INTERVISTA A MONICA ROMANO, attivista transgender, femminista, scrittrice
1. Il tuo libro Gender (R)Evolution, uscito nel 2017, sta riscuotendo un grande successo. Infatti è un bellissimo intreccio tra storia personale, tappe fondamentali dell'attivismo transgender e teoria dedicata. Un libro importante in quanto a livello mediatico ci pare un tema scarsamente trattato. Proprio per questo ti chiederei di illustrarci innanzitutto i concetti di transessualità e transgenerità.
Intanto ti ringrazio per aver apprezzato la mia ultima fatica, Gender (R)Evolution per la casa editrice Mursia.
Veniamo ai concetti di transessualità e transgenerità.
Riporto un estratto dal mio sito web www.monicaromano.it:
Il termine transessuale fu coniato nel 1949 dal dottor David Cauldwell (1857-1959) e con la pubblicazione del libro Il fenomeno transessuale del dottor Harry Benjamin, pubblicato nel 1966, entrò nel linguaggio comune. La parola ha quindi un’origine medicalizzata.
La letteratura scientifica definisce transessuale la persona portatrice di un disagio cronico rispetto alle caratteristiche primarie e secondarie derivanti dal sesso di nascita, disagio risolvibile soltanto modificando tali caratteristiche attraverso gli strumenti che la scienza e la medicina mettono a disposizione.
Il percorso di transizione, che consiste nel cambiare le caratteristiche sessuali primarie e secondarie (attraverso terapie ormonali e interventi chirurgici) così come quelle legate al genere sociale d’appartenenza (adeguando l’abbigliamento e il comportamento alle aspettative sociali legate al genere nella società di riferimento), ha lo scopo di permettere alla persona transessuale di vivere la sua identità di genere reale, quella definita “d’elezione”.
Assumendo come punto di riferimento l’impostazione binaria dei generi culturalmente dominante, la transizione può percorrere due direzioni. Esistono pertanto persone biologicamente maschi che adeguano il corpo, l’esteriorità e l’identità sociale alla propria psiche, andando verso una femminilità fisico-estetica-genitale, internazionalmente identificate con l’acronimo MTF (Male to Female, da maschio a femmina) e persone biologicamente femmine che intraprendono un percorso in senso opposto, internazionalmente identificate come FTM (Female to Male, da femmina a maschio). Le persone MTF oggi si definiscono donne transgender, mentre le persone FTM uomini transgender.
Le persone transgender o transgenere sono individui che hanno un’identità e/o un’espressione di genere che si discosta dal sesso assegnato alla nascita.
La condizione transgender è anche chiamata transgenderismo o transgenerità.
Il termine ha un’origine medicalizzata, essendo stato coniato nel 1965 da John F. Oliven, psichiatra della Columbia University, ma divenne popolare grazie a diverse persone transessuali, transgender e cross dresser che iniziarono a farne uso, come l’attivista Virginia Prince, che nel dicembre del 1969 lo utilizzò nel numero della sua rivista Transvestia, magazine nazionale per persone cross dresser.
Dalla metà degli anni ’80, si sviluppa il concetto di comunità transgender e la parola inizia ad essere utilizzata come un termine ombrello che ricomprende sotto di sé le persone transessuali, transgender e crossdresser.
Nel 1992, l‘International Conference on Transgender Law and Employement Policy definisce la parola “expansive umbrella term”, quindi un termine includente tutte le forme di non conformità di genere.
Nello stesso anno, nel pamphlet “Transgender Liberation: A Movement Whose Time has Come”, anche l’attivista Leslie Feinberg identifica transgender come la parola che raccoglie sotto di sé tutte le forme di non conformità di genere.
Il termine ha quindi un significato originariamente politico.
La cantante e scrittrice transgender Helena Velena fu tra le prime a portare la parola in Italia, con la pubblicazione del saggio Dal cybersex al transgender: tecnologie, identità e politiche di liberazione edito da Castelvecchi nel 1998.
“Il transgender si basa quindi sull’idea che la totalità dell’esistente non sia ascrivibile a una logica binaria, contrapponendosi a quelle teorie di mantenimento dello status sociale, che vorrebbero invece una semplificazione del livello intepretativo che veda solamente i concetti dualistici, come positivo/negativo, giusto/sbagliato, buono/cattivo, bianco/nero e, appunto, maschio/femmina e uomo/donna.”
