
Agent-based logic – reasoners before reasoning
(in questa breve riflessione riprendo liberamente gli spunti offerti da alcuni saggi sull’argomento, con riferimento a Gabbay & Woods, L. Magnani, T. Bertolotti, E. Bardone)
John Woods (2005) ha messo in evidenza come la maggior parte degli esperti di logica abbia sinora focalizzato il proprio interesse sul ragionamento, tralasciando indebitamente colui che ragiona, il reasoner e il suo particolare e concreto modo di ragionare. La logica agent-based consiste nel descrivere e nell’analizzare non tanto quanto il reasoner dovrebbe fare o si pensa che faccia, ma quello che effettivamente fa di fronte ad un determinato problema o situazione. In questo approccio subentrano dunque elementi di psicologia cognitiva. Ci troviamo di fronte a
1) un reasoner x
2) risorse cognitive y
3) un target cognitivo z
Il reasoner cerca di raggiungere il target che si è prefissato attraverso le risorse che sono ragionevolmente a sua disposizione. Vale a dire, il reasoner opera in condizioni di economia cognitiva, laddove le limitazioni che incontra sono gereralmente come segue:
- - Informazioni limitate
- - Mancanza di tempo
- - capacità logiche limitate
La “performance cognitiva” dipende quindi dai tre fattori di cui sopra. In questo contesto assume rilevanza il concetto di proporzionalità, nel senso che un errore di ragionamento è davvero tale non quando viola uno standard predefinito, ma solamente in relazione ai target cognitivi del reasoner unitamente ai mezzi a sua disposizione: “something is an error of reasoning only in relation to the reasoner’s cognitive targets and the attainment-standards that they embed” (J. Woods).
Su questa base un ragionamento considerato fallace a priori può addirittura essere considerato razionale e vitale in prospettiva evolutiva. Woods parla infatti di rational survival kit e un ottimo esempio è stato riportato da Gerd Gigerenzer (2005): “si prenda in considerazione un bambino di 3 anni che dica ‘I gived’ invece di ‘I gave’. Il bambino non può sapere in anticipo quali verbi sono irregolari in quanto i verbi irregolari sono rari e la migliore scommessa del bambino è quella di supporre trattarsi di una forma regolare sino a che essa si riveli falsa. L’errore è “positivo” in quanto se il bambino non facesse tentativi e di tanto in tanto errori, ma cercasse di andare sul sicuro usando esclusivamente le parole già sentite, imparerebbe la lingua molto più lentamente”.
Woods a titolo esemplificativo riporta anche l’esempio del bambino che per la prima volta tocca, in cucina, una piastra che risulta essere bollente e decide di non toccarne più una. Una generalizzazione indebita (in base a standard predefiniti) che rapportata al target (non scottarmi piu la mano) e alle risorse a disposizione è al contrario un buon esempio di ragionamento pragmatico. Secondo Woods quindi le fallacie sono da ricondursi all’human survival kit (natura derivativa delle fallacie).
Per chiarire questo tema Woods opera una distinzione tra individual agent e institutional agent: (…) hasty generalisation is not a fallacy when committed by human individuals, but it might well be a fallacy when committed by institutional agents such as Nato, Nasa, or M15, or cultural agents such as Soviet physics in the 1960s or Silicon Valley in the 1980s. This turns out to be a vital distinction for our case, for it is a distinction driven by the fact that agency types –whether individual, institutional or cultural – are largely defined by the cognitive assets on which they ar able to draw in the discharge of their reasoning tasks”.
E. Bardone (2010) sottolinea come la generalizzazione indebita operata dal bambino non sia un errore, bensì una buona strategia di sopravvivenza, e al contempo chiede cosa accadrebbe però se anche la scienza o un’istituzione culturale procedesse con il medesimo tipo di inferenza. Sarebbe un terribile errore.
(si veda anche il punto N. 93 del Menu: Logica ed Esperienza, strettamente correlato)
(Nel primo paragrafo accennavo all’introduzione di elementi di psicologia cognitiva. Come spunto iniziale per un successivo approfondimento segnalo questo bell’elenco di bias cognitive offerto da wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_cognitive_biases )
Ad integrazione di quanto esposto riporto anche questa ottima recensione a "L'errore di Cartesio" (Antonio Damasio) tratta dal sito "Filosofi Precari".
“E’ da sempre un imperativo categorico. Separare l’emozione dal ragionamento. E così facendo, si perdono le basi stesse di ciò che chiamiamo ragionamento, ciò che lo anima, lo motiva, né da i valori, il respiro, qualche volta anche il metodo. C’è una moda culturale che ha origini antiche fra gli studiosi che si occupano del problema mente – cervello: quella di concentrarsi sul ragionamento e sulle facoltà logiche, e di considerare le emozioni come una “complicazione” piuttosto deplorevole, di nessuna reale importanza per la reale comprensione di come funzioni la mente. Se invece danno importanza alle emozioni, se sembrano considerarle nelle loro teorie, le vedono come qualcosa di separato dall’attività intellettuale, come se la nostra mente fosse l’equivalente malfunzionante di un computer (una riduzione che spiega benissimo Roberto Marchesini nel suo Post Human, qui la recensione). Questa moda culturale, secondo Antonio Damasio, è l’”errore di Cartesio”, Cartesio a cui è notoriamente attribuita la frattura moderna fra mente e corpo, fra ragione ed emozioni. Damasio è un neurologo portoghese molto eclettico che si è convinto, tramite le sue osservazioni su pazienti con danni cerebrali, che quell’astrazione che chiamiamo “ragione” e che separiamo dei sentimenti, da sola, sia insufficiente per il buon funzionamento dell’intelletto. Danni a certe aree del cervello, in particolare alla corteccia prefrontale, possono lasciare il paziente apparentemente in buona salute, ma incapace di prendere decisioni complesse. Tale paziente, per esempio, può comprendere i fattori coinvolti nella conduzione della propria attività economica, ma può tuttavia elaborare decisioni che sono palesemente disastrose. Il processo decisionale così asettico e robotico descritto da molti scrittori di fantascienza, quello che caratterizza i processi mentali di super computer o di Spock della ciurma di Star Trek è in realtà tipico di individui cerebrolesi, ma non funziona nel mondo reale. In altre parole, abbiamo bisogno dei nostri pregiudizi emotivi (bias) per prendere decisioni, e per la nostra vita. Altrimenti, “non funzioniamo”.
