Buon compleanno Karl Marx. Avevi ragione!
di Jason Barker
articolo pubblicato sul NY Times il 30 Aprile 2018 (traduzione di Gustavo Laflora)
SEOUL, Sud Corea - Il 5 Maggio 1818, presso la città di Treviri nel sud della Germania, nella pittoresca regione vinicola della valle della Mosella, nasceva Karl Marx. A quel tempo Treviri era dieci volte più piccola di oggi, con una popolazione di circa 12.000 persone. Secondo uno dei recenti biografi di Marx, Juergen Neffe, Treviri è una di quelle città in cui "benché non tutti conoscano tutti, molti sanno parecchio di molti".
Tale provincialità non fu da freno all'incontenibile entusiasmo intellettuale di Marx. Pochi furono i pensatori radicali delle maggiori capitali europee del suo tempo che non riuscì a conoscere o con cui non si scontrò sul piano teorico, tra cui i tedeschi suoi contemporanei Wilhelm Weitling e Bruno Bauer; il "socialista borghese" francese Pierre-Joseph Proudhon, come Marx e Friederich Engels lo avrebbero etichettato nel loro "Manifeso del Partito Comunista"; e l'anarchico russo Mikhail Bakunin.
Nel 1837 Marx rinnegò la carriera legale che il padre, egli stesso avvocato, aveva predisposto per lui, per immergersi invece nella filosofia speculativa di G.W.F. Hegel all'Univeristà di Berlino. Si potrebbe dire che da lì fu tutto in discesa. Il governo prussiano, molto conservatore, non nutriva grande simpatia per tali pensieri rivoluzionari (la filosofia Hegeliana auspicava uno stato razionale liberale), e al principio del decennio successivo la carriera di professore universitario che Marx si era scelto era già stata bloccata.
Se mai si potesse portare un caso convincente a supporto della pericolosità della filosofia, sarebbe di certo la scoperta da parte di Marx di Hegel, la cui "grottesca melodia frastagliata" trovò ripugnante da principo ma che presto lo vide danzare delirante per le strade di Berlino. Come Marx confessò al padre in un'altrettanto delirante lettera del Novebre 1837, "volevo abbracciare le persone ad ogni angolo di strada."
Con l'avvicinarsi del bicentenario della nascita di Marx, quali lezioni possiamo trarre dalla sua pericolosa e delirante eredità filosofica? Qual è di preciso il suo contributo duraturo?
Ad oggi l'eredità sembra essere ancora viva e vegeta. Dall'inizio nel nuovo millennio sono apparsi innumerevoli libri, dai lavori accademici alle popolari biografie, che sposano la lettura marxiana del capitalismo e la sua rilevanza imperitura per la nostra epoca neoliberista.
Nel 2002 il filosofo francese Alain Badiou dichiarò, ad una conferenza cui assistetti a Londra, che Marx era diventato il filosofo della classe media. Cosa voleva dire? credo intendesse che l'opinione pubblica progressista e istruita è oggi più o meno concorde nel riconoscere che la tesi marxiana fondamentale - ossia che il capitalismo si regge sulla lotta di classe divisiva in cui una minoranza e classe dominante si appropria del plusvalore creato dal lavoro della classe operaia, in forma di profitto - sia corretta. Persino economisti liberisti come Nouriel Roubini ritengono l'idea di Marx - che il capitalismo portasse in sé una intrinseca tendenza all'autodistruzione - più che mai profetica.
Ma l'unanimità finisce qui. Mentre i più concordano sulle diagnosi di Marx riguardo al capitalismo, le opinioni su come affrontarne il "disordine" sono fortemente divise. Ed è proprio qui che risiede l'originalità e la grande importanza di Marx come filosofo.
Innanzitutto siamo franchi: Marx non ha scoperto alcuna formula magica nel portare alla luce le enormi contraddizioni sociali ed economiche che il capitalismo globale comporta (secondo Oxfam l'82% della ricchezza globale prodotta nel 2017 è andata in mano al 1% più ricco della popolazione). Tuttavia quel che Marx seppe ottenere, attraverso il suo personalissimo pensiero materialista, furono gli strumenti critici per destabilizzare la pretesa ideologica del capitalismo di essere l'unica alternativa possibile.
Nel "Manifesto del Partito Comunista", Marx ed Engels scrivevano: "La borghesia ha spogliato della loro aura le attività che fino ad allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati alle sue dipendenze."
Marx era convinto che il capitalismo ne avrebbe presto fatto reliquie. Le incursioni che l'intelligenza artificiale sta facendo nella medicina diagnostica e nella chirurgia, ad esempio, sono esemplificative della tesi del "Manifesto" in cui si sostiene che la tecnologia accelererà enormemente la "divisione del lavoro", o la dequalificazione di tali professioni.