(Helena Velena, Manifesto del transgender, 1994).
Il termine indica quindi un movimento politico e culturale che contesta e decostruisce la visione eterosessista e duale (o binaria) dei generi, secondo la quale le identità di genere nell’essere umano sarebbero soltanto due, sarebbero immutabili e scaturirebbero del sesso genetico degli individui.
Vladimir Luxuria, divenendo la prima parlamentare transgender in Europa nel 2006, ha infine reso il termine popolare e mediaticamente utilizzato anche in Italia.
l movimento transgender mondiale sta gradualmente abbandonando il termine transessuale in favore di transgender.
Questa scelta ha diverse motivazioni:
· - la maggiore inclusività e rappresentatività della parola.
Se il termine transessuale porta semanticamente con sé il concetto di sesso biologico e la visione duale (o binaria) dei generi, indicando il passaggio da un sesso all’altro e risulta legato all’esperienza di medicalizzazione dei corpi iniziata nel secolo scorso, la parola transgender riporta l’attenzione sul genere, divenendo nel tempo un termine ombrello che ha raccolto sotto di sé esperienze anche molto differenti. Molte persone trans, ad esempio, rifiutano di sottoporsi ad interventi agli organi genitali, altre rigettano in toto terapie ormonali e interventi chirurgici, mettendo in atto una transizione solo “sociale”. Transgender definisce quindi non soltanto le persone trans che intraprendono un iter di transizione medicalizzato e legalmente riconosciuto (MTF ed FTM) ma, più in generale, tutte quelle persone che non si riconoscono nella visione duale dei generi, chiamate di genere non conforme.
· - il rifiuto dell’inquadramento della condizione trans nella patologia, in particolare dal punto di vista psichiatrico, e la conseguente scelta di un termine veicolato e reso popolare dal movimento transgender e non dalla classe medica.
2. Il tuo vissuto di donna transgender ti ha portata automaticamente all'attivismo, è stato un percorso parallelo? (*)
Il privato e il politico si sono intrecciati fin dal principio per me. Erano gli anni '90 e Internet non era ancora lo strumento di massa che connotava e definiva ogni esperienza. Soltanto i luoghi fisici e il confronto vis à vis con persone che vivevano la mia stessa condizione ebbero il potere di restituirmi il senso e la prospettiva di un'identità collettiva e rivoluzionaria, come ho raccontato in Gender (R)Evolution.
Sono nata, personalmente e politicamente, nel movimento transessuale, nell'allora Arcitrans di Deborah Lambillotte. Altre parole, altre linguaggi, altre visioni, altre esperienze rispetto ad oggi. Sedermi in cerchio con altre donne trans e confrontarmi con loro mi costrinse a partire da me e a cambiare radicalmente la mia vita e il mio sguardo sulle cose.
"Un inconcepibile, spericolato, tragico e al tempo stesso ironico salto nel buio".
Così allora definivamo, senza mai fare l'errore di prenderlo (e di prenderci) troppo sul serio, quello che poi sarebbe stato definito in ambito medico e accademico "iter di riattribuzione di genere”.
Quell'esperienza ebbe un sapore e un senso che oggi fatico a rintracciare nella nuova generazione e nel suo modo di vivere e di concepire i percorsi di transizione e di autodeterminazione. C’è troppa voglia di normalizzarsi e di scomparire in un rassicurante anonimato, sicuramente alimentata dalla rappresentazione pietistica della condizione transgender veicolata dai media mainstream.
