Talora in filosofia morale ma anche altri ambienti meno “raffinati” si viene confrontati con gli esempi limite (si veda il dilemma etico del carrello ferroviario, o del male minore).
Per molto tempo mi sono posta il quesito: cosa deciderei? cosa farei? All’improvviso la non risposta ha bussato alla mia porta … in quanto non sempre è possibile rispondere, soprattutto qualora il quesito risulti mal formulato nel senso di ipersemplificare: infatti non sempre è possibile prevedere la molteplicità dei fattori che realmente faranno scaturire una data situazione, che la connoteranno, condizionando i comportamenti, ed in questi casi è legittimo non rispondere. Soprattutto quando i quesiti, negli ambienti meno “raffinati”, costituiscono un tranello.
Esempio: se qualcuno ci chiedesse " ammazzo tuo padre o tua madre? se non rispondi ammazzo tutti e due" cosa risponderemmo a tavolino? A seconda della risposta potremmo essere tacciati di maschilismo o femminismo degenere o simili. Semplicemente non è possibile e non è sensato rispondere: in situazioni alquanto irrealistiche come queste potrebbero intervenire talmente tanti fattori, in astratto non prevedibili, che qualsiasi risposta risulterebbe assurda e destinata alla strumentalizzazione. Legittimo quindi non rispondere, rinviando alla non sensatezza del quesito, alla ipersemplificazione e/o banalizzazione di una situazione.
Sul gruppo FB agganciato a questo sito vi sono state riflessioni di estremo interesse che desidero qui riportare:
Rosario Gianino: “Silvia , non è per niente banale la questione che poni: un dilemma etico che non corrisponde ad una situazione reale ma ad un esperimento mentale che serve a mettere alla prova teorica l'universalità incondizionata di certe massime, se ho ben capito. Per esempio si possono escogitare situazioni astratte, in cui non vengono precisati tutti i fattori in gioco, e in cui si sarebbe costretti a scegliere tra due possibilità entrambe moralmente deplorevoli o indesiderabili. Si deve considerare una situazione astratta una vera prova per le nostre convinzioni etiche o ci si può rifiutare di partecipare al giogo del dilemma non ritenendo "realistico" il dilemma stesso ? Posso non ritenere realistico il dilemma perché lascia indeterminato molti fattori che riguardano direttamente l 'agenzia che sceglierebbe, il sé stesso che in quella situazione limite deciderebbe. Ora mi viene da risponderti in questo modo: chi si rifiuta di determinare il dilemma perché non lo ritiene "realistico " sta esercitando una legittima presa di posizione rispetto ad un sistema etico della libertà esistenziale che rinvia le preferenze o le scale di valore sempre a scelte e decisioni nel tempo, come ricordava Fabio. Chi invece volesse giocare al dilemma, crede di poter delucidare preferenze e scale di valori in rapporto a principi e a calcoli morali che possono essere definiti indipendentemente da una agenzia individuale. In questo caso però dovrebbe essergli consentito di variare l'esempio e modificarlo. Se mi si chiede cosa sacrificherei tra due valori altrettanto importanti oppure cosa farei se dovessi sacrificare inevitabilmente il valore principale della mia etica, e volessi rispondere potrei sempre chiedere di precisare e determinare meglio la natura di questa costrizione. Il fatto è che molte etiche si basano sulla libertà di porre un incondizionato, per cui salta la possibilità del calcolo. Se una etica dice "non uccidere" come valore supremo io dovrei , se sono libero, trovarmi sempre nella possibilità di obbedire a tale comando. Il dilemma etico togliendomi la libertà riduce il senso dell 'agenzia etica per puntare sulle situazioni in cui si sarebbe impossibilitati ad agire eticamente da una costrizione esterna . Bisogna allora specificare la natura di tale costrizione. Se per esempio l'agenzia etica viene neutralizzata da una qualche forza esterna irresistibile per cui non può sfuggire al dilemma, e in ogni caso dovrà soggiacere al suo assurdo etico, si può ancora considerare l'azione eticamente riprovevole anche una azione eticamente imputabile ? Per esempio se uccido sotto effetto di una costrizione psicotica violenta ?”
Fabio Elemento: “Sono d’accordo, il dilemma etico, nella misura in cui astrae dalle condizioni reali di esistenza e dalla molteplicità delle contingenze, ha senso in un intermundia logico-formale, un universo parallelo che è totalmente sganciato dalla materialità del reale dove per materialità intendo appunto caso, contingenza, situazione concreta, natura umana, vizi, bisogni. D’altro canto certi esperimenti mentali sono uno stimolo alla riflessione e possono aprire significativi filoni di pensiero. Tra l’altro è in genere avulso dalla categoria della temporalità (non da quella della spazialità). E ciò che è senza tempo non è soggetto ad alcuna decisione, neanche ex hypotesis, visto che la decisione avviene sempre in un momento x che è preceduto da un momento y e seguito da un momento z, ognuno dei quali porta con sé tutta una serie di significati.”
Un mio contatto in separata sede si è visto confrontato con il seguente quesito:
“Degli ambientalisti mi chiedono, forse pensando di rassicurarmi, essendo in corso di studio l'alimentazione a base di insetti, se sarei disposto a barattare il sacrificio di questi volatili in cambio di maiali, vitelli, conigli e galline. Da antispecista dico no? Non posso cadere in un tranello”
Ne è parimenti seguita una discussione molto interessante, laddove particolarmente significativa è stata la riflessione di Maria Giovanna Devetag:
“Risponderei che l'antispecismo (almeno il mio) non si interessa minimamente delle scelte del singolo in situazioni "eccezionali", che sono poi le tipiche situazioni ipotetiche di cui vanno pazzi i filosofi morali, e che a me personalmente interessano poco. Come antispecista, mi pongo il problema, in primis, dello sfruttamento sistematico, massivo, industrializzato, globale, del vivente messo in atto dalla contemporanea società occidentale (che include ormai tutto il mondo tecnologicamente avanzato). In secundis, temporalmente parlando, mi occuperò dello sfruttamento animale da parte di società non industrializzate che si basino su di un'economia di sussistenza. Il singolo facesse un po' come la sua coscienza gli consiglia. Ci sono miriadi di situazioni ipotetiche immaginabili che creano dilemmi morali irrisolvibili ("salveresti tuo padre o tua madre?") Personalmente, se ne avessi la possibilità, interverrei sia per salvare l'umano sia per salvare la gazzella, sulla base di un'immediata immedesimazione con la vittima, la sua paura di morire, la sua sofferenza. Ma non ergerei questa mia scelta personale a dettato morale assoluto.”