Fenomeni di dissonanza cognitiva e tecnica del tu quoque
Di recente, quale argomento contro vegetariani, vegani e animalisti in generale, si porta avanti in alcuni ambienti il seguente argomento: “al vostro gatto o cane date da mangiare scatolette che contengono carne, quindi siete incoerenti”. Preambolo: innanzitutto va considerato come le persone che portano avanti un tale “argomento” stiano vivendo un chiaro fenomeno di dissonanza cognitiva: percepiscono come errate le proprie abitudini (scelte) alimentari e al fine di non sentirsi “sole” in questa incongruenza cercano di presentare come incoerenti anche coloro che hanno fatto scelte di tipo diverso. Oppure, peggio, stanno portando avanti un “programma” sistematico di propaganda volto a eliminare qualsiasi tipo di tensione etica sul tema (ad esempio i fanatici guru della sperimentazione animale ), nella nota tecnica del tutto fa brodo (infatti difendono anche circhi, zoo, cacciatori a ogni livello e qualsiasi tipo di asservimento o sfruttamento animale nel contesto di quello che ho spesso definito creazionismo ateo avanzato). Poi pretendono persino credibilità nel momento in cui affermano di prendere "ogni precauzione" nei laboratori, laddove ogni loro discorso mira all'azzeramento della tensione etica e alla delegittimazione di ogni istanza animalista in campi diversi. Evidentemente il topo contro bambina non basta più, in questa cornice di radicale rinnovamento dei paradigmi esistenti.
Entrando nel merito della questione:
A mio parere vale il principio di far fiorire tutte le vite entro i limiti della sopravvivenza della nostra specie. Il problema è di chi può scegliere e non lo fa. Il gatto (carnivoro, si legga il dibattito sul tema ***) mangerebbe carne comunque, anche se noi non esistessimo, per sopravvivere. Inoltre gli antispecisti non acquistano gatti o cani (come gli specisti, che anche conducono allevamenti, per le "razze" più "belle", acquistate da onnivori interessati unicamente al proprio diletto), semmai adottano cani e gatti abbandonati nei canili in una società ancora profondamente specista, ma non per molto dato il trend in atto. Nella società antispecista, sulla scia anche di Gary Francione, non ci sarebbero "animali da compagnia", perlomeno come oggi inteso. In secondo luogo non si tiene conto dei “gradi”: un determinato target (benessere degli animali non umani, estensione del diritto alla vita) si può raggiungere anche per gradi o in gradi. Il fatto che non lo si possa raggiungere immediatamente o per intero non significa doverlo abbandonare, il fatto che al momento non si possano salvare “TUTTI” gli animali, non significa doverli uccidere TUTTI, senza necessità e in dimensioni industriali, per essere coerenti. Per quanto possa essere ridicolo, tali persone effettivamente ricorrono all’ “argomento” del gatto per giustificare le proprie abitudini alimentari, percepite come non più sostenibili, nonchè ogni tipo di abuso (zoo, circhi e simili). Ritengo sensato anche un accostamento alla fallacia del nirvana in combinazione con la tecnica del livellamento al ribasso: la scelta non è tra il mondo reale ed un'utopia, ma piuttosto tra una possibilità realistica ed un'altra che è semplicemente m i g l i o r e .
Possibile anche imbattersi in pendii scivolosi (oltre che false dicotomie e appelli al ridicolo) da manuale (all'altezza sono soltanto i più incalliti omofobi del pianeta o i detrattori del testamento biologico e/o eutanasia):" se non mangerete carne finirete per non mangiare prodotti animali, se non mangerete prodotti animali finirete per mangiare solo frutti, se mangerete solo frutti finirete per mangiare solo erba se mangerete solo erba finirete per non mangiare piu nulla, per rispettare gli habitat. Se non mangerete piu nulla sarete santi ma morirete. Quindi che il mondo rimanga cosi come è, oppure ci estingueremo". "Siccome la sofferenza non potrà mai essere eliminata del tutto e neppure sarebbe bene eliminarla, per via della monotonia che ne conseguirebbe, e per via dell'inevitabile autodistruzione, smettiamo di porlo come target, dato che abbiamo dimostrato che questo target è errato".