Se da una parte trovo giusto che ogni generazione costruisca i propri percorsi e i propri linguaggi (pensiamo anche a quelle che hanno preceduto la mia, conquistando i diritti fondamentali e dando l’avvio al movimento trans) dall'altra ritengo che prima di rottamare le precedenti esperienze bene sarebbe averle conosciute, cosa che purtroppo non accade. La colpa non è dei più giovani ma delle istituzioni che non sostengono le comunità e i movimenti nella costruzione di una memoria storica attraverso l'istituzione di archivi. Così, per costruirti un sé, ti restano soltanto i programmi condotti da Sabrina Ferilli e proposti in prima serata che ti insegnano che esser trans è anzitutto una cosa che deve farci tanto piangere…
Conservo gelosamente la mia esperienza di transizione di genere (ma più di tutto umana e politica) nella memoria e la rivendico nella sua interezza. C’è stato il dolore causato da una società al tempo ancora molto transfobica, certo. Ma, nel giro di un paio d'ore di gruppo di autocoscienza, ci si poteva ritrovare a piangere di disperazione o a ridere fino alle lacrime nel raccontarsi le une alle altre, in quel nostro cerchio, narrando un’esperienza in qualche modo più vera e autentica perché meno mediata e di cui eravamo più padrone.
Oggi mi ritengo una privilegiata perché a nemmeno vent'anni ho avuto la possibilità di capire cosa significasse la parola "lotta" e quanto essere parte di un "noi" – non essendo più un "io" sperduto in qualche struttura ospedaliera in balìa di presunti esperti della psiche e dell'animo umano - potesse fare un'enorme differenza. Dove si lottava? Nella vita di tutti i giorni. Dal panettiere, al supermercato, alla cabina elettorale, ai colloqui di lavoro, al parco quando il gruppo di teppistelli decideva di inseguirci e prenderci a sassate...
Nella lotta definivamo noi stesse, connotavamo il nostro essere nella società e rivendicavamo il nostro diritto di cittadinanza.
3. Quali sono le tappe storiche fondamentali dell'attivismo transgender e quali sono i più grossi problemi che riscontri ancora in un paese come l'Italia sia a livello legislativo che culturale?
Il movimento transessuale in Italia viene fatto nascere convenzionalmente nel 1979 a Milano con la "protesta delle piscine". Alcune coraggiose donne trans, capitanate dalla leader Pina Bonanno, decisero di presentarsi in piscina con i seni scoperti per denunciare uno Stato che non le riconosceva come donne. Grazie all'aiuto del Partito Radicale e di una importante campagna mediatica di sensibilizzazione, seguì l'approvazione della legge 164 nel 1982 (con l'astensione della DC), che ancora oggi norma i percorsi di riattribuzione di genere e che fu una grande conquista per l'epoca.
Quella legge introdusse una vera e propria rivoluzione copernicana, perché allora le donne trans conquistarono il diritto ad essere considerate, a tutti gli effetti di legge, donne.
Oggi, anche in Italia, esistono forze che vorrebbero toglierci questo diritto: mi riferisco soprattutto ad alcune e minoritarie esponenti del femminismo radicale, sostenute da un certo attivismo (e fondamentalismo) cattolico, che vorrebbero riportarci indietro di 35 anni.
Considerando l'attuale panorama politico e di governo leghista e pentastellato, più che su un nuovo corpus di leggi, mi concentrerei sulla difesa di quel che abbiamo, tanto sul fronte politico quanto su quello culturale.
Come donna transgender penso che si possa subire una doppia oppressione, il "normale" maschilismo subito dalle donne cisgender piú discriminazioni legate alla rottura di schemi dati come immutabili.
Nel mio caso l'oppressione è stata (anche) tripla.
Come donna, come donna transgender e come lesbica, quando in passato ho avuto delle compagne.
Ancora oggi, una donna transgender che non vive in funzione del piacere maschile e che non si vota al fallocentrismo scontenta tutti perché sovverte gli stereotipi.
4. Da un punto di vista teorico quali sono le figure che più ti hanno influenzata?
Mario Mieli, Angela Davis, Carla Lonzi, Martine Rothblatt, Leslie Feinberg, Michel Foucault.
5. Nel tuo libro ho trovato una importante citazione di Mario Mieli vertente sulla cosiddetta questione delle "etichette". Potresti entrare nel dettaglio?
Mieli sosteneva che soltanto quando finiranno le discriminazioni potremo lasciare andare le etichette. Credo che, fintanto che le discriminazioni perdureranno, le definizioni ci occorreranno come l'aria che respiriamo.
