di Marco Maurizi
da “Al di là della natura”, Ed. NovaLogos, pag. 38 -40
La fallacia dell’antispecismo metafisico / Antispecismo metafisico e storico
L’antispecismo metafisico non fa che: a. guardare la storia dell’umanità dal punto di vista del dominio sugli animali; b. trasformare questo concetto in una realtà oggettiva posta al di sopra della storia e delle diverse società umane finora esistite; quindi, c. porre questo fantasma (“Lo Specismo”) coem causa di tutte le violenze perpetrate sugli animali finora. In realtà, lo specismo – la convinzione propria del genere umano di essere qualcosa di altro e superiore agli altri animali e di poterne disporre a proprio piacimento – non è causa di niente ed è, semmai, effetto di qualcosa che gli antispecisti metafisici devono ancora spiegarci (…). L’uomo non è affatto in sé un animale dominante. La sua evidente debolezza fisica rispetto agli altri animali dice, anzi, palesemente il contrario. L’uomo diviene animale dominante, e lo diviene solo come essere collettivo, sociale e non come ‘specie’.
Perché l’antispecismo deve essere storico: in che modo la coscienza specista giustifica (ma non produce) diversi comportamenti specisti (allevare una certa specie di animali a scopo alimentare, usarne un’altra per il vestiario, sacrificarne un’altra ancora per esigenze rituali-religiose ecc.) è una questione che non può essere posta in generale ma riguarda la storia dell’uomo e solo qui può trovare una spiegazione vera. Invece la ‘breve storia dello specismo’ abbozzata da Singer in Animal Liberation non è una storia reale, (cioè di individui che vivono in società concrete, con bisogni specifici ecc) , ma una storia di ‘idee’. Singer cita alcuni pensatori che durante la storia hanno proposto questa o quella concezione dell’animale, come se la storia reale fosse fatta dai filosofi. Invece le teorie dei filosofi non fanno che rispecchiare un tipo di esistenza sociale (Aristotele, ad es., giustificava la schiavitù perché la società greca del suo tempo non poteva esistere senza schiavitù ecc.). E’ a partire dal modo in cui è organizzata la società umana che si deve spiegare l’origine dello specismo e non il contrario.
Perché l’antispecismo non è relativista: comprendere come le varie società umane e le diverse epoche hanno giustificato l’uso degli animali non significa dire che esistono tanti ‘specismi’ quante società ed epoche si sono avvicendate nella storia (e quindi relativizzarne il contenuto) ma al contrario trovare l’origine comune di essi nel modo in cui funziona la società umana reale.
L’antispecismo metafisico non riesce a comprendere il razzismo e sessismo (…) L’antispecismo storico spiega il razzismo e il sesismo: alla base dello specismo , del sessismo e del razzismo è il sorgere in seno alla coscienza umana della contrapposizione tra spirito e natura. Questa separazione dalla natura e la nascita dell’illusione di una realtà spirituale superiore alla natura sono alla base dello specismo, del sessismo e del razzismo. Di volta in volta l’uomo considera sé come rappresentante dello spirito e proietta sull’altro l’inferiorità della natura non –spirituale (gli animali, la donna, le altre ‘razze’). Il dominio sulla natura è sempre giustificato in nome dello spirito. Ma esso è fondato sul dominio all’interno della società, sulla gerarchia sociale (dunque sulla violenza dell’uomo sull’uomo) (…) Tutta la cultura umana è costruita sulla sofferenza dell’uomo, oltre che su quella degli animali (…) Ciò significa che mentre per me lo specismo include il dominio dell’uomo sull’animale-uomo, per l’antispecismo metafisico lo specismo indica solo la lotta dell’uomo contro il restante mondo animale, come se l’uomo non avesse dovuto anche addomesticare sé per poter addomesticare gli animali.