L’esempio più vivido degli effetti del danno cervicale prefrontale è Phineas Gage. Nel 1848, nel New England, Gage subì un infortunio passato alla storia. Mentre lavorava, un ferro schizzò in aria attraversando la parte anteriore del suo cranio e distruggendo gran parte del settore frontale del suo cervello. Sopravvissuto all’incidente, in un primo momento sembrava addirittura essere quello di prima. Tuttavia, la sua personalità era stata profondamente modificata; dall’essere un caposquadra responsabile era diventato inetto e irresponsabile, incapace di mantenere un qualsiasi lavoro per un certo periodo di tempo. Damasio descrive questo caso a lungo e discute anche di altri casi simili di cui ha avuto esperienza diretta. Fornisce i dettagli di come i suoi pazienti eseguano test mentali e di come le loro vite siano state colpite da profondi cambiamenti. Come Gage, questi pazienti erano apparentemente più o meno intellettualmente capaci, ma la loro capacità di “funzionare” come esseri umani completi era sottilmente ma profondamente compromessa. Ad esempio, uno di questi pazienti aveva un tumore al cervello che fu rimosso con successo, ma i suoi lobi frontali vennero irrimediabilmente danneggiati durante l’operazione. Anche se la sua intelligenza non fu influenzata dal trauma, tuttavia non riusciva più a portare avanti il suo lavoro. Per esempio, dovendo lavorare, si concentrava su un solo compito, insistendo per molto tempo, anche una giornata intera, su di esso, anche quando era urgente passare ad altro. Avrebbe perciò gestito attività isolate in maniera splendida, ma senza riuscire ad integrarsi in un quadro più ampio di riferimento. Perse il suo lavoro, fu coinvolto in incaute speculazioni finanziarie, e finì in bancarotta. Non era più in grado di imparare dall’esperienza e dalle decisioni disastrose che prendeva.
Quindi, cosa c’è che non va in pazienti come questi? Cosa manca? La risposta, secondo Damasio, è nei bias emozionali. Nelle persone con cervelli normali, le decisioni sono “ponderate” dalle emozioni, e questo consente loro di prendere decisioni velocemente e in base ai loro sentimenti. I pazienti con danni ai lobi prefrontali, al contrario, sono come robot. Egli illustra questo concetto splendidamente per mezzo di un aneddoto.
Un paziente con questo tipo di danno cerebrale aveva guidato verso l’ospedale su strade ghiacciate; aveva poi successivamente raccontato le sue esperienze mentali, e cioè come avesse evitato gli incidenti con calma, applicando le regole per la guida su ghiaccio, mentre altri automobilisti erano in preda al panico e in preda ai freni inutilizzabili delle loro auto. Eppure, il giorno dopo il paziente si trovò a dover decidere tra due date per un suo prossimo appuntamento col dottore, e trascorse mezz’ora ad elencare i vantaggi e gli svantaggi per ciascuna delle date proposte, fino a quando, in preda alla disperazione, fu Damasio a suggerirgliela. Dopo di che l’uomo lo ringraziò, mise da parte il suo diario e se ne andò. Questo episodio, dice Damasio, illustra i limiti della ragion pura nel prendere decisioni. E ricorda molto la storiella medievale dell’asino di Buridano, solo che è la sua vulgata in chiave neurologica.
Il famoso “penso dunque sono” di Cartesio è profondamente sbagliato. Secondo Damasio, il pensiero è un sviluppo evolutivo piuttosto tardo. Prima del pensiero c’è ora e c’è sempre stata la sensazione; siamo organismi in primo luogo dotati di impressioni e sentimenti, stati d’animo e percezioni. Sbagliano allo stesso modo coloro che considerano la mente un software incorporato in un cervello (hardware). Gli scienziati cognitivi che parlano in questo modo (Damasio pensa forse a Dennet) cadono inconsapevolmente in un nuovo tipo di dualismo. Questa critica ha importanti ripercussioni sul mondo della medicina, di cui Damasio è pienamente consapevole.
Gran parte del libro parla delle funzioni del cervello, ma Damasio centra una questione fondamentale spiegando che non è solo il cervello che dobbiamo mettere a fuoco, ma dobbiamo considerare tutto il corpo nel suo complesso. Egli usa la metafora di un paesaggio per descrivere questa idea. Le viscere (cuore, polmoni, intestino) ed i muscoli sono i componenti di questo paesaggio, e una sensazione è una visione momentanea di una parte di quel paesaggio. Questi sentimenti sono assolutamente indispensabili per le funzioni primarie e complesse di un essere umano, come per l’etica umana: “se non fosse per la possibilità di percepire gli stati del corpo che sono intrinsecamente ordinati al dolore o piacere, non ci sarebbe sofferenza o felicità, nessuna nostalgia o pietà, nessuna tragedia o gloria nella condizione umana”
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