218. Eufemismo

"E' ora di finirla con l'eufemismo 'eve-teasing'"
di Ranjani Iyer Mohanty

(traduzione di Felicita Quagliozzi)

L’uso continuo dell’eufemismo “eve-teasing” negli articoli dei media indiani che trattano casi di violenza sessuale deve finire.
“Eufemismo” è un termine di origine greca, e ha a che vedere con l’uso di parole ‘buone’ al fine prevenire la cattiva sorte. Definisce una situazione sgradevole con un termine più gradevole. Ne facciamo uso tutti, per vari motivi: rendere qualcosa più accettabile a livello sociale; suonare più sofisticati o aggiornati; nascondere agli altri, o persino a noi stessi, quant’è grave una data verità o evento.


Nell’espressione indiana “eve-teasing,” la parte “eve” allude alla narrazione biblica in cui Eva tentatrice fa deviare Adamo dalla retta via. Mentre l’Oxford English Dictionary definisce “teasing” come “provocare sessualmente qualcuno senza avere l’intenzione di soddisfare poi il desiderio che si è suscitato.” Entrambe le parti dell’espressione attribuiscono dunque alla donna la colpa dell’accaduto: è lei la tentatrice, che per di più non concede ciò che aveva promesso. Ne consegue che l’uomo è pienamente legittimato a prenderselo con la forza o, come minimo, che le sue azioni e reazioni sono del tutto comprensibili.

E se i media indiani stemperano la gravità delle molestie sessuali usando un eufemismo, il cinema popolare indiano addirittura le incoraggia. Nei film di Bollywood il sesso viene descritto in modo eufemistico. La coppia si bacia dietro un albero; piedi intrecciati indicano l’atto sessuale; uno stupro si intuisce vedendo uno stormo di uccelli selvatici la cui pace viene turbata e s’alza in volo con grida roche. Le donne vengono ritratte come adescatrici. E’ comune vedere, nei film di Bollywood e Tollywood, scene di danza in cui ragazze in abiti succinti - che nella vita reale sarebbero considerati del tutto inappropriati - sventolano i seni e agitano i fianchi porgendoli allo sguardo di baldi giovanotti. Non manca praticamente mai una canzone in cui il ragazzo strappa via la dupatta (sciarpa copricapo) alla ragazza, e lei finge di arrabbiarsi mentre segretamente apprezza l’attenzione ricevuta.

Peggio ancora è dipingere immancabilmente la vittima di stupro come devastata, isolata, in disgrazia e senza speranza. Se vuole evitare che sulla sua famiglia ricada ulteriore vergogna, ha soltanto due possibilità: o sposa chi l’ha violentata oppure si ammazza.

Gli eufemismi evolvono, si sa – potremmo arrivare a chiamare le baraccopoli “habitat alternativi” o i poveri “persone economicamente deprivate.” Il comico George Carlin suggerì che un giorno potremmo arrivare a sentir definire una vittima di stupro come “ricettore spermatico non consenziente.” Era ovviamente una battuta, ma “eve-teasing” in India viene inteso in tutta serietà.

Laddove gli eufemismi possono essere accettabili in alcune situazioni, in conversazioni private o rappresentazioni artistiche, il loro uso nel trattare un argomento serio in ambito di opinione pubblica diventa controproducente e distruttivo, se l’obiettivo è cambiare lo stato delle cose. Usare un eufemismo ci induce a credere di star discutendo un argomento concettuale, igienizzato, ipotetico, anziché qualcosa di viscerale, sporco, immediato. Ma a volte è necessario togliere nastrini e fiocchetti e guardare dritto negli occhi la bestia brutta e puzzolente.

In uno studio dal titolo “Intellectual Fashion in India”, Asma Riswan, professoressa del People’s Group di Bhopal, descrive gli eufemismi “disonestà linguistiche.” In India, ciò che viene chiamato “ragging” non è altro che grave bullismo nei confronti delle matricole di college, mentre quelle che teneramente definiamo “Vedove di Vrindavan” sono migliaia di donne anziane che, dopo la morte dei mariti, sono state abbandonate dalle famiglie e sopravvivono chiedendo l’elemosina per le strade di Vrindavan. Chiamiamo “bambine mancanti” i milioni di bambine morte per feticidio, infanticidio e assassinio entro i sei anni di età. E non dimentichiamo il classico “eve-teasing” perpetrato dalle cosiddette “lumpen elements”, quelle sciagurate.

E’ ora di finirla con questo “eve-teasing”, sostituendogli come minimo l’ortofemismo “molestie, violenze sessuali.” Potrebbe forse essere più efficace un disfemismo: “Sita-bullying.” Per molti indiani andrebbe a colpire un punto sensibile: Sita è la devota moglie di Rama, il dio Hindu, dalla condotta morale irreprensibile; è vista come la figlia, moglie, madre esemplare. Bullying/bullismo non lascia spazio ad ambiguità. L’espressione intera “Sita-bullying” potrebbe rivelarsi utile e necessaria nel cambiare i nostri pensieri, discorsi, ed azioni.

Se vogliamo mordere qualcosa, deve essere più incisivo anche il nostro abbaiare.

Ranjani Iyer Mohanty è scrittrice e editor accademica, vive a Delhi. I suoi articoli appaiono in diverse pubblicazioni internazionali.

http://blogs.wsj.com/indiarealtime/2013/04/21/the-term-eve-teasing-must-die/?mod=WSJASIA_article_outbrain&obref=obnetwork