono uomini, e sarebbe una conclusione falsa da due premesse vere. Uno degli argomenti a difesa consiste nel dire che il sillogismo vale se fra i suoi termini valgono certe relazioni di inclusione: infatti la classe degli uomini include quella dei greci, ma non quella dei maiali. Inoltre si dice che le forme più proprie di abduzione appartengano ad una concezione non puramente formale ma soprattutto funzionale della logica.
Una comune obiezione è poi quella della cosiddetta inaffidabilità. Esempio: si ha un’orma e delle tracce di sangue e capelli. Gianni ha un numero di scarpe corrispondenti, uguale gruppo sanguigno e uguali proprietà tricologiche. Quindi si potrebbe abdurre che egli sia stato sul posto. Ma si potrebbe facilmente dare che un altro individuo con le stesse caratteristiche sia stato sul posto. Così si dimostrerebbe che l’abduzione è un ragionamento scorretto. Nel caso concreto però non si tratta di scorrettezza del ragionamento abduttivo ma di insufficienza delle prove, vale a dire il problema non è logico ma epistemico. Sarebbe come inferire abduttivamente che tutte le mele sono rosse dopo averne valutate solo due aventi tale colore.
Vi sarebbe poi da considerare il fatto che il sillogismo abduttivo rappresenta la cosiddetta fallacia logica dell’affermazione del conseguente, in quanto la conclusione non è necessariamente vera. Tralasciando il discorso sul fatto che la probabilità della conclusione dipende dal numero dei conseguenti e dalla coerenza dei conseguenti, un’interpretazione ricorrente vede appunto nell’abduzione un’inferenza che porta non ad una spiegazione qualsiasi dei fenomeni osservati, bensì alla migliore spiegazione, cioè la migliore, provvisoriamente, rispetto ad ogni ipotesi rivale (IBE: inference to the best explanation)
(si veda anche il punto 101 del Menu)