Di fatto tale tipo di "argomentazioni" si risolve volutamente nell'accettazione e nell'apologia dell'esistente (sulla base a mio avviso anche di una fallacia naturalistica **, con gravissime implicazioni etiche che vanno ben al di là della questione animale se prese per buone): taluni affermano che non si debbano porre degli standard troppo elevati o irraggiungibili, considerando come tali, di fatto, anche quelli cristiani o kantiani (ama il prossimo tuo come te stesso, considera gli altri anche come fine e non solo come mezzo), non da ultimo operando voluta confusione tra i mezzi idonei a raggiungere tali fini (armi, dittature, inquisizione, ghigliottine, processo democratico, legittima opera di informazione e sensibilizzazione) e i principi generali stessi. L'antico precetto biblico "non uccidere" o "non rubare" lo troviamo ancora nei moderni codici penali, e nella nostra società troviamo ancora chi uccide, chi ruba, chi truffa. Abbastanza per sostenere che tali precetti costituiscano uno standard troppo elevato e quindi insensato? Quello contro cui tali individui si schierano è semplicemente il progressivo ampliamento dei diritti (si veda Norberto Bobbio sul tema specifico) e ci vorrà ben altro che qualche fanatico guru sui social network per arrestarlo.
**in definitiva questi sono gli argomenti dei guru, recuperati dal tempo della schiavitù:
http://vonmises.it/2012/09/11/dieci-ragioni-per-non-abolire-la-schiavitu/
Tornando alla “coerenza”:
Facile da raggiungere per chi se ne frega di tutti, "lui" è sempre rotondamente coerente. L 'incoerenza in un certo grado è l'inevitabile effetto collaterale di chi lotta per qualcosa che non sia il mero interesse personale. E’ facile infatti sentire accusare qualcuno che ha dato magari la vita per aiutare i poveri, di essersi comprato un giorno un brillante”
Simili considerazioni si potrebbero fare per i noti "argomenti" della zanzara, della cimice, dei batteri, spesso portati avanti in rete da troll o fake (consiglio sempre di accettare nei gruppi soltanto persone con nomi reali) che per ovvi motivi non desiderano metterci la faccia avendo però a cuore la disinformazione sul tema e la banalizzazione di esso. In questi casi amo parlare di etica al ribasso, che risulterebbe aberrante in qualsiasi altro contesto umano.
Sul dibattito in corso (il secondo è un articolo del dott. Veronesi):
(***)
"Unlike dogs and other omnivores, cats are true (so-called “obligate”) carnivores: They meet their nutritional needs by consuming other animals and have a higher protein requirement than many other mammals" :
http://www.scientificamerican.com/article/veggie-cat-food/
http://www.lastampa.it/…/la-doppia-apocalisse-c…/pagina.html
aggiornamento del 14 giugno 2014.
Il prof. Roberto Marchesini ha pubblicato questa splendida riflessione sul tema:
http://gallinaeinfabula.com/2015/06/14/il-cane-vegan-riflessioni-di-etica-liminale/
Mi capita spesso durante convegni o conferenze che mi vengano rivolti quesiti che definirei di “etica liminale” vale a dire caratterizzata dal porre problemi che assumono caratteristiche ovvero scacchi differenti a seconda del prospetto con cui li si guarda. Sono liminali proprio perché presentano contorni sfumati e tuttavia apparentemente sembrano ben definiti, come la linea che divide una frontiera o i contorni di una cellula.
Faccio subito un esempio. Per chi ha fatto la scelta di non alimentare l’industria dello sfruttamento animale è indiscutibile che per un minimo livello di coerenza si debba fare una scelta vegana. Nulla può infatti giustificare l’attenzione rispetto al benessere di alcuni animali, come i cani o i gatti, e per converso l’incentivo al maltrattamento di milioni di animali negli allevamenti.