Per meglio comprendere l'influenza globale e persistente ottenuta da Marx - un'influenza probabilmente maggiore e più ampia di qualunque filosofo venuto prima o dopo di lui - possiamo iniziare con il suo rapporto con Hegel. Cos'era dei lavori di Hegel che tanto affascinava Marx? Come confidò al padre, i primi incontri con il "sistema" di Hegel, stratificato livello su livello in negazioni e contraddizioni, non lo conquistarono appieno.
Marx notò come l'idealismo di fine '700 di Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte, che tanto dominava il pensiero filosofico all'inizio del XIX secolo, desse priorità al pensiero di per sé - tanto da poter dedurre la realtà tramite il solo ragionamento intellettuale. Ma Marx rifiutò di avallare la loro realtà. In un'ironica piega hegeliana, era l'esatto contrario: era il mondo materiale a determinare tutto il pensiero. Detto con parole sue, "se prima gli dei dimoravano oltre la terra, ora ne sono diventati il centro."
L'idea che dio - o "gli dei" - abitasse tra le masse, o che fosse "in" loro, non era chiaramente nulla di nuovo in filosofia. Ma la novità di Marx consisteva nel considerare indipendente ogni deferenza idealistica - non solo verso dio ma verso qualunque autorità. Ove Hegel si limitò ad auspicare uno stato razionale liberale, Marx sarebbe passato di livello: dal momento che gli dei non erano più divini, non c'era più alcun bisogno di uno stato.
L'idea di società senza classi e senza stato avrebbe definito l'idea di comunismo di Marx e di Engels, ed ovviamente la successiva e travagliata storia degli "stati" comunisti (piuttosto ironico!) formatisi nel corso del XX secolo. C'è ancora tanto da imparare dai loro fallimenti, ma la loro rilevanza filosofica rimane a dir poco dubbia.
Il fattore chiave dell'eredità intellettuale di Marx nella nostra società del giorno d'oggi non è tanto la "filosofia" quanto la "critica", o quello che lui decrisse nel 1843 come "la critica ostinata di tutto l'esistente: ostinata sia nel non temere i risultati a cui può portare, sia nel non rifuggere il conflitto con i poteri costituiti". "I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in vari modi; il punto è cambiarlo", scrisse nel 1845.
Le oppressioni razziste e sessiste si sono aggiunte alle dinamiche dello sfruttamento di classe. Movimenti di giustizia sociale come Black Lives Matter e #MeToo hanno una sorta di tacito debito nei confronti di Marx, nel loro impenitente bersagliare le "verità eterne" della nostra epoca. Tali movimenti riconoscono, così come fece Marx, che le idee che governano ogni società sono quelle della classe dominante, e che sovvertire queste idee è fondamentale per un reale progresso rivoluzionario.
Siamo ormai abituati al mantra d'assalto che il cambiamento sociale debba necessariamente passare dal cambiamento individuale. Ma un pensiero illuminato o razionale non è sufficiente, giacché le norme del pensiero sono già distorte dalle strutture del patriarcato e dalle gerarchie sociali, per arrivare fin giù all'uso che facciamo del linguaggio. Cambiare tali norme implica cambiare le stesse fondamenta della società.
Per citare Marx, "Nessun ordine sociale si estingue fintanto che tutte le forze produttive per le quali c'è spazio all'interno di esso si siano sviluppate, e nuove e più elevate relazioni di produzione non si avranno mai prima che le condizioni materiali della loro esistenza siano maturate nel grembo della stessa vecchia società."
La transizione verso una nuova società in cui finalmente siano le relazioni tra persone piuttosto che relazioni di capitale, a determinare la dignità di un individuo, si sta rivelando probabilmente un'ardua impresa. Marx, come ho già detto, non offre una ricetta buona per tutto a sostegno del cambiamento sociale, offre però un formidabile banco di prova intellettuale per tale cambiamento. Su questa base siamo destinati a continuare a citarlo e a confrontarci con le sue idee fino a quando la società per la quale si è tanto battuto, e che un crescente numero di noi desidera, sia finalmente realizzata.
Jason Barker è professore associato di Filosofia alla Kyung Hee University, Sud Corea, e autore del romanzo “Marx returns”
https://www.nytimes.com/2018/04/30/opinion/karl-marx-at-200-influence.html
(questa traduzione è stata fatta nel tempo libero, non è professionale, e saremo grati per la segnalazione di eventuali imprecisioni)