Riporto qui un estratto dalla mia postfazione per il libro "I libri delle donne" di Vera Navarrìa dedicato alla questione:
"Decostruiamo e analizziamo tutta l'insopportabile retorica dei “ghetti”, animata non appena un gruppo sociale cerca di organizzare spazi protetti e riservati, e capiremo che tutto ciò che permette di mettere dei confini, di discriminare, dividere, definire, articolare un discorso che connoti un “Noi e Voi”, è ormai rappresentato come un male.
Noi non ci posiamo permettere di accettare acriticamente e aprioristicamente tale pretesa di assolutezza perché - come Hannah Arendt ci ha insegnato - Verità e Politica sono concetti che si autoescludono. La politica è il luogo labile, cangiante e contingente del cambiamento e delle opinioni, lo spazio di continua elaborazione di visioni della realtà sempre differenti, è azione, è cambiamento, è opinione e contingenza, è Movimento.
Certo, ci verrà obiettato e ripetuto, anche in modo ossessivo, che «siamo tutti persone», e questo accadrà ogni volta che tenteremo di prendere o riprendere la parola. E allora ci dovremo chiedere chi quella frase la sta pronunciando, facendone il nostro esercizio di pensiero per arrivare a scoprire, ogni volta e con sgomento, che chi rivendica l'assenza di confini e distinguo sta quasi sempre dalla parte dello steccato che gode di maggiori privilegi sociali.
È insomma la parte più ricca, bianca, maschile, borghese, eterosessuale, cisgender che rivendica l'assenza di definizioni e di “ghetti”. La lente attraverso cui vediamo, calata davanti ai nostri occhi come il velo di Maya, è, evidentemente, quella utilizzata da un discorso di maggioranza che teme l'elaborazione di subculture che sarebbero alternative, se non in netto contrasto, con la sua narrazione. I nostri ghetti e le nostre nicchie fieramente si connoteranno come oasi di libero pensiero."
6. Sei femminista? e come giudichi il particolare momento che come donne stiamo vivendo in Italia?
Rispetto all'Italia di oggi, credo sia urgente far passare l'idea che la causa dei femminicidi sia da ricercarsi in quella cultura sessista e maschilista che da sempre connota l'immaginario del nostro paese.
Sono fieramente femminista. Per meglio chiarire il mio posizionamento a livello teorico, riporto qui un estratto dalla mia postfazione per il libro "I libri delle donne" di Vera Navarrìa:
Se è importante riconoscere che il pensiero della differenza ci ha donato strumenti essenziali per la nostra «boîte à outils» che custodiamo gelosamente, lo è almeno altrettanto riconoscere il limite di un pensiero eccessivamente focalizzato sulle differenze biologiche fra maschi e femmine. Se è certo che oggi ancora amiamo e dobbiamo - per ritrovare noi stesse e non perderci nella logica dell'integrazione/assimilazione alla cultura patriarcale - rievocare Carla Lonzi che, dando espressione al suo genio teoretico, bella e fiera, scriveva che“l'importante con gli uomini è di uscire dal ruolo di aspiranti ai loro valori, di uscirne davvero. Infatti se hai conquistato un tuo valore da contrapporre a quel mondo, se hai pagato per conquistartelo, allora tutto cambia. L'uomo lo sa. Non è la priva volta che succede nella storia... Da questo mio centro non mi muoverà più nessuno.”, è altrettanto importante preservare e recuperare l'attenzione al contesto sociale e alla sua forza nel fare della biologia un destino tipica del femminismo dell'uguaglianza.
Se è vero che le differenze biologiche tra maschi e femmine non possono essere condannate all'irrilevanza nel discorso, è altrettanto vero il patriarcato è un costrutto sociale e culturale di significati e regole condivise che va ben oltre i sessi, e che quella delle aspettative di genere è una gabbia per tutti, femmine e maschi. Solo evidenziando l'universalità e la trasversalità dell'oppressione, estendendone a tutti la cognizione, potremo decostruire e finalmente abbattere il patriarcato pubblico.
7. Altri progetti editoriali in corso?
Ho appena finito di scrivere un contributo per un libro che racconterà la storia del movimento LGBT milanese in occasione del cinquantenario dei moti di Stonewall e ora mi dedicherò alla scrittura di un romanzo a tematica femminista.