D’altro canto chi valuta attentamente le caratteristiche zoologiche ed etologiche di un cane o di un gatto sa perfettamente che si tratta di animali inquadrati tassonomicamente come carnivori e dal profilo comportamentale profondamente impregnato di motivazioni che hanno a che fare con il comportamento venatorio. Pertanto è indubbio che coloro che ritengano che la natura vada rispettata per le sue intrinseche caratteristiche e che ogni alterazione debba essere considerata come abuso e maltrattamento, consideri il rispetto per la natura specie-specifica come l’unico modo per evitare arbitri antropocentrici.
Quando queste due prospettive collidono nel problema su come alimentare il proprio cane si viene a creare una situazione di etica liminale, dove non si tratta più di scegliere il male minore o un eventuale saldo positivo delle conseguenze, ma di operare un confronto tra due prospettiche altrettanto legittime. Chi ritiene che questo problema sia di facile soluzione propendendo per l’una o per l’altra scelta pecca di estrema faciloneria o, meglio, sta inquadrando il problema non sotto un’attenta disamina di tutti gli aspetti ma si limita a enunciare un sentimento etico. Cosa intendo per sentimento etico?
Intendo quelle valutazioni che hanno a che fare non necessariamente con dei preconcetti o delle tautologie, quanto piuttosto con altre concatenazioni valoriali che per così dire illuminano maggiormente un lato del liminale rendendo apparentemente più fondato o coerente il dirigersi verso un campo della frontiera. Addirittura possiamo trovarci casi dove il problema non viene neppure messo in discussione. Per esempio chi ha fatto della scelta vegan il proprio principio di vita sarà inevitabilmente propenso a credere che in fondo, se non si pongano problemi di carattere nutrizionale o se sia possibile correggere con aggiunte di sintesi eventuali elementi carenziali, non ci sia nulla di male o addirittura si debba perseguire la scelta vegana per il proprio cane. Chi, al contrario, ritiene che la scelta ovvero il principio di coerenza della scelta possa-debba applicarsi all’ambito individuale, un po’ come la scelta religiosa, e si debbano rispettare le prerogative singolari di ciascuno, inevitabilmente riterrà che la scelta vegan assunta lo riguardi e non possa-debba essere applicata a qualcun altro, soprattutto se questo qualcuno manifesti in modo inequivocabile prerogative singolari tutt’altro che in linea con la scelta vegan.
Pertanto quando mi viene chiesto quale sia la scelta giusta devo rispondere in tutta onestà di non sapere quale sia perché tutto dipende dalla prospettiva che si sceglie nel double face dell’etica liminale. A chi mi chiede se da un punto alimentare si possa nutrire il cane in modo vegano posso rispondere che probabilmente si può, ma non saprei dire se questa scelta sia indiscutibilmente corretta da un punto di vista etico. Io personalmente non ho mai alimentato in modo vegan i miei cani, ma non per una certezza etica quanto perché tendo a propendere per quel lato che ritiene le prerogative singolari dell’individuo prevalenti, vale a dire seguendo il mio sentimento etico.
Vorrei peraltro fare un’ulteriore valutazione. Quando si parla di coerenza in etica a mio avviso si commette una violenza all’etica stessa. Ogni scelta etica apre ferite di incoerenza in chi la compie proprio per l’orizzonte plurale di valori e controfattuali che fa emergere. Scegliere per esempio di evitare di uccidere o di far soffrire un essere vivente porta a una progressione all’infinito che disarma da qualunque tentativo di porre coerenza attraverso argini, fino al paradosso che per evitare di far soffrire qualcuno si dovrebbe porre fine alla propria vita. Ma anche in questo caso saremmo incoerenti perché faremmo del male a qualcuno, cioè a noi stessi. Ovvio che chi non si pone problemi e pensa solo al proprio benessere manifesti una coerenza cristallina: questo solo fatto dovrebbe farci riflettere sull’utopia di una coerenza in etica."