323. Superamento dell'utilitarismo


Reputiamo  di fondamentale importanza il contenuto di questo estratto da un saggio di Amartya Sen “La libertà individuale come impegno sociale”. Ci si trova spesso confrontati con questo tema senza riuscire a dare risposte soddisfacenti. Amartya Sen  parte qui dalla critica dell’utilitarismo, pur non negandone del tutto taluni risvolti storici positivi.

“…La tradizione utilitarista sottolinea non tanto la libertà di raggiungere risultati, quanto piuttosto i risultati conseguiti. Inoltre, essa valuta questi risultati in termini di condizione soggettiva, quale il piacere o il desiderio (“utilità”) …Un diverso tipo di difficoltà riguarda le distorsioni che si generano quando le condizioni soggettive del piacere e del desiderio si adeguano a situazioni di persistente diseguaglianza. Intendo dire che in circostanze di diseguaglianza e iniquità di vecchia data, i diseredati possono essere indotti a considerare il proprio destino come praticamente inevitabile, da sopportarsi con rassegnazione.

Essi imparano ad adattare di conseguenza desideri e piaceri, perché non ha molto senso  continuare a struggersi per quanto non sembra loro realizzabile e le cui prospettive essi non hanno mai avuto motivo di considerare attentamente. Il calcolo utilitaristico è in realtà profondamente distorto nel caso di coloro che, essendo cronicamente in condizione di privazione, non hanno l’ardire di desiderare di più di quanto già non posseggono e gioiscono per quanto possono dei propri piccoli sollievi, perché le privazioni appaiono loro meno acute usando il distorto paramentro dei piaceri e dei desideri.

La misura dell’utilità può isolare l’etica sociale dalla valutazione dell’intensità della privazione del lavoratore precario, del disoccupato cronico, del coolie sovraccarico di lavoro o della moglie completamente succube, i quali hanno imparato a tenere sotto controllo i propri desideri e a trarre il massimo piacere da gratificazioni minime …Consentitemi di illustrare questo punto facendo riferimento a due dei maggiori insuccessi sociali del mio paese, l’India.  Il primo concerne la disuguaglianza dei sessi …è stato sottolineato come le donne dell’India rurale non provino invidia per la posizione dell’uomo…e non ambiscano a un cambiamento …La vera questione riguarda l’interpretazione e la significatività di questa osservazione empirica. In un senso oggettivo le donne nell’India rurale sono veramente meno libere degli uomini per molti versi, e non vi è nulla nella storia del mondo che stia ad indicare che le donne non apprezzerebbero una maggiore libertà se effettivamente giungessero ad averla (invece di considerarla come impossibile o innaturale). L’assenza di scontenti o di spontanei desideri di mutamento radicale non può eliminare la rilevanza morale di questa diseguaglianza se la libertà individuale – compresa la libertà di valutare la situazione del singolo e la possibilità di cambiarla – viene accettata come un valore fondamentale.

Dunque, mentre i difensori dello status quo trovano conforto a sostegno delle loro tesi in almeno alcune versioni dell’utilitarismo, questa difesa non può essere mantenuta se la libertà individuale diviene veramente un impegno sociale. Poiché sfruttamento e diseguaglianza persistenti spesso prosperano creandosi alleati passivi proprio in coloro che vengono bistrattati e sfruttati, la discrepanza tra argomentazioni basate sull’utilità ed argomentazioni basate sulla libertà può essere netta e ricca di conseguenze. Il secondo esempio riguarda l’analfabetismo …un’argomentazione che viene spesso avanzata è che l’analfabeta indiano non è particolarmente scontento del proprio stato e l’istruzione non rappresenta uno dei desideri più intensi dell’indiano che di essa è privato…ma l’analfabetismo rappresenta una mancanza di libertà, non solo una mancanza della libertà di leggere ma anche una riduzione di tutte le altre libertà che dipendono dalle forme di comunicazione in cui è necessario il possesso delle capacità di leggere e scrivere.

Qui, di nuovo, un’etica sociale che faccia perno sulla libertà ci porta in una direzione piuttosto differente rispetto a quella indicata da calcoli sociali basati sui piaceri o sui desideri.